27 marzo 2013

sipario


 

PUZZLE DEI KATAKLÒ

Direzione artistica e regia
di Giulia Staccioli. Produzione di Kataklò Athletic Dance Theatre e MITO srl [Milano, 2012]. Teatro Leonardo, 23 marzo 2013.

Un puzzle è un rompicapo nel quale piccoli pezzi di piccole dimensioni e tagli unici vanno incastrati insieme in modo da formare l’immagine originaria. Per i Kataklò i piccoli pezzi sono i singoli danzatori, ognuno con la propria esperienza e formazione; i tagli unici sono le singole coreografie che compongono lo spettacolo. E il puzzle? L’immagine completa è un vero e proprio arlecchino di danze, nel quale la danza si fonde con l’acrobazia della ginnastica e l’esagerazione del circo per creare uno spettacolo dai colori forti e contrastanti e dalle geometrie chiare e definite.

L’arlecchinata di Puzzle si delinea su musiche varie, tratte da colonne sonore di film, da melodie introspettive e ‘meditative’ di compositori del nostro tempo (molti sono italiani) e da musiche etniche (percussioni africane, musiche ebraiche, etc.), mentre le coreografie sono parimenti creazioni nuove e rifacimenti di spettacoli precedenti: elemento tipico di questa compagnia è la collaborazione diretta dei danzatori nella creazione delle coreografie e dello spettacolo insieme alla regia. Manca una trama unitaria, le coreografie si configurano come pezzi singoli, una sfilata di creatività pura lasciata (apparentemente) alla totale discrezione degli artisti. In realtà, un fil rouge si può seguire nella specifica volontà della regista (una campionessa di ginnastica ritmica) di portare la ginnastica dalle arene olimpioniche al teatro, mantenendo quella che è la peculiarità delle competizioni ginniche, la successione ordinata delle squadre con le relative esibizioni; facendo così in modo che la ginnastica non sia solo una nicchia per tecnici e appassionati, ma venga aperta e presentata al grande pubblico come svago, mostrando espressione ed emozione.

Lo spettacolo è suddiviso in due atti, nove danze per ogni atto più un epilogo, e si configura come un’antologia della danza del Novecento. Si trovano i veli danzanti della Modern Dance di Martha Graham, l’espressività pura dionisiaca di Isadora Duncan esasperata e ammodernata nell’elemento circense, fino ad arrivare alla citazione del repertorio classico (in una delle coreografie compare un tutù nero e tutto il pas de deux sembra essere una rivisitazione in contemporaneo del pas del Cigno nero) e a qualche elemento del Tanztheater di Pina Bausch, primo e – finora – unico esempio occidentale di teatro globale alla maniera del millenario teatro indiano che ingloba in sé tutte le arti performative. I sei danzatori (tre uomini e altrettante donne) non si servono solo del ritmo e del mimo, ma dalla ginnastica e dal circo prendono a prestito attrezzi come funi, nastri, cerchi e clavette, pali prestati dalla pole dance, nastri sospesi come trapezi e altri elementi scenografici. Il pubblico si entusiasma di fronte a questa danza d’avanguardia, anche con quel pizzico di orgoglio di vedere quasi un piccolo Cirque du Soleil tutto italiano e anzi nello specifico milanese. (Domenico G. Muscianisi)

 

 

questa rubrica è a cura di Domenico G. Muscianisi e Emanuele Aldrovandi

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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