27 marzo 2013

musica


 

ISSERLIS E GERSTEIN

Dopo le delusioni delle settimane scorse, eccoci finalmente a poter dire bene e positivo su due concerti appena ascoltati all’Auditorium e al Conservatorio: due magnifici programmi, musica sinfonica l’uno, musica da camera l’altro.

Del direttore d’orchestra John Axelrod abbiamo riferito le nostre ottime impressioni ai primi di febbraio, quando eseguì mirabilmente, sempre all’Auditorium di cui è “direttore principale”, la Quarta di Beethoven e la Quarta di Brahms e con esse ci raccontò sinteticamente l’inizio e la fine della Sinfonia romantica tedesca; a un mese di distanza il direttore americano ha dedicato un intero concerto a Brahms eseguendo la Seconda Sinfonia (opera 73 in re maggiore) e facendola precedere da quel capolavoro che è il Concerto per violino e orchestra (anch’esso in re maggiore). Un programma dunque di grande godibilità incentrato sul particolare momento, fra il 1877 e il 1878, in cui Brahms si trasferì definitivamente a Vienna e scrisse anche il celebre “Doppio concerto per violino, violoncello e orchestra”. Impeccabile l’esecuzione delle due opere e di grandissimo fascino l’interpretazione che del Concerto ha dato la violinista giapponese Midori Gotō suonando un magnifico strumento dalla voce flebile ma struggente, il famoso “Guarneri del Gesù” del 1734, che fu di Bronisław Huberman.

Un concerto ancor più sorprendente, in questo momento di diffusa superficialità in cui dominano lo starsystem e il potere della promozione mediatica, è stato quello offerto dalle Serate Musicali al Conservatorio che ha visto protagonista il violoncellista inglese Steven Isserlis in coppia con il pianista russo (ora americano) Kirill Gerstein. Anche Isserlis suona uno strumento eccezionale, uno Stradivari del 1726, detto “Marquis di Corberon”, usato da Zara Nelsova e affidatogli dalla Royal Acadmy of Music di Londra.

Isserliss e Gerstein hanno dimostrato di essere estremamente affiatati ma soprattutto di essere il contrario esatto delle “star” e dei “virtuosi”; serissimamente concentrati, attenti al significato di ogni nota, capaci di dialogare intensamente fra loro e con il pubblico. Non è un caso che Isserlis sia noto per l’impegno che profonde nell’educazione dei più piccoli (suo il celeberrimo libro di musica per bambini “Perché Beethoven lanciò lo stufato”, edizione Curci) spinto dall’idea che solo lavorando su di loro si riesca a diffondere l’amore e l’interesse per la musica colta; questo “spirito di servizio” nei confronti della musica è la cifra delle sue esecuzioni.

La bellezza di quel concerto consisteva, ancor prima che nell’interpretazione, nel programma: tutto Beethoven, opere giovanili nella prima parte, opere della maturità nella seconda. Un modo perfetto per far percorrere agli spettatori da una parte la parabola della crescita interiore dell’autore, dall’altra per svelare la nascita della “nuova musica” tedesca a cavallo fra la fine del settecento e l’inizio del secolo successivo.

Deliziosa l’introduzione – le celebri 7 Variazioni sul tema “Bei Männern, welche Liebe fühlen” dal duetto (Andantino) fra Pamina e Papageno del Flauto magico di Mozart (1801) – seguita dalla Sonata in sol minore opera 5 numero 2 (1795); potente la conclusione, nel secondo tempo, con le due Sonate in do maggiore e in re maggiore dell’opera 102 (1815).

Nelle prime due opere Beethoven è solare: le variazioni sono giocose, quasi infantili, mentre l’Adagio con cui inizia la Sonata opera 5 esprime una sorta di tenerezza adolescenziale, ancorché nell’Allegro affiorino già i primi contrasti ed esplodano quelle tensioni emotive che diventeranno i pilastri degli anni della sua piena maturità. Ma qui siamo ancora lontani dal drammatico pathos beethoveniano, siamo piuttosto vicini all’aura musicale di Haydn che in quegli anni aveva già superato i sessanta e si avvicinava ai settanta, mentre Beethoven era ancora fra i venti e i trenta (anni straordinari se si pensa che Mozart era appena morto, nel dicembre del 1791, e che Haydn morirà nel maggio del 1809).

Le due bellissime Sonate per violoncello e pianoforte dell’opera 102 sono invece del 1815 – l’anno triste della morte dell’amato fratello Kaspar e l’anno in cui si svolgeva il Congresso di Vienna – e dunque poco prima delle ultime Sonate per pianoforte (le opere 109, 110 e 111), della Nona Sinfonia (opera 125) e degli ultimi Quartetti (dall’opera 127 alla 137).

Finito l’intervallo, fin dalle prime battute si è avuta la sensazione che fosse trascorso un secolo dalle ultime ascoltate, il mondo sembrava essere nel frattempo cambiato, nulla era più come prima, risuonava una modernità prima sconosciuta. Il famosissimo adagio della Sonata in re maggiore raccontava il pudore dei sentimenti, il peso della vecchiaia incombente (Beethoven aveva solo 45 anni ma la sordità lo faceva sentire molto più anziano) ma anche la forza della rassegnazione. La musica era entrata prepotentemente in quel romanticismo che caratterizzerà il secolo intero, si infuocava e poi lentamente si spegneva per consentire l’avvio della fuga, tutta raziocinio, cerebrale, che sembrava anticipare il linguaggio del primo novecento.

Isserlis, con una capigliatura che assomiglia a quella di Simon Rattle (lì per lì sembra una parrucca settecentesca!), in perfetta intesa con Gerstein, senza mai prevalere sul pianoforte ma in perfetto equilibrio e comunione di intenti, ha dimostrato quanto la musica riesce a comunicare quando ci si immerge in essa con umiltà, consapevolezza, profondo sentire.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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