26 febbraio 2013

ELEZIONI REGIONALI. LE CIFRE E I CONFRONTI


Commentare le elezioni regionali, anche se al momento di scrivere mancano ancora dati definitivi, è relativamente facile rispetto alle nazionali. Il vincitore è certo e ha un nome e cognome: Roberto Maroni, che in pochissimo tempo ha assunto il controllo del suo partito sbaraccando i concorrenti, ha licenziato un logorato ma pur sempre potente Formigoni imponendogli le dimissioni, ha reimpostato un’alleanza con Berlusconi da posizioni di forza, ha espulso dalla sua coalizione un temibile concorrente come Albertini e last but not least ha portato a casa un consiglio regionale a sua immagine e misura.

In termine di voti, essendo difficile fare raffronti tra valori assoluti, stante che l’abbinata con le politiche ha portato al voto il 12% di elettori in più, Maroni pur perdendo il 13% rispetto a Formigoni, con il 10% della sua lista personale azzera praticamente le perdite della Lega e scarica tutto il saldo negativo sulle spalle del Pdl che non a caso passa dal 31 al 16%. Complessivamente il centrodestra alle regionali migliora la performance delle politiche e poiché questo avviene anche nel centro sinistra risulta evidente che nelle elezioni presidenziali l’elettorato sceglie in una logica bipolare dove il candidato pesa più delle liste e delle coalizioni.

Con Maroni si conferma la tendenza di parte dei lombardi di votare solo il presidente e non le liste, questo vale anche per Ambrosoli, ma rispetto al suo predecessore Maroni non soffre granché del voto disgiunto che comunque ha un peso relativo.

Se è chiaro il vincitore sono altrettanto chiari i perdenti: Gabriele Albertini e Umberto Ambrosoli.

Albertini e la sua coalizione dimezzano i voti rispetto alle politiche e si attestano su una percentuale simile a quella del grigio Pezzotta e dell’Udc, rispetto alle aspettative di partenza un risultato disastroso, tanto più considerando che la sua candidatura ha condizionato la campagna elettorale offuscando parzialmente il candidato di centro sinistra.

Ambrosoli, come Maroni, migliora la performance rispetto alle contemporanee politiche contenendo l’effetto Grillo, migliora di 5 punti il risultato di Penati (che però aveva una coalizione ridotta senza Rifondazione Comunista) ma resta 5 punti sotto Sarfatti che aveva ottenuto il 43,6%, ottiene un consenso personale superiore a quello delle liste. Com’era facile prevedere le possibilità di vittoria di Ambrosoli si giocavano da una parte sulla capacità di attrarre voti dal centro destra sottraendoli a Monti dall’altra di mantenere i grillini in una percentuale sotto il 10%, magari ricercando il voto disgiunto. Entrambi questi obbiettivi sono stati tentati ma non raggiunti. Gli endorsment di Ichino e Borletti non sono stati sufficienti e il voto disgiunto grillino è inferiore all’1%.

Per i partiti nel centrosinistra si conferma l’egemonia assoluta del PD che guadagna percentualmente rispetto alle precedenti regionali, il declino della sinistra radicale con i modesti risultati di Sel ed Etico e la scomparsa dell’Italia dei Valori che alle precedenti elezioni aveva superato il 6% sostituita dalla lista civica che ottiene il 7%. I centristi aggregati ad Ambrosoli fanno quel che si dice la loro modesta parte mentre sfugge il perché della lista socialista.

Colpisce il dato di Etico perché Di Stefano aveva ottenuto alle primarie un clamoroso 23% dei 150.000 elettori mentre alle elezioni vere non supera l’1% con circa 50.000 voti, evidenziando le distorsioni che si creano tra primarie che favoriscono le componenti più radicali e la campagna elettorale dove queste componenti sono meno rilevanti.

I grillini hanno non hanno lo stesso successo rispetto alle politiche ma guadagnano comunque oltre 10 punti rispetto alle precedenti regionali, di fatto probabilmente favorendo la vittoria di Maroni.

Come in tutte le sconfitte del centro sinistra è prevedibile che parta la caccia al colpevole con due  interpretazioni ricorrenti: a) il candidato non era all’altezza ed era troppo Milano centrico b) i partiti, cioè il Pd, hanno lasciato solo il candidato; il tutto accompagnato dal solito refrain: le parole d’ordine erano sbagliate, mancavano i soldi, i manifesti erano brutti, i candidati si sono occupati solo delle preferenze, il segretario si deve dimettere etc.

Vale la pena ricordare: 1) il candidato è stato eletto con primarie quindi nel modo più consono per incrociare il gusto degli attivisti, 2) il candidato fin dall’inizio ha sottolineato la caratteristica civica della sua candidatura e la sua distanza dai partiti quindi il passo indietro del Pd corrispondeva a una precisa e condivisa strategia, 3) la campagna elettorale è stata impostata sulla parola d’ordine della “legalità” cercando quindi di contendere spazio al grillismo (e riuscendovi anche visto i risultati) ma probabilmente risultando poco efficace per contendere elettori del centro destra.

Non vedo un errore particolare o una strategia sbagliata nella campagna di Ambrosoli, forse personalmente un po’ troppo “ingessato” e privo di acuti, forse vi è stata una sopravvalutazione del potenziale della società civile e un insufficiente approfondimento dei temi economici della crisi, forse le primarie era meglio tenerle tempo prima, ma si potrebbe continuare all’infinito. La ricerca del perché di una sconfitta elettorale è spesso simile a quella della sconfitta calcistica: con il senno di poi sono tutti straordinari allenatori. Meglio lasciar perdere, ringraziare chi ci ha messo la faccia e ripartire da zero.

Walter Marossi



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