4 maggio 2009

TRA DEGRADO E PAURA. COME USCIRNE


Conta di più la realtà o la percezione? L’era berlusconiana privilegia la percezione, fatto emotivo, largamente influenzabile dai media. Ma anche il mito percettivo ha i suoi limiti nel conflitto tra virtuale e reale: guardando la televisione e quel che ci mostra – fatta eccezione di qualche telegiornale che non riesce proprio a nascondere la realtà – saremmo indotti a pensare che viviamo nel migliore dei mondi. Il risveglio, quando c’è, è amaro: come quando la percezione del degrado coincide con la realtà.

Ma cosa è per noi il degrado? È la realtà d’oggi confrontata con ieri ma anche il tradimento delle aspettative. In questa società, drogata dal mito dell’equivalenza tra crescita economica e progresso, ci accorgiamo che la qualità della vita, nelle grandi come nelle piccole cose, è diminuita. La valutazione del degrado è fatta sempre per confronto e questo ne rende diverso l’apprezzamento per le diverse generazioni. Chi oggi ha settant’anni si è rapidamente adattato all’arrivo della televisione, poi del fax, e poi via via a Internet e ai telefoni cellulari.

Ma si ricorda bene le strade pulite, la sua scuola elementare, i rapporti sociali degli anni del dopoguerra, il verde milanese, l’arrivo del nuovo Codice della strada e le righe pedonali, l’università, per chi la fatta, e il traffico in città. Chi è nato cinquant’anni dopo ha aperto gli occhi sui marciapiedi dissestati, sui muri pieni di graffiti, ha fatto fatica ad andare all’asilo, si è trovato una scuola dissetata e travolta da continue riforme, un’università che non gli ha dato prospettive di lavoro ma, bisogna dirlo, anche una sanità che non lascia fuori nessuno. Ha trovato come “normale” la droga, la violenza urbana, ha trovato il razzismo e l’antisemitismo senza avere il vaccino dell’antifascismo. Ha trovato tutto questo e da lì parte il suo confronto ma, malgrado questo, percepisce il degrado anche nel breve ambito della sua vita forse più come delusione rispetto alle aspettative.

Un discorso a parte va fatto sui rapporti tra degrado e paura, in particolare paura degli immigrati. La paura è un vecchio strumento di governo. Dalla paura dell’inferno alla paura dei barbari, alla paura delle epidemie e oggi incrocia il senso di degrado indotto rispetto a una sorta di Paese felice che in realtà non c’è mai stato. Paura e degrado sono sensazioni che vanno combattute perché tendono a frantumare la società a dividere ed emarginare. Ma come? Per la paura il discorso è complesso, si fa politico, entra nella sfera della competizione per il potere e delle sue armi lecite e illecite, democratiche e no. Per il degrado la strada è più semplice e ci riguarda da vicino: dobbiamo diventare predicatori di civiltà. Ritrovare la civiltà delle cose fatte bene, del far bene il proprio mestiere, del pretendere che altri lo facciano, del non rassegnarsi all’indifferenza ma anche insegnando a figli e nipoti a vedere e non solo a guardare quello che ci circonda.

Ma non ci si deve fermare lì. Esiste un ruolo attivo, quello delle associazioni di scopo, dei comitati, dei gruppi organizzati di cittadini, di chi non si limita a protestare, ma va la domenica a ripulire le sponde di fiumi. Il volontariato, ecco, che è il vanto di una società civile ma anche la dimostrazione di una classe politica di governo al di sotto di ogni aspettativa: più un governo è incapace di provvedere alle necessità dei cittadini, o a tutelare la qualità della loro vita e più volontari ci vogliono. L’Italia.

L.B.G.



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti