4 maggio 2009

DEGRADO. L’ANTI – SCUOLA


Al suono della campanella che pone fine a un mattino di studio e di impegno, a Pessano con Bornago (un paese in provincia di Milano), i bambini si dividono in due gruppi: quelli che pranzano, e sono la maggioranza, e quelli, una ventina per lo più di famiglia straniera, che guardano gli altri che mangiano. A costoro non viene fornito il pasto perché i genitori non sono in regola col pagamento della retta (e non hanno neanche, con dispiacere del sindaco, automobili o televisori da pignorare); resterebbero a digiuno fino alla fine della giornata se le maestre non cedessero loro il proprio pasto…

Ecco, l’episodio, di per sé relativamente minore, mi sembra che possa essere preso come simbolo del progressivo degrado della scuola, di quella milanese in particolare. Infatti, in primo luogo balza all’occhio una questione di fondo: si sta smarrendo il senso del fare scuola, che non è solo quello d’insegnare, ma soprattutto quello di creare una comunità fondata sull’uguaglianza, il rispetto, le pari opportunità. I bambini di Pessano, nel momento in cui vengono esclusi dalla mensa, vengono mandati a frequentare l'”anti-scuola”, quella cioè che insegna che solo chi ha denaro ha tutti i diritti, gli altri fanno la cortesia di accontentarsi, se non trovano chi offre loro come dono ciò che invece toccherebbe loro come diritto.

Ma se facciamo un salto di scala e diamo un valore appena simbolico al cibo, possiamo osservare che questa situazione è comune all’insieme della scuola e di quella milanese in particolare. I tagli effettuati dal Governo, le mancate promesse del ministro Gelmini (dove sono i fondi per i corsi di recupero attesi invano dalle scuole?), il trasferimento di risorse a vantaggio delle scuole private, tutto contribuisce ad aumentare il carico di spesa delle famiglie (anche se un’abnorme e demagogica circolare relativa all’adozione dei libri di testo asserisce il contrario) e quindi a rendere più difficile ottenere il “cibo” della cultura e della formazione proprio da parte di coloro ai quali è più necessario per realizzare compiutamente il proprio diritto di cittadinanza. Se poi si aggiunge l’infinita confusione normativa che ha caratterizzato quest’anno scolastico (basti pensare al caos determinato dal “maestro unico”: le richieste delle famiglie milanesi saranno probabilmente destinate a rimanere carta straccia), la mancanza di prospettive relative alla formazione dei docenti, l’eterna incertezza sulla secondaria superiore, le contorsioni concettuali e pratiche sulla valutazione e altro ancora, possiamo ben vedere che il progetto di degrado della scuola pubblica è avviato e si sta attuando.

Ma ora torniamo ai bambini di Pessano, però a quelli che hanno il piatto davanti. Anche se oggi, forse, si sentono dalla parte del giusto e della normalità, anche a loro l'”anti-scuola” toglie moltissimo, perché nega nel loro bagaglio di esperienza formativa quel principio di solidarietà e di inviolabilità dei diritti fondamentali che è il fondamento di una società ordinata e vivibile. A loro l'”anti-scuola” consegna invece un modello di società egoista, cinica, basata sulla forza: modello pericolosissimo, perché quanto più si abbassa il livello nei rapporti umani e la scuola – come altre strutture essenziali – viene meno al suo compito di unire e garantire, tanto più si aprono le porte alla ferocia. Gli esempi tragici delle conseguenze di questa scelta sono appena dietro l’angolo.

Ma forse no: forse i bambini di Pessano – tutti – potranno trarre una grande lezione positiva dal piccolo gesto delle loro insegnanti, che hanno fatto veramente scuola con la loro decisione: hanno dato non solo un pasto decente ai bambini, ma hanno soprattutto nutrito la speranza che la scuola, la vera, umana, tenace scuola di tanta tradizione milanese e italiana, la scuola pensata e voluta dalla limpida scelta di chi ha scritto la Costituzione, non muore.

Vincenzo Viola



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