20 marzo 2013
PHILIP K. DICK
IL CERCHIO DEL ROBOT
Fanucci Editore, Roma, 2013
pp. 295, euro 17,00
Molti scrittori devono corteggiare la morte per diventare famosi. È il caso di Philip K. Dick. In vita non ha mai ottenuto l’apprezzamento della critica riconosciuto dopo la sua scomparsa, avvenuta a soli 53 anni. Solo allora è stato annoverato tra gli autori di culto, grazie anche agli adattamenti cinematografici dei suoi romanzi, come Blade Runner, Minority Report e Total Recall. Ma Philip K. Dick non è solo l’autore degli indimenticabili libri di fantascienza, in cui emerge il suo spiccato talento visionario, e la costruzione di mondi paralleli che si avvale di un’architettura sofisticata su cui si sviluppano meditazioni sul senso dell’esistenza e la libertà dell’individuo. Dick, di fronte ai grandi interrogativi dell’uomo, che febbrilmente lo sconvolgono, si cimenta con opere non di fantascienza, ai tempi scartate dagli editori.
Nel 1956, il giovane autore scrive un romanzo di vita contemporanea ambientato a San Francisco. Un inedito che oggi giunge in Italia, senza tagli, grazie alla nota casa editrice Fanucci, con una bella introduzione redatta dal critico Carlo Pagetti, professore dell’Università Statale di Milano.
“Il cerchio del robot” è il ritratto di una coppia in crisi costretta a confrontarsi con le proprie fragilità, sullo sfondo di una California, come Dick se la ricorda da bambino. I protagonisti sono uno speaker radiofonico di nome Jim Briskin e la moglie Pat. Il loro matrimonio è stato un errore. In particolare, lo scoprire che Jim non potesse avere figli è traumatico per Pat, che sfoga i suoi istinti materni ed erotici con Art, un ragazzo molto più giovane di lei. Jim non è da meno e istaura una relazione con la moglie di Art. Rachel è minorenne e aspetta un figlio dal marito. Ma Jim non si scoraggia, anzi è disposto a fuggire con lei e ad adottare il bambino.
La ricerca di nuove emozioni per evadere da se stessi è fallace e genera solo brevi momenti di appagamento per finire in un’inevitabile sconfitta. Dick descrive il rapporto tra persone profondamente insoddisfatte, di due generazioni diverse, che costruiscono nuove relazioni sulla reciproca seduzione. Ed emerge una maturità che appare più carismatica di quello che è in realtà agli occhi di ragazzi inesperti e una gioventù caratterizzata dal vigore, ma anche dalla superficialità e dalla leggerezza. Al culmine dello scambio trasgressivo di esperienze umane, in cui i personaggi si rendono conto dell’inadeguatezza del loro linguaggio, così come dell’incapacità di rendere a parole la profondità dei loro desideri, esplode la consapevolezza di aver perso tutto, per avere ancora meno.
La sola via di redenzione è quella del ritorno a casa, ma non è priva di ostacoli, perché ognuno pagherà lo scotto dell’evasione da una società ancora fortemente repressiva. Il goffo tentativo del suicidio di Pat imbratta di rosso le pagine del romanzo, in contrasto con le tenebre che avvolgono la città notturna e il dramma oscuro di ogni uomo che si trova solo con se stesso. Un tema attuale in cui noi e i personaggi dickiani, per sopravvivere, ci aggrappiamo alla speranza per ritrovare le certezze tra le macerie di quanto distrutto. (Cristina Bellon)
Mercoledì 20 marzo alle ore 18 verrà presentato presso Palazzo Sormani il libro di Matteo Collura, Sicilia – La Fabbrica Del Mito, edito da Longanesi, già recensito per noi da Paolo Bonaccorsi
questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero