27 marzo 2013

INFOPOINT EXPO: L’ABBIAMO SCAMPATA BELLA


Ricordo ancora con vergogna, da studente d’architettura, quando portai quella che all’epoca era la mia fidanzata – e che oggi insiste a volermi ancora bene al punto d’avermi addirittura sposato -, a vedere l’esposizione dei progetti del concorso per il riordino di piazza Fontana. Parlo, per capirci, di circa un quarto di secolo fa. Di tavola in tavola, di prospettiva in prospettiva (i rendering computerizzati erano ancora lungi dall’irrompere nell’immaginario disciplinare), mi sentivo sempre più imbarazzato. Ero lì in teoria per spiegare alla ragazza che amavo perché volevo fare l’architetto nella vita, ma più guardavo assieme a lei quelle ipotesi strampalate, effimere, spesso di pessimo gusto – se non addirittura irrimediabilmente trash – e più mi mancava l’aria, per l’incapacità che avevo di giustificarle tanto inutile spreco di tempo prezioso.

Fortunatamente apparve d’incanto la soluzione capitanata da Gino Pollini. La più logica, la più semplice e, oggettivamente, la più bella, ad evitare l’onta dello sberleffo imperituro da parte della mia futura moglie. Fortunatamente, insomma, la disciplina era salva. (i casi della vita vollero che poi, pochi anni dopo, mi ritrovai a lavorare proprio presso quello studio, dove convertìi molte di quelle tavole disegnate a mano in modelli tridimensionali al computer.)

Non è un paese di concorsi d’architettura il nostro. Non ne abbiamo la tradizione, quella che ha cambiato le sorti della disciplina in molti paesi europei. Anche per questo il fatto stesso che Expo abbia deciso di affidare l’incarico del progetto dell’InfoPoint a un professionista dopo un concorso è già di suo una notizia. Positiva, se si guarda il bicchiere mezzo pieno: è una attitudine, questa, che dimostra una sensibilità desueta nelle nostre città, che ci si augura non resti isolata. Un modo, forse, di attuare un’etica di impresa che non miri solo all’inciucio (o al massimo profitto).

È un peccato, ovvio, questa disabitudine al protocollo concorsuale: le competizioni architettoniche sono da sempre un laboratorio di ricerca tipologica, formale, tecnologica. Luoghi della ricerca, dell’innovazione, dove le logiche economiche lasciano spazio anche al pensiero critico. Molta della storia della nostra disciplina passa da concorsi che hanno fatto epoca. Spesso, in Italia, perduti o mai realizzati.

Ma il concorso porta con se anche un rischio. Quello, appunto, di ritrovarci fra le mani progetti di pessimo o nullo valore da giudicare. Robaccia, rumore, ronzio di fondo, scarti. Sembra quasi che la formula concorsuale piuttosto che stimolare il pensiero critico di un progettista vellichi la sua creatività puerile, egoriferita, ridicola. Se poi ci aggiungiamo il fatto che, nel caso dell’Infopoint, si tratta di ideare una architettura “a tempo”, nato per essere smontato finita l’esposizione, a guardare le prime immagini sul web del concorso appena concluso ho la netta sensazione che grazie a Dio l’abbiamo scampata anche stavolta.

Proprio come un quarto di secolo fa, l’ideale coppietta di giovani innamorati, un architetto imberbe e una ragazzina disinteressata alla disciplina, che dovesse scorrere le immagini reperibili in rete (eccoli i rendering del nostro immaginario!) rivivrebbe quella stessa sensazione di imbarazzo mista a frustrazione. Quanta robaccia, quanto inutile spreco di pensiero! Quale occasione perduta dove poter fare un collettivo ragionamento critico sul tema. No, solo padiglioni precari, effimeri, indifferenti al contesto, formalmente vecchi, stanchi, installazioni da fiera di provincia, spesso a firma di nomi “eccellenti”, quasi non ci credessero neppure loro, presi da altri e più fruttuosi impegni professionali.

Non so bene quali siano stati i requisiti della selezione dei progettisti. D’istinto, avessi avuto in mano io il boccino, avrei preteso un limite d’età. Non per giovanilismo di maniera, ma per dare una occasione autentica ai nuovi talenti che in questa Italia non possono esprimersi. Però, sia ben chiaro, questa scelta non avrebbe reso il risultato migliore: l’autoreferenzialità è il difetto nel manico del progettista nazionale, qualunque sia la sua età anagrafica.

Anche per questo ammiro il lavoro di scrematura fatto dai componenti della giuria. Giuria, per inciso, sulla quale forse due cose dovremmo pur dirle: va bene coinvolgere la società civile, le autorità, le istituzioni, etc. ma se su sette esponenti solo due appartengono in senso stretto al campo disciplinare è come indire un concorso letterario dove i giurati fanno nella vita di tutto, dal chirurgo al notaio, tranne che praticare la critica letteraria o la scrittura poetica. Assai curioso, no?

Eppure, anche stavolta, a discapito di ciò che ho appena scritto, c’è andata bene. La giuria s’è comportata con ragionevolezza, ha scelto non semplicemente “il meno peggio” (opzione fra le più deprimenti) ma davvero un progetto bello, interessante, sul quale poterci spendere parole, pensiero, teoria. Quelli che Alessandro Scandurra – il vincitore – sembra abbia speso quando s’è impegnato a risolvere un tema difficile in uno spazio irrisolto quale quello di via Beltrami, che è contornato da quinte edilizie di alta qualità ma che è sempre stato nei decenni illogicamente utilizzato come un parcheggio di autobus o di taxi. Un vuoto nel cuore della città annichilito dall’incapacità pubblica di trasformarlo in uno spazio collettivo.

Chissà se l’architettura “effimera” di Scandurra (eppure così rigorosa in questo progetto, così rispettosa dei tracciati storici), almeno nel periodo che sarà corpo edilizio e non solo rendering, saprà stimolare un nuovo utilizzo di quell’area…

Ora però chiediamoci di quali contenuti quei traslucidi contenitori verranno riempiti. È ora di dare peso a questa manifestazione che a oggi è stata raccontata solo per polemiche giornalistiche e mai per i temi messi in gioco. Lo ammetto non invidio la posizione di Giuseppe Sala, l’amministrazione delegato di Expo. È quello che, più di tutti, ci sta mettendo la faccia. E le facce in Italia si tende a prenderle a schiaffi e sputi. Ogni occasione è buona per la critica distruttiva. “Muoia Sansone con tutti i filistei”, è il motto dell’intellettuale italiano. “Tanto peggio, tanto meglio”. Speriamo invece non sia così. Se Sala saprà dimostrarsi coriaceo come sembra, in questo momento di crisi globale forse qualcosa di buono per la città riusciamo comunque a portarlo a casa. La scelta del progetto di Scandurra mi sembra già un buon viatico.

 

Gianni Biondillo

 

per vedere i progetti in concorso, clicca qui



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