9 aprile 2013

BUROCRAZIA: DA MORATTI A PISAPIA, AL PALO


L’ingresso in Giunta di Francesca Balzani all’assessorato al bilancio è il rovescio bello della moneta “rimpasto in Comune”. Dell’altra faccia e delle sue ombre non si è ancora smesso di parlare e qualche buona ragione c’è. Ma torniamo a Francesca Balzani: il suo bilancio sarà impostato su progetti e non più su semplice ripartizione di fondi a singoli assessori, un’attenta revisione a capitoli di spesa e la ricerca puntigliosa dei risparmi possibili. Finalmente un’impostazione nuova. Sino a ora però si è parlato degli aspetti finanziari, di bilancio e di cassa ma poco o nulla sull’efficacia dell’attività comunale, sul rapporto costi benefici della spesa pubblica milanese e sull’efficienza di chi la gestisce, come dire la burocrazia comunale.

Per capire forse è meglio cominciare da lontano. Poco dopo essere divenuta sindaco di Milano, maggio 2006, Letizia Moratti passata senza lasciar traccia di sé dalla RAI e dal Ministero della Pubblica Istruzione, pose mano alla riorganizzazione della macchina burocratica del Comune. Chi l’aveva preceduta le lasciava per la verità una pianta organica scarsamente funzionale – me ne ero occupato per la redazione del programma elettorale di Ferrante, il suo antagonista, un candidato ucciso dai suoi maggiori sostenitori e forse se lo meritava – ma il capolavoro di madame fu peggiorare le cose, facendo in modo che le varie direzioni del Comune si moltiplicassero e, non trovando secondo lei competenze sufficienti all’interno, imbarcò uno stuolo di consulenti esterni.

Nel dicembre del 2007, attaccata dall’opposizione, disse: “Rivendico con orgoglio la riorganizzazione che abbiamo fatto in Comune”. La vicenda finì in tribunale, la Moratti ne uscì con un’archiviazione ma con una censura pesante da parte del GIP per “comportamenti censurabili sotto diversi profili”. Allora rimasi perplesso vedendo come l’opposizione si fosse attivata nei confronti dell’assunzione di troppi consulenti e la rimozione di alcuni dirigenti- quasi un atteggiamento sindacale – ma non entrò assolutamente nel merito dell’organizzazione della macchina comunale. Da quel che allora potei vedere la nuova organizzazione non ovviava ai guasti di quella del mandato di Albertini, ma pasticciava ulteriormente le cose.

Che cosa è cambiato da allora? Penso nulla, o forse non ne ho notizia eppure, collaborando a uno dei tavoli per la stesura del programma di Giuliano Pisapia, avevo insistito su quest’argomento. Non ne faccio un caso personale ma manifesto un certo rammarico per non aver letto nulla al riguardo. Noto però che affrontando questo tema i miei interlocutori mi hanno dato di lungo, perché l’idea di una ristrutturazione della burocrazia comunale rischia di diventare un problema di esubero e, se non di esubero, probabilmente di riequilibrio dei salari e magari dell’abolizione di premi di “produttività” divenuti parte indiscutibile del trattamento economico: dunque la messa in discussione dei cosiddetti “diritti acquisiti”.

Ne ha fatto in questi giorni cenno anche la neopresidente dalla Camera a proposito dei “suoi” dipendenti e ha detto che saranno guardati i compensi nel rispetto dei diritti acquisiti. Tutte le volte che sento parlare di diritti acquisiti in questi tempi di sacrifici mi domando: qual è la soglia dei compensi sopra la quale si possono e si debbono mettere in discussione i diritti acquisiti? Ma questo è un altro discorso e ci riserviamo di farlo in altra occasione, magari quando parleremo dei rapporti tra burocrazia e buchi nelle strade. Tornando al nostro territorio, vorrei trasmettere ai lettori una sensazione: per chi ne è costretto, la frequentazione degli uffici comunali e di quelli della Regione non è allietata dal brusio di un operoso alveare e spesso s’intravvedono, sopratutto in Regione, uffici perfettamente attrezzati, compreso il ficus di fantozziana memoria, privi di qualunque traccia di presenza umana.

Uffici comunque nei quali la “fretta” o l’assillo sono spesso mera categoria del pensiero. Domenica scorsa ho letto dello stupore di un eletto in regione del Movimento 5 stelle di fronte allo spazio che gli è stato assegnato: 200 mq. Mi auguro che si domandi anche se tutti gli edifici che la Regione aveva in affitto – per abbandonare i quali si è fatto il grattacielo – siano stati sgomberati o, se fosse ambientalista, quanta energia a posto di lavoro consumino questi giganti vetro e acciaio, o perché Formigoni si sia tenuto cinque piani per fare il commissario di Expo. Tim ha rispolverato il grido “i have a dream” di Martin Luther King, che secondo quest’azienda sarebbe il sogno dell’interconnessione. Io mi accontenterei di molto meno: il mio sogno sarebbe che, come quasi dappertutto, ci fosse una macchinetta che distribuisce numerini ai clienti per evitare le code disordinate: perché non anche a chi fa delle domande. A ogni domanda è “dovuta” una risposta come chi compra il pane, una medicina in farmacia o il prosciutto dal salumiere. Certo lì si paga la merce ma noi non paghiamo le tasse? Una malignità: chi ne evade di più forse gli si risponde prima?

Luca Beltrami Gadola



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