20 marzo 2013

COSTI DELLA POLITICA E COESIONE SOCIALE


L’Economist, in un recente speciale sui motivi del successo economico e sociale dei paesi scandinavi, conclude che una delle cause principali di quel successo è la qualità della leadership politica: gente pulita, che va in ufficio in bicicletta e che sa ascoltare e interpretare le esigenze del paese. Il contrasto con l’Italia è stridente, e forse una vera ripresa del nostro paese non può che passare proprio da un profondo e radicale cambiamento della classe politica.

Tanto per fare un esempio, Formigoni, e con lui vari altri tra gli 80 consiglieri regionali, lascia il Pirellone non solo con un sostanzioso vitalizio (che si sommerà all’indennità di senatore) ma anche con una “buonuscita” di mezzo milione di euro. Molto più dello stipendio annuo di Obama. E questo in un paese dove sono state deindicizzate le pensioni oltre 1500 euro, il 60% delle famiglie non arriva col reddito a coprire le spese e il 30% della popolazione vive in stato di povertà. Aggiungiamoci poi lo spettacolo dei tanti consiglieri indagati per corruzione o accusati di uso personale dei finanziamenti ai gruppi consiliari, sino all’umiliate addebito di pochi euro per un lecca lecca! Rallegriamoci che indignazione e rabbia si siano manifestate sinora solo nelle urne e non in forme violente.

Certo, la politica ha dei costi e possiamo anche capire Bersani quando sostiene la necessità di assicurare un sostegno finanziario per l’attività del partito. Ma i privilegi del Formigoni e di tantissimi altri possono chiamarsi “costi della politica”? E quei privilegi, a livello nazionale e regionale, non furono sempre approvati all’unanimità, anche dal PD, anzi spesso col sostegno più deciso proprio del PD? La gente ricorda, e forse è anche per questo che i richiami di Bersani in campagna elettorale alla moralità e all’opportunità di ridurre i “costi della politica” sono apparsi tardivi ed hanno fruttato ben pochi voti. Era inevitabile che, travolta la diga, la marea degli indignados travolgesse tutto e si rivolgesse altrove.

In un articolo sull’ArcipelagoMilano del giugno 2010, a proposito della “manovra” con cui Tremonti ridusse sensibilmente il compenso dei consiglieri comunali, sottolineavo come invece le regioni, Lombardia inclusa, forti della loro autonomia costituzionale, non avessero mostrato alcuna propensione ad adeguarsi al clima di austerità che ispirava quella manovra. La “casta” restava totalmente indifferente alle sempre più diffuse critiche di cui era fatta oggetto già allora e da tempo.

Certo, ai rappresentanti eletti occorre offrire un reddito “dignitoso”; ma lo stipendio di un docente universitario o di un primario ospedaliero non sarebbe da ritenersi sufficientemente dignitoso? (eliminando le varie altre forme di compenso che sinora hanno abilmente camuffato).

Non è vero che remunerazioni più elevate siano necessarie per attirare in politica i più capaci; anzi, esse sono dannose, non tanto per il costo in sé quanto per gli effetti negativi sulla coesione sociale e sulla selezione della classe dirigente. Remunerazioni elevate fanno della politica un mestiere che attrae ogni genere di “affaristi” e opportunisti mentre remunerazioni modeste assicurano che a candidarsi siano solo persone spinte dalla passione per il servizio alla collettività.

Ancor più importante è l’effetto sulla “coesione sociale”. Comportamenti virtuosi, dall’impegno al lavoro dei milioni di dipendenti pubblici al pagamento delle imposte sino al pagamento del biglietto del tram, non possono essere ottenuti con i soli controlli o penalità: dipendono fondamentalmente dalla percezione degli individui di appartenere a una società “giusta”, che merita la loro adesione. I paesi dove l’evasione è bassa e l’economia prospera sono quelli nei quali vi è un’elevata coesione sociale e questa dipende molto anche dall’esempio che viene dalla classe politica. Che credibilità può avere chi lancia condanne morali contro gli evasori, dando lui stesso un tale spettacolo di immoralità? Il danno più grave che ha fatto la “casta” al paese è proprio questo, l’aver minato per anni il nostro senso di appartenere a una società giusta e quindi la coesione sociale.

Giorgio Ragazzi

 



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