26 febbraio 2013

arte


MODIGLIANI, SOUTINE E LA COLLEZIONE NETTER

Di Modigliani si è detto e scritto di tutto. A iniziare dal suo soprannome, Modì, gioco di parole tra il suo cognome e l’espressione peintre maudit, il pittore folle. Si sa della sua dipendenza cronica da alcol e droghe, si sa del suo grande amore, l’eterea Jeanne, si sa della loro tragica fine.

Esponente di rilievo della cosiddetta Scuola di Parigi, Modigliani ha davvero segnato un’epoca, pur nella sua breve esistenza, influenzando artisti e generazioni future. Un artista incompreso, come molti altri all’inizio della carriera, e che potè sopravvivere soprattutto grazie all’aiuto di generosi e lungimiranti mecenati. Dopo Paul Alexandre e Paul Guillaume, entra in gioco un collezionista atipico, schivo e riservato, che aiuterà Modì nei suoi anni più cruciali: Jonas Netter.

Industriale ebreo emigrato a Parigi, Netter negli anni riuscirà a mettere insieme una straordinaria collezione di opere d’arte, più di duemila, scegliendo gli artisti più promettenti e interessanti, affidandosi al suo gusto personale ma anche a quello di un uomo completamente diverso da lui per stile di vita e carattere, Leopold Zborowski. Polacco, arriva a Parigi nel 1914 insieme alla moglie, per tentare la carriera artistica. La ville lumière lo trasformerà invece, a suo dire, in poeta. E in un mercante. Grazie alle conoscenze e alle frequentazioni dei caffè e dei locali di Montparnasse, Zborowski conosce e frequenta gli studi degli artisti più talentuosi, e poveri, che stipendia e compra per Netter, con il quale aveva precisi rapporti commerciali. Un sodalizio lungo più di un decennio, interrotto in brusco modo nel 1929, e che condurrà Netter ad avere 50 dipinti di Modigliani, 86 Soutine e 100 Utrillo.

Ed è proprio Maurice Utrillo, figlio della ex modella e pittrice Suzanne Valadon, a essere stato il grande amore di Netter. In mostra molti paesaggi, declinati nei diversi periodi e momenti della sua vita. La precoce dipendenza di Utrillo dall’alcol non gli ha impedito di lavorare tantissimo, a scopo terapeutico, e di ispirarsi alla pittura impressionista, soprattutto di Pissarro. Netter amava i suoi artisti come dei figli, sostenendoli in ogni modo: pagava stipendi, studi e materiali, pagava anche alcol e cliniche di disintossicazione.

Ma in realtà la collezione è molto variegata. Oltre agli artisti maledetti per eccellenza, Modì e Soutine -con i suoi paesaggi espressionisti e i materici “quarti di bue”- presenta anche fauve come Derain con le fondamentali Grandi bagnanti del 1908, e de Vlaminck; molte opere di Suzanne Valadon, il neoplasticista Helion, Kisling, Kikoine, Kremegne e altri artisti dell’Est- e non solo- scappati da una vita di miseria per approdare a Parigi, città ricca di promesse, di collezionisti e simbolo, con Montmartre, Montparnasse e i loro caffè, di una vita bohemien e ribelle.

Certo non tutto è al livello delle opere di Modigliani, sono presenti anche pittori minori e nomi forse poco conosciuti. Ma d’altra parte la collezione è il frutto del gusto e dell’estetica personale di Netter, che ha saputo riunire tutti quegli artisti, diversi per storia, cultura e Paese, e che hanno segnato la storia dell’arte europea.

Dice il curatore, Marc Restellini: “Questi spiriti tormentati si esprimono in una pittura che si nutre di disperazione. In definitiva, la loro arte non è polacca, bulgara, russa, italiana o francese, ma assolutamente originale; semplicemente, è a Parigi che tutti hanno trovato i mezzi espressivi che meglio traducevano la visione, la sensualità e i sogni propri a ciascuno di loro. Quegli anni corrispondono a un periodo d’emancipazione e di fermento che ha pochi eguali nella storia dell’arte“.

Di Jonas Netter, uomo nell’ombra, oggi non rimane quasi niente, solo un suo ritratto fatto da Moise Kisling e qualche lettera. La sua eredità più grande sono senza dubbio le opere d’arte che oggi, dopo più di settanta anni, tornano a essere esposte insieme per ricreare una delle epoche d’oro della pittura europea.

Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti – Palazzo Reale, fino all’8 Settembre 2013 – Orari: Lunedì: 14-30 – 19.30. Dal martedì alla domenica: 9.30-19.30. Giovedì e sabato: 9.30-22.30 – Costo: Intero 9 euro, ridotto 7,50 euro.

 

 

I TAROCCHI DEI BEMBO. GUSTO CORTESE TRA MILANO E CREMONA

Dopo i tarocchi della collezione Sola Busca, la Pinacoteca di Brera espone un altro prestigioso gioiello, le 48 carte del mazzo braidense, detto Brambilla dal nome della famiglia milanese che l’ha posseduto nel corso dell’Ottocento e di buona parte del Novecento. Il mazzo, realizzato dalla bottega cremonese di Bonifacio Bembo tra il 1442 e il 1444 circa per il duca di Milano Filippo Maria Visconti, è stato acquistato nel 1971 dallo Stato per la Pinacoteca.

