12 marzo 2013

musica


 

CRITICI E IPERCRITICI

Sta accadendo qualcosa di insolito nel mondo della musica classica, almeno in Italia, o forse solo a Milano, ma può darsi che insolita non sia più di tanto, che si tratti invece di un fenomeno ciclico o che ogni tanto riappaia con evidenza: una spaccatura verticale nel pubblico degli appassionati, fra entusiasti permanenti e delusi cronici, con la scomparsa di osservatori attenti, scevri da pregiudizi, critici quanto basta, che non si fanno sopraffare da facili emozioni.

Proviamo a entrare nel vivo e a portare qualche esempio. In questi ultimi giorni abbiamo ascoltato tre concerti, da ogni punto di vista diversi l’uno dall’altro, tanto da rappresentare uno spaccato realistico della situazione: recital di un solista, concerto di musica sinfonica, concerto di musica da camera; a Lugano e a Milano; con strumenti antichi e moderni; con interpreti americani, cinesi, danesi, olandesi; programmi di musica classica, romantica e moderna (senza arrivare alla contemporanea, della cui misteriosa essenza ci ha riferito Andrea Silipo la settimana scorsa a proposito del bel libro di Ricciarda Belgiojoso, “Note d’autore. A tu per tu con i compositori d’oggi” appena uscito per i tipi di Postmedia Books). Insomma un po’ di tutto, una sorta di panoramica sul concertismo d’oggi, ed ecco i programmi:

* Lugano, 24 febbraio, Auditorium della Radio della Svizzera Italiana: Malcom Bilson, musicista e pianista americano ricco di titoli e di premi per i suoi studi e le sue performance su strumenti storici a tastiera, esegue 4 Sonate di Beethoven (opera 49 nn. 1 e 2, opera 7 e opera 31 n. 2) su un bel fortepiano, copia perfetta di uno strumento che fu proprietà di Beethoven. Scarsissimo pubblico ma entusiasmo alle stelle.

* Milano, 28 febbraio, Auditorium di largo Mahler, l’orchestra Verdi con i Cori di Voci Femminili e di Voci Bianche esegue la monumentale Terza Sinfonia di Mahler diretta da Xhang Xian, ottima la contralto Carina Vinke. Pienone, successo strepitoso, come sempre lunghissimi applausi e urla da stadio.

* Milano, 4 marzo, Sala Verdi del Conservatorio, il violinista Nikolaj Znaider accompagnato dal pianista Robert Kulek esegue per le Serate Musicali un programma di opere giovanili di Schubert (opera 137), Beethoven (opera 30 n. 2, la meno “giovanile” di tutte), Webern (opera 7) e Richard Strauss (opera 18). Anche qui, sala piena e pubblico entusiasta (due bis).

Premessa: alcuni lettori lamentano una certa (supposta) tendenza al mugugno da parte del sottoscritto, con l’attribuzione dell’ironico titolo di “ipercritico”; per fortuna altri hanno osservato quante volte ci infervoriamo e tessiamo lodi di interpreti, spesso giovanissimi e ancora sconosciuti, che propongono programmi colti e intelligenti, conducono l’ascoltatore a capire qualche cosa in più della grande musica, ad approfondire – e dunque godere maggiormente – i grandi capolavori grazie a nuove chiavi interpretative, a riscoprire musiche neglette e pur meritevoli di attenzione.

Ebbene nei tre casi cui abbiamo accennato, alle innegabili manifestazioni di consenso e all’evidente successo degli interpreti, non era possibile sovrapporre un pacato giudizio positivo. Si è trattato in tutte e tre le occasioni di esecuzioni superficiali, mal preparate e orientate più a ottenere facile consenso dal pubblico che ad approfondire i testi e i loro significati. Gli abbellimenti gratuiti e il fraseggio tardo romantico del professore americano, la foga incontrollata e la passionalità poco mahleriana della direttrice cinese (che si è riscattata nell’ultimo tempo), la velocità smodata nei tempi veloci contrapposta alla esasperante lentezza nei tempi lenti del duo danese – americano – israeliano, sono altrettanti segni di superficialità e della voglia di strappare applausi spendendosi poco nello studio e nella riflessione sui contenuti. Come se l’interpretazione delle grandi opere fosse un’operazione semplice, elementare, un problema squisitamente “tecnico” per cui non serva tanto scavare nella profondità e negli abissi dell’opera quanto andare incontro ai gusti del pubblico, vellicarlo e blandirlo, sorprenderlo con la propria abilità e sicurezza; cioè con quelle qualità che si risolvono facilmente nel risvolto negativo della prestazione artistica.

Il pubblico si divide e lo si vede benissimo: da una parte gli entusiasti, soddisfatti e radiosi, felici e contenti; dall’altra i musi lunghi e smarriti di chi si chiede perché mai abbia dovuto assistere a esibizioni di mero virtuosismo, prive di “intelligenza musicale”, non sostenute da una sofferta ricerca di senso che consenta di raggiungere risultati seri, proponibili a un pubblico maturo e consapevole. I grandi interpreti, quelli che scandiscono la propria vita affrontando nuovi repertori mano a mano che li sentono maturare dentro di loro, quelli che si immedesimano a tal punto in un autore da far fatica ad accostarlo ad altri senza aver trovato un filo conduttore che guidi dall’uno all’atro, quegli interpreti che fanno progredire nel tempo il grande racconto della musica, di concerti ne fanno pochi e su ciascuno di essi investono conoscenza, competenza e fatica per dare al pubblico emozioni incisive, profonde, durature.

Post scriptum

Lunedì 11 si è aggiunto alla nefasta serie di concerti discutibili un episodio addirittura increscioso: un giovane pianista bulgaro, con meno di trent’anni, che dichiara nel suo curriculum di avere sfiorato (!) il premio Chopin di Varsavia nel 2010, si è esibito in sala Verdi del Conservatorio in un programma che abbracciava da Beethoven a Liszt. Siamo letteralmente scappati dalla sala dopo il primo pezzo – la Sonata n. 18 in la bemolle maggiore opera 31 n.3 del sommo compositore tedesco – con lo stomaco strizzato dalla incoscienza di questo giovanotto che giocava sul pianoforte esattamente come su un campo da tennis, divertendosi e credendo di divertire il pubblico con il gioco della velocità, con inverosimili abbellimenti, con violenti chiaroscuri e inopinate sospensioni, nella totale ignoranza della complessità poetica e psicologica di quella straordinaria opera. Vorremmo conoscere il nome dell’agente che l’ha proposto (o imposto?) alle Serate Musicali.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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