26 febbraio 2013

RIMPIANGEREMO GIORGIO NAPOLITANO E NON SOLO PER L’ART. 27


Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato“. Così l’articolo 27; e ancora l’articolo 13: “È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà“.

Quando i Padri costituenti erano impegnati a scrivere le regole auree del nostro sistema democratico, Giorgio Napolitano era un giovane studente antifascista, attivo nel movimento della Facoltà di Giurisprudenza a Napoli. Lo aspettavano oltre quarant’anni di impegno politico e di convinto assertore dei valori della Costituzione, come deputato della Repubblica, fino alla Presidenza della Camera e al ruolo di parlamentare europeo.

Quando nel 1997 gli venne consegnato il premio internazionale ‘Leibniz-Ring’ per l’impegno di tutta una vita per il rafforzamento dei valori e delle istituzioni democratiche in Italia e in Europa, era ancora lontano da lui forse il solo pensiero che a distanza di alcuni anni sarebbe stato chiamato a ricoprire il più alto incarico istituzionale di primo garante della Costituzione.

Durante il settennato l’emergenza carceraria ha costituito un punto di attenzione costante del Presidente, che ha ripetutamente richiamato il Parlamento ad accelerare l’individuazione di misure alternative per una soluzione strutturale al problema del sovraffollamento carcerario e della rieducazione del condannato. In più occasioni il Presidente ha ribadito l’esigenza non più procrastinabile di riduzione della popolazione ristretta e di condizioni più civili per quanti scontano sanzioni detentive.

Un appello purtroppo non sufficientemente ascoltato. Lo Stato repubblicano non ha saputo finora realizzare un sistema penitenziario rispettoso dell’articolo 27 della Costituzione e dell’articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, imperniata sul parametro dello ‘spazio vitale del detenuto’. Ancora una volta all’inizio del 2013 la Corte Europea di Strasburgo ha denunciato l’urgenza di un intervento del governo italiano che affronti in maniera definitiva l’emergenza carceri, a partire dall’irragionevole durata dei procedimenti.

E nella recente visita a Milano – città di Cesare Beccaria (1) – risuonano come un monito le parole accorate e amare del Presidente Napolitano nella Casa circondariale di San Vittore e investono un’intera classe politica che non è riuscita a porre rimedio allo scandalo del sovraffollamento delle carceri italiane. C’è tanta amarezza per la ‘mortificante’ sentenza della Corte europea, per una situazione di emergenza che mette ‘in gioco il prestigio e l’onore dell’Italia’.

In prossimità della conclusione del proprio mandato il Presidente non cela la commozione con questo discorso pronunciato in un luogo simbolo della situazione del carcere che scoppia: bisogna reagire e difendere la Costituzione a tutti i costi. Questo il monito tormentato alle nuove generazioni di parlamentari, di uomini delle istituzioni e di cittadini elettori, ciascuno per la propria parte.

Già Seneca scriveva che sa indignarsi solo chi è capace di speranza.

 

Rita Bramante

 

 

(1) L’avvocato Cesare Rimini ha letto un estratto de ‘Dei delitti e delle pene’ in occasione della quarta Conferenza mondiale Science for peace, dedicata nel novembre scorso ai temi della dignità della persona e dei diritti umani nei sistemi penali nel mondo.



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