Per ragioni conservative legate al materiale costitutivo (cartoncino pressato, rivestito di un sottile strato di gesso, con foglia d’oro o d’argento e coloritura a tempera), i tarocchi non possono essere esposti con continuità. Ecco perché, dopo la breve apparizione alla mostra “Oro dai Visconti agli Sforza”, tenutasi al Museo Diocesano nel 2011, l’occasione è preziosa.

La mostra, curata da Sandrina Bandera e Marco Tanzi, presenta una scelta di opere che, nel secolo scorso, sono state alla base del recupero critico della stagione del gotico in Lombardia e intende fare il punto sulla produzione artistica della famiglia cremonese dei Bembo, protagonista, tra Lombardia ed Emilia, del delicato passaggio dalla cultura gotica cortese e internazionale, a quella rinascimentale.

I fratelli Bembo, attivi alla corte milanese e nelle principali corti padane, attraversano quarant’anni di storia del ducato con ruoli da protagonisti: Bonifacio, alla guida della bottega cremonese, è il preferito dei duchi di Milano, che gli affidano la conduzione delle più importanti fabbriche nei centri del loro potere (Milano, Pavia, Cremona, Vigevano, Caravaggio); Ambrogio è il suo collaboratore prediletto tra gli anni quaranta e cinquanta. Benedetto, più giovane, e il presunto Gerolamo sono, invece, i beniamini dei feudatari padani.

Stessa famiglia ma influenze e interessi differenti: Bonifacio guarda alla tradizione gotica di Milano e, in parte, di Venezia e si rivolge a Gentile da Fabriano, Masolino e Pisanello registrandone le opere presenti nei territori confinanti con Cremona e in Valpadana, Benedetto è precocemente orientato sulla Ferrara di Leonello d’Este, tra lo Studiolo di Belfiore, Donatello e Rogier van der Weyden.

A contornare i tarocchi dei due mazzi bembeschi presenti in mostra, quello di Brera e quello dell’Accademia Carrara di Bergamo, sono esposte alcune significative opere, selezionate per tentare di delineare, alla luce delle più recenti riflessioni critiche, le scelte espressive dei vari fratelli.

Codici disegnati e miniati, tavolette da soffitto e dipinti su tavola e anche, da Cremona, i ritratti dei duchi Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti (1462), affreschi strappati dalla chiesa di Sant’Agostino, mai usciti dalla città, e l’Incoronazione di Cristo e di Maria.

Il tutto per testimoniare la produzione quasi seriale di questa famiglia di artisti. E proprio la bottega (o le botteghe) dei Bembo rappresentano un modello esemplare del fervore culturale che anima, dalla metà del Quattrocento, Cremona, scelta nel 1441 per celebrare il matrimonio tra Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza, fondatore della nuova dinastia. Nel segno delle nozze ducali si intrecciano, simbolicamente, i vecchi e i nuovi orizzonti culturali: la tendenza milanese a un visione gotica propriamente internazionale, derivata da Giovannino de’ Grassi e da Michelino da Besozzo, con uno sguardo più moderno, aggiornato sulle novità portate dal toscano Masolino, ma anche sulla lezione più espressiva in arrivo da Padova e Ferrara.

In mostra anche un capolavoro eccezionale: i disegni del Lancillotto, che ne fanno un codice-capolavoro della cultura cavalleresca, sempre attribuito alla bottega di Bonifacio Bembo.

I tarocchi dei Bembo. Una bottega di pittori dal cuore del Ducato di Milano alle corti padane Pinacoteca di Brera Dal 21 febbraio al 7 aprile Orari 8.30-19.15 da martedì a domenica (la biglietteria chiude alle 18.40) Biglietti Intero: € 10,00 Ridotto: € 7,00

 

 

BOB DYLAN PITTORE A MILANO

Di lui si sa che è un grande musicista, un poeta (ha vinto anche il Premio Pulitzer 2008), un idolo per intere generazioni, e un vero artista. Nel senso più letterale della parola. A Milano, presso l’Appartamento di Riserva di Palazzo Reale (primo piano), Bob Dylan espone 22 lavori, oli su tela, in cui la protagonista indiscussa è la New Orleans degli anni ’40 e ’50.

Da cosa nasce la passione di Dylan per la pittura? In realtà è un amore di lunga data questo, risalente già agli anni ’60, data in cui, per un piccolo incidente, Dylan è costretto a letto e passa il suo tempo disegnando e abbozzando le prime opere. Una passione che è continuata nel corso degli anni, tra un tour e l’altro anzi, durante gli spostamenti tra una tappa e l’altra, tanto che la prima mostra di bozzetti e disegni a essere esposta (in Italia), era intitolata On the road. Dylan ci riprova, questa volta a Milano, città nella quale ha fatto una breve apparizione all’inaugurazione della mostra. Pochi minuti, giusto il tempo di una foto e via di nuovo.

