27 febbraio 2013

L’INUTILE PRUDENZA DEL FUOCO AMICO


Le analisi dei risultati elettorali ci occuperanno per qualche settimana e il tema sarà scavalcato prepotentemente dalla vicenda legata alla formazione, se ci si arriverà, del prossimo governo. Anche l’affannosa ricerca delle cause della sconfitta del centro sinistra che non ha saputo coagulare attorno a sé di che candidarsi a guidare una solida maggioranza saranno argomento d’infiniti e logoranti dibattiti. Insomma di chi è la colpa? O meglio di chi sono le colpe? Sgomberiamo il tavolo dalle facili giustificazioni: gli italiani sono fatti così, il loro DNA politico è questo, guardano alla politica come al calcio e potremmo continuare per qualche riga. Ma questo non cancella le responsabilità, quelle della vera e propria classe politica e quelle della cosiddetta società civile.

Il grande imputato della sinistra è il Pd. Già lunedì sera il direttore di Repubblica diceva: ” il Partito Democratico si è seduto sul successo delle primarie” e ha considerato che la vittoria fosse in tasca, forse più fidando sulla disfatta di Berlusconi che sulle sue capacità: pensava di vincere per abbandono dell’avversario. Incauto. Ma la sua parte di colpa se la deve prendere anche la società civile: una colpa che non so se collocare tra il reato di mancato soccorso o una colpa per eccesso di prudenza o forse di cinico e disilluso distacco. Per farla breve non abbiamo detto a voce sufficientemente alta quello che ci passava per la testa: bisognava dirlo in ogni sede, con ogni mezzo, pur sapendo che dall’altra parte ci stavano prevalentemente dei sordi ma non si sa mai. Prima di tutto lo scarso impegno del Pd in Lombardia e a Milano.

Non voglio sentirmi dire che l’elezione di Pisapia è stata una vittoria recente del Pd perché ho ancora troppo viva la memoria della campagna elettorale per Ferrante e quella per Ambrosoli me l’ha ricordata da vicino. Voglio notare che non è stata fatta nemmeno una conferenza stampa di presentazione della lista Pd e dei suoi programmi. Voglio far notare che l’attività dei singoli candidati è stata più che mai una campagna elettorale “interna” per strapparsi delle preferenze. Era chiaro che tutta la campagna era orientata a garantire gli uscenti più che a promuovere volti nuovi. Ho avuto l’impressione che il segmento “rosa” non sia stato valorizzato. Ci si è mossi male, in ritardo, non uno slogan che fosse comunicativo, tutti sulla falsariga dell’usato sicuro in un momento, forse magico, nel quale la gente era disposta a credere anche ai sogni purché a farli sognare non fossero le solite facce.

E poi per quale ragione far scendere Matteo Renzi accanto ad Ambrosoli solo nell’ultima settimana? Lo si è messo in campo quando finalmente qualcuno ha cominciato ad aver paura di Grillo? Ma ancora prima, perché non si è capito che un ruolo più marcato di Renzi avrebbe avuto il risultato di attirare consensi dall’area moderata. Io sono convinto che se Matteo Renzi avesse avuto più ruolo probabilmente Mario Monti non si sarebbe presentato perché parte del suo elettorato gli avrebbe preferito Renzi.

Nello stesso modo sono convinto che se Umberto Ambrosoli nella sua campagna elettorale avesse considerato che l’onestà è un prerequisito per fare politica e che nessuno avrebbe messo in discussione la sua e dunque meno avesse insistito su quel tasto ma si fosse dedicato a temi più vicini alle prime necessità della gente allontanando da se un’immagine molto borghese di chi vive in un ceto privilegiato, probabilmente avrebbe raccolto maggiori consensi. Qual è dunque la nostra colpa? Non aver detto queste cose con maggior vigore forse anche bloccati dal timore di offrire occasione all’opposizione di vedere nella critica il dissenso. Il fuoco amico in certe occasioni può essere salutare. Comunque è andata così. Probabilmente non ci saranno rivincite in futuro. Non con questi partiti almeno, con altri forse ritemprati dalla doccia fredda di Grillo. In Lombardia però cinque anni sono lunghi da passare.

Luca Beltrami Gadola



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