27 marzo 2013

PGT: INTERVENIRE SUI PUNTI DEBOLI


Per i servizi, come noto il PGT si affida alle valutazioni da farsi nei “NIL”, ovvero i cosiddetti “nuclei di identità locale”. Già da qui si possono iniziare a intravedere alcuni problemi. Altre note dunque dopo avere esaminato nello scorso numero di Arcipelagomilano i problemi derivanti da quella che abitualmente viene chiamata “capacità insediativa” e dal bilancio economico di Piano.

Innanzitutto, non tutti i servizi hanno carattere di località. Anzi, sono proprio quelli di grande scala (università, ospedali, stadi sportivi, teatri, ecc.) a connotare positivamente le città, ma anche ad avere requisiti dimensionali e localizzativi specifici, di carattere sovralocale. C’è il rischio insomma che proprio di questi servizi più preziosi non si occupi nessuno.

In secondo luogo, non è ben chiaro come si farà a gestire tale laboriosa macchina valutativa (da aggiornare ogni anno, badate bene: e quindi dovrebbe essere già quasi pronto il primo aggiornamento, visto che il PGT è stato approvato nel mese di maggio dell’anno scorso). Ci può essere insomma un problema di “sostenibilità amministrativa”, come si dice di solito.

Ma è a leggere quanto finora elaborato che si resta perplessi, molto perplessi. Anche fermandosi alla sola scheda 1 relativa al centro storico (più avanti non me la sono sentita di andare), si scopre che: i centri simbolici sarebbero piazza Affari e piazza Diaz (non piazza Duomo?); l'”ascolto della città” ha coinvolto ben 32 segnalazioni (a fronte di circa 17.000 residenti e 130.000 presenti abituali giornalieri, ben lo 0,0002%); il centro avrebbe unicamente vocazione terziaria – amministrativa (mentre anche un affrettato turista può notare che è abbastanza diviso in due, una parte effettivamente moderna e terziaria: Cordusio, San Babila, via Larga, corso Europa, ecc.; l’altra, fra corso Magenta e via Torino, con maggiore mantenimento delle caratteristiche storiche e residenziali). Se già solo per la scheda 1, pur dopo un lavoro durato più di dieci anni (già nel ’98 una determina sindacale segnalava i lavori in corso) e nonostante le osservazioni in proposito (tutte respinte) non ci si è neanche accorti dell’esistenza di piazza Duomo, figuriamoci il resto (per non parlare dei costi degli interventi, tema neanche affrontato).

Il cosiddetto Piano dei Servizi è insomma il grande “buco nero” di questo PGT, poco più di una metodologia e di un’astratta esercitazione accademica, che non dice nulla sui problemi di Milano (e meno che mai su come risolverli). Si tratta comunque di un lavoro talmente malfatto, che difficilmente si sarebbe potuto migliorare con le controdeduzioni.

Correttamente impostata, ma purtroppo incompleta, è invece la parte sui beni storici, sostanzialmente limitata al centro storico e poco più. Questo purtroppo può creare problemi perché con la liberalizzazione dell’attività edilizia non c’è quasi più la possibilità di intervenire “ex post” su beni di valore non tutelati; e infatti la legge giustamente assegna ai PGT il compito di individuare “ex ante” tali beni, a Milano notoriamente non tutelati soprattutto nelle aree periferiche (beni storici minori, moderno d’autore, ecc.). Una mostra all’Urban Center promossa dal Comune di Milano diversi anni fa (il sindaco era ancora Albertini) aveva iniziato appunto tale lavoro, mostrando ad esempio come a Bruzzano ci fosse un castelletto visconteo non tutelato (dove infatti erano già stati messi i serramenti di alluminio anodizzato alle finestre, ecc.).

Ci si aspettava di trovare episodi simili individuati in PGT, e invece no; anche a specifica osservazione, la risposta è che “tutti i beni o sono già tutelati o sono protetti in quanto in zona ex B2”. Ora, a parte il fatto che le tutele introdotte per le ex zone B2 scadono dopo solo due anni (chissà poi perché: i PII – Programma Integrato di Intervento – con istruttoria conclusa sono stati confermati tutti sine die, le tutele invece scadono subito), l’argomento degli uffici comunali ha qualcosa di sofistico: siccome per definizione tutti i beni sono già tutelati in una maniera o nell’altra, quanto segnalato non può esistere da un punto di vista direi quasi ontologico, qualcosa che per definizione non si può dare, quindi inutile verificare. Sempre per fare un esempio, un analogo discorso vale per il vincolo archeologico posto sulla strada postale per Como (che è ottocentesca) e non già sui percorsi storici romani o addirittura antecedenti (come sarebbe testimoniato dai ritrovamenti neolitici nei pressi): un’osservazione in merito è stata respinta perché il vincolo secondo gli uffici sarebbe “sovraordinato” (ma non lo è): e così si obbliga alla tutela archeologica un bene privo di valore e lo si annulla dove invece servirebbe, con che utilità ci si chiede.

In generale la lettura delle controdeduzioni dà un certo scoramento: limitandosi a un campione di qualche centinaio (di più temevo potesse fare male alla salute) è un susseguirsi di risposte contraddittorie, sintesi sbagliate delle osservazioni, veri e propri strafalcioni come quelli citati prima. Se un professionista consegnasse un lavoro così in qualche comunello, verrebbe preso a calci nel sedere dal geometra comunale; ma siamo a Milano, certo…

Anche la parte normativa del Piano è largamente oscura: sfido chiunque a comprendere in scioltezza gli articoli 5, 6 e 11 del Piano delle Regole, o a cogliere di primo acchito le arcane connessioni fra l’art. 4.6.m), 6.2 ultimo paragrafo e 37.5 sempre del Piano delle Regole (la slp dei servizi di nuova edificazione non si conta, ma si conta quando vengono dismessi – un bell’incentivo).

Ci sono poi tanti altri punti del Piano che presentano criticità, ma quanto esposto potrebbe essere sufficiente a rendersi conto che ci troviamo di fronte a uno strumento in larga misura mal impostato, approssimativo, di difficile gestione; ma sul quale sarà difficile intervenire, vista la sua lunghissima gestazione e il conseguente lungo periodo di incertezza regolamentare alle spalle.

È usanza comunque terminare ogni lettura critica con qualche proposta in positivo. Per non eludere tale compito, la prima proposta è appunto quella di almeno rendersi conto che il Piano è fatto male e pieno di gravi errori. Non è stato fatto per niente “un gran bel lavoro”, anzi tutto il contrario. La seconda proposta, pur comprendendo bene le ragioni di chi chiede una maggiore certezza e stabilità delle regole, è di iniziare a intervenire sui maggiori punti deboli: il Piano dei Servizi, l’individuazione dei beni non tutelati (non solo nelle ex zone B2), il bilancio economico, la chiarezza normativa. Ma soprattutto evitare di intervenire con valutazioni “caso per caso” come a volte capita di sentire; rischiando di perdere anche quei valori di trasparenza ed equità che sono fra i pochi che il Piano ha tentato di perseguire.

 

Giuseppe Vasta



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