13 marzo 2013

L’EURO E LE 5 MONETE D’ORO DI PINOCCHIO


Anni fa, in una tavola rotonda parigina sul teatro italiano, un amico di chiara fama rispose a un interlocutore malevolo – per il quale Pinocchio era il modello italiano – che Pinocchio alla fine diventa persona, intendendo che siamo tutti Pinocchi, fin che non maturiamo. Col gatto del centrosinistra e la volpe del centrodestra, la new entry Grillo (stra)parlante completa il quadro, dipinto da noi stessi, di un Bengodi cui Pinocchio non vuole rinunciare, o meglio non può perché non ha la capacità critica e la forza di carattere coltivati con una buona istruzione innestata su una buona educazione. Sappiamo da Tullio De Mauro che per la maggior parte siamo analfabeti funzionali: leggiamo sentiamo vediamo ma non capiamo parole fatti e dati elementari nel resto del mondo. È il nostro problema di fondo.

Nelle ultime elezioni dovevamo decidere che cosa fare da grandi, dopo troppi anni spensierati e un cartellino giallo dell’Unione Europea che abbiamo preso tanto sul serio tanto da fare sacrifici severi (inutili?). Dopo un anno in cui abbiamo investito tutto sull’Europa, alle elezioni le abbiamo voltato le spalle confermando scelte e uomini che ci sono costati il cartellino giallo e tornando al futuro con un piccolo Sessantotto. Oltre imparare a governare, ora è chiaro che dobbiamo anche imparare a votare. I problemi sono fatti per essere risolti, ma occorrono cultura e tempo, non bastano marketing e improvvisazione.

Se il mondo non ci piace, è inutile chiuderci in casa. Al contrario di Maometto e della montagna, se Pinocchio non va nel mondo è quest’ultimo a andare da Pinocchio, con le sue regole, che spesso devono essere riformate, ma non possono essere ignorate come a Bengodi, dove il lavoro non vale, perché basta vendere le proprie doti naturali sui media, anche fatti in casa.

Da vent’anni molto remunerative per pochi sul mercato della politica e delle istituzioni, sono doti di avvenenza e spettacolo, perché se non si cresce si vende ciò che si è (belli e belle di mamme più attente al casting che alla castità), cantando e ballando. Ma affinché ci siano soldi per i sempre più numerosi che si offrono, ci vuole un mercato con un giro crescente di soldi, promosso da una politica che vi convogli adeguate risorse pubbliche di attenzione, consenso e incentivi. Così ha fatto e farebbe ancora il centrodestra, per fortuna gli altri sono meno bravi (Veltroni ci ha provato, non è andata).

La società dello spettacolo è così diventata politica e poi economia, alimentata da un giro di soldi provenienti dal forte aumento del debito pubblico (già con Craxi Andreotti Forlani, e Reagan guida e esempio, eticamente motivato dalle guerre stellari). Il nostro ingresso nell’euro ha poi dato una sensazionale accelerazione abbattendo i tassi di debito pubblico dal nostro tradizionale 10-15% al 3-4% tedesco, vale a dire con nuovi spazi di indebitamento. Inoltre, il passaggio all’euro consentì (solo in Italia) a commercianti artigiani e professionisti di raddoppiare i prezzi, sulla scia autorevole dell’allora ministro alle finanze Tremonti che fissò l’imposta di bollo in un euro in luogo delle vecchie mille lire. (Quell’estate lasciai l’auto in garage a una tariffa giornaliera di diecimila lire, già cara; al ritorno, la moglie contabile del garagista mi presentò un conto calcolato su dieci euro: dopo un chiarimento col garagista che era anche il mio meccanico, l’equivoco fu chiarito, ma non fui in grado di fare altrettanto in tutti gli altri negozi, commerci, servizi milanesi).

In breve, ci siamo mangiati il grano in erba, buttando i nostri soldi per goderci la vita invece che investirli nel lavoro, guidati da politiche governative imperniate sul culto del corpo e del mattone, miracolose fonti di potere e ricchezza. Un potere diffuso, in particolare delle belle donne alle quali gli uomini non sanno resistere, povere vittime; a sua volta, il mattone è democratico, piace a tutti, è il motore di tutto. Una ricchezza altrettanto diffusa, perché il denaro facile circola facilmente. Una vera benedizione del cielo grazie alla finanza creativa, che premia la rapidità dei guadagni, non la loro solidità. È così che a Milano vi sono interi quartieri nelle zone di maggior pregio dove svettano grattacieli mai finiti, altrettante torri di Babele che hanno pietrificato miliardi nostri (tramite banche e finanziarie) in monumenti alla nostra dabbenaggine, mentre praticamente ogni isolato ha uffici e abitazioni in vendita o affitto. Bengodi, l’economia della rapina.

Ma ora c’è il Grillo col dito puntato sull’uscita dall’euro. Sprecati tutti i primi anni dell’euro e del terzo millennio, è necessario guardare al futuro. Una vita progettata (da cittadini, non da emigrati) nel contesto di una moneta stabile e forte in una Europa anch’essa stabile e forte è un paradiso, rispetto alla vita in mezzo ai terremoti associati a una moneta ipotetica come la lira e a una improbabile Italia di macroregioni al nord, isole autonome al sud e economie sommerse ovunque. Infatti le poche imprese estere presenti se ne vanno, mentre ciò che rimane di FIAT preannuncia di lasciare insieme all’euro, forse un alibi, ma ben scelto.

Si sta delineando la scelta di fondo tra gli ormai insopportabili rumori che da troppi anni hanno preso il posto di pensieri e parole dotati di significato. L’Argentina è il paese modello del progetto Propaganda2, P2 per gli amici, che ha plasmato l’Italia di oggi. L’Argentina insegna che legarsi a una moneta forte per poi uscirne, significa dare l’occasione, a chi ha messo i soldi al sicuro, di comprarsi il paese con una modesta parte di quei soldi, quando si torna alla valuta nazionale debole e screditata.

La democrazia ce la siamo già giocata con la legge elettorale porcata, secondo l’elegante gergo di chi l’ha inventata e ora si occupa della macroregione del nord. Ma adesso si tratta di economia, e anche se è ancora Bengodi lo è per pochissimi, secondo l’antica usanza. È in gioco il nostro Pin, occhio.

 

Giuseppe Gario

 



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