4 maggio 2009

DEGRADO URBANISTICO. TRA LEMMA E DILEMMA


Vi sono termini che a prima vista appaiono evidenti ma, che a ben vedere, celano più di un significato e qualche insidia. Il termine degrado rimanda ad uno stato di deterioramento, come recita il dizionario, accostando in questo modo una dimensione effettuale e statica, uno stato appunto, a una dimensione dinamica e tendenzialmente critica, come quella implicata in un disfacimento in corso. Un processo che allude immediatamente a una carenza di cure o, meglio, di manutenzione, per introdurre un tema che pertiéne al degrado urbano, urbanistico in particolare. Un segnale sintomatico di malessere, se non di declino di una città, che viene infatti posto al centro di denunce o di rivendicazioni sociali, di inchieste giornalistiche o di proposte di rimedio.

 

Tuttavia, il degrado specificamente urbanistico invita a qualche cautela e a un’ulteriore, importante distinzione tra degrado dei luoghi, cioè della dimensione fisica e materiale dello spazio costruito e delle sue dotazioni, e degrado delle pratiche, in riferimento ai fenomeni sociali d’uso della città e del territorio, al loro profilo spesso segnato dal disagio sociale o, anche, solo da una incultura diffusa nella fruizione degli spazi pubblici. Tema antico e dibattuto, quello del rapporto tra spazio e società e del malfunzionamento della città in relazione a quello della società (si pensi alla storia ormai lunga e controversa del riformismo sociale e urbano tra Otto e Novecento), che trova ulteriore alimento nella stessa ambiguità costitutiva del termine urbanistica e del suo impiego, storicamente attribuito sia all’insieme dei fenomeni inerenti la vita urbana, sia alle forme e agli strumenti del governo – più o meno pianificato – della città e del territorio. Se infatti, da un lato, il carattere poliedrico dell’urbanistica ne accresce il contenuto culturale e le sue possibili declinazioni, dall’altro lato, complica non poco la possibilità di intendersi sui temi e sulle questioni da trattare, oltre che sulle possibilità di condividere modalità tecniche e operative di intervento, attivabili nelle diverse situazioni.

 

Questo aspetto non è di poco conto: conduce infatti a un sovraccarico di aspettative riposte nell’urbanistica, rendendo questo campo di attività irrimediabilmente frustrato; aumenta sensibilmente lo scarto tra domande sociali espresse da abitanti e fruitori dello spazio urbano e reali capacità di produrre più elevati livelli di qualità e abitabilità dei luoghi. Non è un caso che il ‘degrado delle pratiche’, a cui abbiamo accennato, investa spesso anche le modalità di governo dei fenomeni urbani, gettando discredito sugli stessi attori preposti al loro esercizio, amministratori locali in primis.

 

Si pensi a Milano come caso esemplare! Una città nella quale al peggioramento nella qualità dell’abitare, percepito come problema crescente da cittadini e imprese, sembra corrispondere una fuga generalizzata dalle responsabilità e una sfiducia di fondo verso la possibilità di un’azione pubblica riformista. Ma attenzione! La delegittimazione che circonda il governo pubblico della città e del territorio non ammette facili scorciatoie moralistiche. La cura dei beni comuni – in particolare di quelli che riguardano l’ambiente costruito nel quale viviamo – sfida la collettività nel suo insieme e reclama una cittadinanza attiva in grado di immaginare e progettare anche un’altra città. Ecco dunque ripresentarsi il dilemma tra urbanistica come dimensione fisica e urbanistica come sfera sociale urbana e come democrazia locale. Affrontare il degrado, reale o presunto che sia, può divenire l’occasione per sfidare le culture tecniche e le prassi amministrative a tenere insieme le istanze, ma pure a precisare e qualificare le diverse competenze e possibilità d’azione: non superando definitivamente il dilemma, dunque, ma provando a trattarlo con realismo critico e capacità innovative.

Matteo Bolocan Goldstein


 



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