17 aprile 2013

SE ANCHE GLI IMMIGRATI SE NE VANNO ALTROVE


Eppur si muove. Ma verso altre rotte. Il flusso di immigrati dai Paesi a forte pressione migratoria (Pfpm) in Lombardia è in controtendenza: in calo per la prima volta in dieci anni. Questo il dato più emblematico che emerge dal “XII Rapporto dell’Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità (ORIM)”, presentato il 26 marzo 2013 a Milano.

Ma la Lombardia resta comunque una regione ad alta intensità migratoria: 12 immigrati ogni cento residenti, quasi un quarto dei migranti presenti su suolo italiano. Il capoluogo lombardo è particolarmente multietnico: 18-19 immigrati ogni 100 residenti, superando tutte le altre province lombarde.

Per tracciare un identikit degli immigrati all’ombra della Madonnina, prendiamo a prestito i sottotitoli della seconda serie degli “Stati d’animo. Gli addii” dipinti da Umberto Boccioni circa un secolo fa: quelli che vanno, quelli che restano e gli addii.

Quelli che vanno – In Lombardia ci sono 1 milione e 237mila immigrati, tra regolari e non: 33mila in meno (-2,6%) rispetto allo stesso periodo del 2011, anno in cui si registrava un incremento del 7% rispetto al 2010. A Milano ci sono circa 14mila immigrati in meno rispetto al 2011. Iniziano ad andarsene anche gli immigrati residenti: 15mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2011.

Quelli che restano – La maggior parte di loro sono regolari (92%). Gli irregolari sono concentrati nella provincia di Milano, che ne conta 37,5mila (nel 2011 erano 49,8mila). A Milano gli immigrati irregolari sono 23,7mila. A Milano sono presenti 248,4mila migranti. Anch’essi vittime della crisi economica, al pari degli italiani: Milano è la città lombarda con il tasso di disoccupazione più alto per i migranti (20,1%). Soffrono di meno gli immigrati in provincia, dove lo stesso tasso si ferma all’11,7%.

Per quanto riguarda l’istruzione scelta in Italia, c’è una marcata tendenza degli alunni stranieri a frequentare istituti tecnici o professionali, che da soli assorbono quasi l’84% degli stranieri iscritti alle scuole superiori. Dopo il diploma, sono in calo gli studenti che decidono di immatricolarsi all’università, come avviene peraltro a livello di popolazione italiana. Il maggior numero di universitari stranieri (19,6%) frequenta l’Università degli Studi di Milano. Molti immigrati aderiscono ad associazioni, la maggior parte delle quali (36,7%) ha sede nella provincia di Milano.

Provengono soprattutto dall’Europa dell’Est, dall’Asia e dal Nordafrica: rispettivamente il 437mila, 294mila e 237mila. Da notare che i primi sono quasi quadruplicati (+371%) e gli asiatici sono quasi triplicati (+171%). L’età media degli immigrati ultraquattordicenni presenti in Lombardia è di 35 anni. La metà degli uomini intervistati sono musulmani, mentre il 60% delle donne sono cristiane.

Da notare che le donne over 45 da molto tempo in Italia godono di un reddito più elevato, insieme agli uomini under 30 che vivono in Italia da parecchio. Ma anche gli immigrati sperimentano un calo dei redditi mensili (dai 1500 euro del 2010-2011 ai 1400 del 2012) e di conseguenza anche di risparmi e rimesse nei paesi d’origine.

Gli addii – Gli immigrati residenti che pensano di andarsene sono in aumento dal 10,5% del 2011 all’11,4% del 2012. Eppure il problema non sembra essere l’integrazione con gli italiani residenti in Lombardia. Il valore medio dell’indicatore che la misura, in una scala da 0 (minima) a 1 (massima), è pari a 0,65. Altro segnale positivo è l’aumento delle donne immigrate con un partner italiano (+11%).

Più dell’integrazione, poté la recessione. Che ben spiega il comportamento dei (non) immigrati in Lombardia: è proprio in periodi di sofferenza economica e quindi occupazionale che gli immigrati scelgono nuove rotte o pensano di andarsene dall’Italia a cercar fortuna altrove.

Ce lo dicono la “legge del 10” dell’economista Tim Hatton, in base alla quale: “Per ogni 100 posti di lavoro distrutti nel Paese di destinazione, ci sono 10 migranti che tornano al loro paese”. Più formale è il modello di Harris e Todaro, che conclusero, formule alla mano, che la decisione di migrare o meno dipende sostanzialmente da due fattori: la differenza tra i salari percepiti in patria e nel paese di destinazione e il differenziale tra i rispettivi tassi di disoccupazione. L’economista Borjas vede la migrazione nei paesi dove i tassi di disoccupazione sono più bassi come responsabile di un “effetto lubrificante” sul motore già rombante di un’economia che procede a piè sospinto.

Quel motore che fatica a ripartire, a Milano come nel resto d’Italia. C’è poco da stupirsi degli stati d’animo: gli addii.

 

Valentina Magri

 



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