20 marzo 2013

I PARTITI E IL IL MODELLO MILANO


Giovanni Cominelli ha espresso un giudizio che ritengo sbagliato e liquidatorio, sull’esperienza “arancione” milanese, che voglio riportare perché confutandolo forse possiamo chiarire qualche equivoco. Scrive Cominelli: “il candidato (Ambrosoli) non ha visto la Lombardia reale. A questa miopia ha contribuito indubbiamente l’arancionismo, plasticamente rappresentato sul palco del Dal Verme il 12 gennaio da Gherardo Colombo, Lella Costa, Vecchioni, Eco, Gad Lerner… L’arancionismo è la fase suprema e senile della sinistra radical-chic, rinserrata tra le mura spagnole, che eccita e diverte le platee con le facili battute antiberlusconiane e antileghiste, ma che non ha mai avuto il collegamento intellettuale con il tessuto economico-sociale e culturale lombardo. Un po’ di società civile, un po’ di trasparenza, un po’ di legalità e tanto doveva bastare“. (da ArcipelagoMilano del 6 marzo)

La tesi espressa può avere qualche fondamento se riferita a quel gruppo di sostenitori del candidato, in realtà incline più ai severi sermoni che alle facili battute, che hanno infaustamente spinto Umberto Ambrosoli a essere “selettivo” e non “inclusivo” nella proposta politica. Ma questa posizione nemmeno velatamente giustizialista, non molto lontana da quella dei tempi della campagna di Nando Dalla Chiesa del 1994, non ha molto, per non dire nulla, a che vedere con il movimento arancione che ha accompagnato Giuliano Pisapia prima, durante e dopo la sua elezione a Sindaco di Milano.

Pisapia sussume la proposta politica nella sua personale immagine e storia, costituendo un unicum, un caso irripetibile, a prescindere dal giudizio che ciascuno può dare sulla persona e sulla sua esperienza. Ma la vittoria a Milano, avuta alla Camera, al Senato alle Regionali, in proporzioni uniche in tutto il Nord, è li a dimostrare che il consenso non solo è rimasto ma si consolida fortemente intorno al modello politico rappresentato dall’amministrazione Pisapia. Ne sono ulteriore prova le dimensioni del successo personale della capolista Lucia Castellano, dichiaratamente “rappresentante” della Giunta milanese, ottenuto alla prima esperienza di ricerca di consenso.

È il modello politico che va oltre le appartenenze originarie e partitiche e fa ritrovare tutti in un progetto nuovo che va “oltre” e non “contro”, che interpreta meglio la realtà di un mondo del centro sinistra che esiste, che non si riconosce nei partiti e soprattutto non riconosce ai partiti, Pd in testa, una rappresentanza esclusiva, ma che si mobilita per le primarie o per le campagne elettorali quando si trova davanti a una proposta convincente ovvero alla possibilità di scegliere fra diverse opzioni e non per ratificare scelte di oligarchie ormai screditate.

Certo, a Milano adesso in qualche modo il progetto è “facile”, perché si tratta “solo” di amministrare la città, utilizzando più il buonsenso che l’inventiva politica. I limiti dell’esperienza arancione sono evidenti: il modello di partecipazione promesso nella campagna 2011 nella pratica amministrativa è ancora troppo “top-down”, tutto incentrato sulle proposte della Giunta e non sulla valutazione e raccolta delle energie dei cittadini. L’esperienza dell’introduzione di Area C, una proposta della Giunta vagliata da decine di assemblee cittadine e passata per un dibattito di dimensioni che non si vedeva da molti anni a Milano, è certamente un esempio molto positivo, ma non vi è dubbio che si possa e si debba fare di più.

Il modello Milano, con tutti i limiti politici e personali che vogliamo trovare, ha comunque già sfidato Grillo – come esorta a fare Renzi – e lo ha tenuto sotto il 10 % proprio per quello che ha fatto e rappresentato, risultato decisamente migliore rispetto ai corteggiamenti ai parlamentari di M5S o ai tentativi di rimozione del problema.

Il modello sciaguratamente evocato con la riesumazione di Prodi in piazza Duomo nella chiusura di campagna elettorale, quello dell’Ulivo e dei cespugli, è definitivamente defunto con il voto del 24 febbraio. Sarebbe cosa buona e giusta che si seppellissero rapidamente le sigle un tempo gloriose e grottescamente portate ancora in processione, come quella del Psi o perfino del Pri, così come quelle che non sono mai andate oltre il ruolo di mezzo di trasporto verso qualche seggio per cariatidi politicamente nate vecchie, come è stata Sel, senza considerare operazioni nate politicamente morte anche se in grado di “infettare” e danneggiare l’intero corpo del centrosinistra come i cartelli tipo Ingroia presidente. In tempi di crisi così profonda non ci si può più permettere che la sinistra oziosa continui a dibattere, nel disinteresse generale, sulla misurazione del tasso di sinistra e i vari professori firmaioli, opinionisti, magistrati ansiosi di pubblicità, rifondaroli vedovi e sindacalisti di passaggio si occupino della costruzione di un sistema metrico sinistrese, cosa di cui secondo loro tutto il mondo sente un enorme bisogno e che darà il solito risultato: disperdere i voti, far perdere tempo a un numero fortunatamente decrescente di giovani e mettersi di traverso ogni volta che si vuole costruire qualcosa

È necessario invece che tutti gli uomini e le donne che hanno creduto e credono in queste esperienze, che non si riconoscono nel Pd ma che continuano a sentirsi parte del “partito che c’è”, che è il popolo del centrosinistra, si ritrovino anche nella ricerca di una forma stabile di organizzazione politica. Il futuro è quello di un partito unico, ma questo futuro sarà possibile solo quando egemonismi, rendite di posizione, poteri oligarchici di ristretti circoli saranno usciti definitivamente di scena. Non credo che questo momento sia molto lontano, anche se sappiamo che la resistenza degli apparati o supposti tali è sempre simile a quella del prode che continuava a combattere senza accorgersi di esser morto.

Organizzazioni e associazioni come il Movimento Civico o la Federazione regionale delle liste civiche sono a questo punto veicoli necessari per mantenere la tensione e il rapporto fra militanti e persone che intendono fare politica: devono però rifuggire come la peste ogni tentazione di burocratizzazione, autoreferenzialità e desiderio di insostituibilità tipico di quegli stessi partiti che hanno rifiutato come modello e sbocco.

L’art 49 della Costituzione recita che i cittadini sono liberi di associarsi in partiti, non che i partiti sono liberi di associare i cittadini: quando anche a sinistra si capirà questa fondamentale differenza forse si cesserà di andare in giro a chiedere conversioni e pentimenti per tornare a guadagnarsi il consenso con la forza delle proprie idee. Sarà un bel giorno per noi tutti e per la nostra democrazia.

 

Franco D’Alfonso



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