GAMBIT

di Michael Hoffman [U.S.A., 2012, 90′]

con Colin Firth, Cameron Diaz, Alan Rickman, Tom Courtenay, Stanley Tucci

Nel gergo degli scacchi il gambetto (gambit in inglese) è un’apertura che comporta il sacrificio volontario di un pedone, mossa che, in alcuni casi, libera i movimenti più efficaci della regina. Questo è il caso di Gambit, la nuova pellicola di Michael Hoffman tratta dalla sceneggiatura dei fratelli Coen e remake dell’omonimo film di Ronald Neame.

Il pedone è Harry Deane (Colin Firth), un ingessato e goffo esperto d’arte contemporanea che sbarca in Texas per arruolare la sua regina PJ Puznowski (Cameron Diaz), spennatrice di polli e rodeo-girl. Lo scacco matto all’avido e irascibile datore di lavoro di Harry, il magnate Lionel Shahbandar, (Alan Rickman) non è però rapido e scevro da pericoli come nei sogni dell’ingenuo protagonista.

Il buon esito della truffa rimane, tuttavia, facilmente intuibile. Il proprietario manifesta così palesemente incompetenza e rozzezza, da non mettere mai in dubbio la fine in mani meritevoli dei Covoni di Monet. La sceneggiatura gioca così sulla perdita di dignità del povero Harry, costretto prima sul lastrico dai vizi della sua “ospite”, poi realmente senza pantaloni nel più lussuoso albergo della città.

Il punto di forza di Gambit dovrebbe essere la coesistenza, per un’ora e mezza, di tre personaggi agli antipodi, ma il tentativo di divertire sconfina presto nella ridicolaggine. I dialoghi ricorrono troppo spesso al doppio senso più prevedibile, perdendo così l’occasione di sfruttare in modo originale le scene più divertenti.

D’altronde il Maggiore (Tom Courtenay), fedele compagno di truffa di Harry, ci aveva avvertito: la storia sarebbe stata sciocca e coraggiosa. E il coraggio, di un pur convincente pedone come Colin Firth, non è bastato.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Ducale, Plinius, The Space Cinema Odeon, UCI Cinemas Bicocca.

 

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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