9 aprile 2013

LA FORMA PARTITO: UNA QUESTIONE SEMPRE APERTA


Penso che ormai tutti sappiano che la Costituzione all’Art. 49 prevede che i partiti (e all’Art.39 i sindacati) dovrebbero darsi una forma politico-istituzionale precisa, in altre parole uno statuto formale da rispettare. Tutto ciò corrisponde a una visione novecentesca dell’organizzazione politica, anche di quella democratica. Dico “anche” perché la nozione di Partito Istituzionale è nata nell’epoca moderna corrispondentemente all’affermarsi dei regimi totalitari, dove il Partito era il luogo di formazione e di esercizio della classe dirigente di un paese. Fuori dal Partito non c’era altro che una nebulosa di cittadini che bisognava per altro coinvolgere nell’organizzazione dello Stato a partire dalla loro primissima età seguendoli poi nelle strutture corporative e talvolta militarizzate, che si componevano intorno al Partito.

É rimasta anche nella tradizione democratica questa interpretazione del Partito come espressione della classe dirigente del paese, soprattutto nell’ambito della sinistra, poiché alla destra i notabili, con il loro potere economico e professionale, avevano meno bisogno di un’organizzazione formale che li sostenesse. Naturalmente, nei paesi a tradizione anglosassone la visione del Partito non corrispondeva a quella descritta e i partiti, che pure esistevano come sempre sono esistiti nella storia, avevano un carattere leggero e occasionale. Cioè erano legati alle occasioni elettorali.

In Italia il sottile contrasto tra Partito ” leggero” che traeva la sua forza anche elettorale da altre strutture di pubblica opinione e il Partito di apparato che, attraverso una rete professionale organizzava e governava i cittadini ha portato, come per moltissime altre cose alla paralisi così che una definizione costituzionalmente precisa del Partito non esiste mentre invece gli ibridi che sono nati sono diventati il punto di riferimento polemico di buona parte della pubblica opinione che attribuisce loro, spesso a ragione, ogni sorta di mali.

Le proposte di legge, come quelle del senatore Compagna, presentate alla Camera, non sono mai state prese in seria considerazione, anche perché sottoporrebbero i futuri partiti a un controllo più intenso dell’amministrazione giudiziaria, alla quale il singolo iscritto potrebbe sempre appellarsi. Dato che siamo abituati a conoscere risse continue nei partiti tra correnti, uomini e sub corporazioni, possiamo immaginare che regolamenti troppo stretti e istituzionalizzati provocherebbero un contenzioso costante e distraente dalle funzioni specifiche del partito.

D’altra parte i partiti “leggeri” che si sono venuti formando, hanno dato luogo a un’indisciplina culturale essa stessa provocante una degenerazione politica e, per esempio sul piano della corruzione, il passaggio da una corruzione “politica” cioè destinata a far fronte alle necessità economiche del partito, a una corruzione personale, cioè destinata a rafforzare non sempre attività politiche ma personali. D’altra parte, come in una brutta copia del sistema americano, si è avuto il fenomeno della ricchezza personale direttamente applicata alla politica e il conseguente degrado dalla politica alla propaganda e dalla propaganda alla pura lotta per il potere.

Personalmente, non vedo soluzioni teoriche, se non molto complicate allo stato attuale, se non quelle di un “ritorno all’ideologia”, cioè all’impianto su di una posizione politico culturale molto precisa della forza organizzata del Partito. Per non parlare in modo del tutto astratto, si pensi al confronto tra le posizioni del Movimento 5 Stelle e quelle, sconfitte, di Fare per Fermare il Declino: nel secondo caso c’era un forte impulso di dottrina economica che si rivolgeva a un’élite che era anche una fascia anagrafica e che col tempo avrebbe potuto rinforzarsi (senza voler dare qui alcun giudizio sulla posizione culturale e politica).

Dall’altra parte M5S ha conquistato un gran successo elettorale senza aver avuto un benché minimo riferimento alla classe dirigente e rischia di sfasciarsi alle prime difficoltà, cioè morire di indigestione. Nel PD il Partito di apparato è rimasto tale ma si è molto ringiovanito rispetto al passato, adeguandosi anche sotto il profilo culturale ai tempi nuovi ma necessita di un finanziamento costante per mantenere alta la professionalità dei suoi quadri. Il PDL non ha questi problemi poiché rappresenta un conglomerato di forze sociali e politiche diverse, talvolta prevalenti nel paese, che sono unite dalla capacità di iniziativa propagandistica di una leadership che si ispira, attraverso i sondaggi, unicamente a soddisfare la più epidermica domanda degli elettori: una macchina capace di prendere i voti ma non di governare.

Noi, che siamo ancora legati a Max Weber, speriamo sempre che i partiti, o più genericamente il Paese, possano esprimere un embrione di classe dirigente, di marinai che riescano a intravedere tra le brume il porto, per carità un porto modesto e senza pretese, ma tranquillo.

 

Giacomo Properzj

 

 



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