17 aprile 2013

LA CATTIVA POLITICA O LA POLITICA DELLA BELLEZZA


Di questi tempi la politica in Italia ha il più basso indice di apprezzamento mai avuto nella storia repubblicana. Parlare quindi di politica della bellezza sembra un ossimoro, un mettere a confronto due contrari: il brutto e il bello. Tuttavia l’uomo è un essere politico dove con questo termine si intende il contesto di interrelazioni che lo legano ai suoi simili. Da questo punto di vista tutto è politica, parafrasando James Hillman il sé è politico e, accettando il valore dell’etimologia dove polis è la città, il governo di questa dovrebbe tendere a renderla bella il più possibile.

Tra parentesi per i Greci, dai quali abbiamo imparato la civiltà, l’esercizio delle virtù civili aveva come scopo la felicità che per loro coincideva con la bellezza, un sogno etico ed estetico insieme che duemila anni dopo fece dire a Stendhal che la bellezza è una promessa di felicità. Seguendo questo ragionamento e osservando che la grande rimozione del secolo scorso è proprio stata la bellezza si potrebbe dire che cercandola si risana anche la politica o anche che una buona politica cerca la bellezza.

Credo che se ai tre principi fondamentali della rivoluzione francese, che ha influenzato le democrazie moderne, si fosse aggiunto anche il diritto alla bellezza tante nefandezze del ‘900 si sarebbero evitate. Plotino affermava che il brutto non è altro che ciò che la nostra anima trascura e quindi non è denominato da una forma. È il caos del disordine, del senza cura, della disattenzione, dell’avidità e della confusione dei valori. Non è questo che noi rimproveriamo in Italia alla politica? Abbiamo personaggi che si presentano alle elezioni promettendo di tutto, demagoghi che approfittano dello scontento e della rabbia per guadagnare un potere inutile perché non hanno nessuna disposizione per la politica, appunto come scienza del vivere insieme per il bene comune. Personalità egoiche che non hanno saputo individuarsi e ne escono assurdità. Vi è una nevrosi diffusa nella nostra società: è malata di narcisismo.

La politica dunque avrebbe come compito primario di ricondurre alla bellezza come rispetto per la vita, che naturalmente si traduce in rispetto per tutto ciò che vive, uomini e natura. Il poeta filosofo libanese Kalil Gibran afferma infatti che la bellezza non è altro che la vita quando mostra il suo lato benedetto. Si definisce la politica anche come arte del possibile, ecco che da questa affermazione ne discende che migliorando la polis migliori la politica. Ricordiamo per inciso che l’aspetto delle città lo si decide nelle giunte comunali, luoghi tipici della politica. Ci dobbiamo chiedere quindi in questo suo momento di crisi che cosa può fare la cultura della bellezza per migliorarla?

L’etimologia ci viene sempre in soccorso e insegna che cultura deriva dal latino colere, in italiano coltivare, quindi passare da uno stato selvaggio a uno coltivato. I francesi dicono di un uomo colto “bien cultivè” e la coltivazione prevede la capacità di cura, di pazienza e di educazione che poi è l’arte maieutica di far uscire la parte migliore di noi. Come diceva Socrate dobbiamo utilizzare le virtù della levatrice che sono: la pazienza, la competenza e l’esperienza. Non si ottiene un granché se il nostro desiderio di fama e di potere ci fa saltare le tappe che la natura ci ha imposto per accedere a livelli superiori di consapevolezza . Dobbiamo dunque tornare a una cultura responsabile e dunque saggia, cioè in grado di abbracciare il tutto. Occorre che esercitiamo la capacità di osservare la foresta e non solo di contare gli alberi, dovremmo abbandonare dunque il primato dell’economia del denaro a favore di una ecosofia che sancisca il valore di un nuovo star bene.

Sembra che la bellezza non abbia a che fare con l’economia perché la consideriamo come accessoria, un lusso, ma ci siamo mai chiesti quanto costi la bruttezza? Quanto costino in termini di benessere fisico ed equilibrio psicologico un design trascurato, colori da quattro soldi, strutture e spazi senza senso? Passare una giornata in un ufficio brutto, su sedie scomode, in mezzo al disordine e allo sporco, per poi alla fine della giornata tuffarsi nel sistema del traffico e dei mezzi pubblici e infine in un fast food e in un’abitazione di serie. Che costo ha tutto questo? Quanto costa in termini di assenteismo, di ossessione sessuale, di abbandono della scuola, di iperalimentazione, di attenzione frammentaria, di rimedi farmaceutici, dello spreco consumistico, della dipendenza dalla chimica? Forse che le cause dei maggiori problemi sociali, politici ed economici della nostra epoca non potrebbero ricercarsi anche nell’assenza della bellezza?

La nuova cultura può incidere sulla politica, nel senso che garantirà una selezione di personalità che si distingueranno per competenza e responsabilità, che trascenderanno l’ego insaziabile e matureranno un sé distaccato che accede alla politica per il bene collettivo. Non sarà un percorso facile, bisogna esercitare la pazienza perché si prevedono cadute e ricadute. Ma infine che cos’è bellezza? Se non sei in armonia non la vedi perché la guerra è la sua nemica e uno stato di guerra è anche quello generato da un’economia di rapina che dimentica i valori umani ed esaspera la conflittualità nella concorrenza, è il pensiero dicotomizzato, amico-nemico, dominio-sottomissione. Rimettere al centro la bellezza dunque è un buon antidoto alla conflittualità permanente che notiamo anche nella politica nostrana. La passione estetica è un contravveleno alla passione per la guerra. Marte viene disarmato da Venere, ci assicura Hillman.

 

Maurizio Spada

 



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