Il tema dei 22 dipinti, la cui serie è intitolata New Orleans Series, è dunque la realtà “sporca”, angusta, malfamata e cupa della città americana negli anni ’40 e ’50, altrettanto loschi ma vivi. La mostra si caratterizza, soprattutto nelle prime stanze, per scene molto forti di sesso e violenza, creando un contrasto incolmabile con le tappezzerie e la boiserie degli antichi appartamenti.

Basati quasi tutti su fotografie, le tele raccontano un mondo tormentato, intriso di perversioni sessuali, razzismo, ma anche di situazioni all’apparenza banali: fedeli afroamericani che cantano in chiesa con i loro reverendi, attese alla stazione del treno, barber shop, bische e balli clandestini.

Si conclude con le Courtyard, interni di cortili che Dylan ha visto durante le sue passeggiate per la città che tante volte lo ha ospitato. Qui il tono si rilassa, la tensione delle scene di violenza si allenta e si è portati in un mondo fatto di piante, fiori, colori e sole. La pennellata di Dylan è pastosa e materica, non ha spazio per le raffinatezze dei dettagli, centrerebbero poco con i temi rappresentati, crea e forma i personaggi dando loro forza e corposità.

Si potrebbe preferire il cantautore rispetto all’artista, ma la mostra è a ingresso gratuito, su decisione dell’artista stesso, per cui il confronto è d’obbligo.

Bob Dylan – New Orleans Series Palazzo Reale, fino al 10 marzo lun 14.30-19.30; mar, merc, ven e dome 9.30 -19.30; giove e sab 9.30-22.30. Ingresso gratuito

 

 

LE MOSTRE DEL 2013. MILANO SI RISVEGLIA?

Nuovo anno, nuove mostre. Dopo il clamoroso successo della retrospettiva su Picasso, che è stata la mostra più visitata d’Italia e che ha regalato numeri da capogiro in termini di biglietti staccati, si pensa già alle nuove iniziative.

Ancora da vedere, fino a marzo, è la bella mostra di Costantino 313 d.C., sempre a Palazzo Reale, sede che ospiterà anche, a partire dal 21 febbraio, un altro gigante della pittura: Modigliani.

E infatti la mostra dal titolo “Modigliani e gli artisti di Montparnasse: la collezione Jonas Netter“, racconterà la vita, le opere, l’arte e le passioni di Modigliani, livornese ma parigino d’adozione, e dei tanti artisti che con lui hanno condiviso gli anni della Parigi, difficile, affascinante, vivissima, di inizio secolo.

Sempre a Palazzo Reale, in autunno, è prevista una mostra che non mancherà di affascinare e stupire: protagonista sarà August Rodin, l’artista del Pensatore, con una mostra monografica in cui verranno presentati, per la prima volta in Italia, sculture e opere per lo più in marmo.

Il programma espositivo dell’anno è molto ricco, con nomi, come si è visto, di grande richiamo. Continuiamo proprio con Palazzo Reale e le sue mostre più importanti.

A fine gennaio aprirà “Il vero e il falso“, mostra che propone un viaggio sul fenomeno della falsificazione nel mondo dell’arte, a cura della Guardia di Finanza, mentre in febbraio ci sarà invece una piacevole sorpresa per gli appassionati di Bob Dylan: verranno infatti esposti 22 dipinti creati dal musicista-artista, che da anni si diletta anche di pittura. A cura di Francesco Bonami è intitolata “The New Orleans Series“.

L’arte contemporanea prende ancora il sopravvento, con la mostra “The desire for freedom. Arte in Europa dal 1945“. Nata dalla collaborazione tra Milano e prestigiosi musei europei, l’esposizione racconta l’evoluzione dell’arte e dei suoi temi dal ’45 a oggi, attraverso oltre 100 lavori di grandi artisti contemporanei come Daniel Hirst, Richter e Merz.

A giugno entra in gioco la fotografia. Quasi 1000 fotografie provenienti dal prestigioso Moderna Museet di Stoccolma, racconteranno la storia della fotografia a partire dal 1840 fino ad oggi.

Da ottobre in poi la stagione riprenderà con grande vigore con due super mostre. La prima si intitolerà “Da Pollock alla Pop Art“, e proporrà ai visitatori niente meno che le prestigiose opere degli Espressionisti Astratti americani conservate presso il Whitney Museum di New York, concentrandosi sugli artisti più influenti e importanti, coprendo un arco di tempo che va dalla fine degli anni Quaranta ai primi anni Sessanta: da Jackson Pollock – protagonista indiscusso – a Willem de Kooning, Mark Rothko, Franz Kline e Barnett Newman.

Se questo non bastasse, ecco arrivare anche una retrospettiva sull’italiano Piero Manzoni, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua scomparsa.

Per gli appassionati della pittura più tradizionale ci sarà invece la possibilità di visitare la mostra su Bernardino Luini, pittore lombardo leonardesco, a cui sarà dedicata una mostra “autoctona”, curata dal Comune di Milano e dalla Pinacoteca di Brera.

Anche il PAC farà la sua parte, con le mostre di Jeff Wall, artista canadese considerato uno dei più influenti fotografi contemporanei (a marzo), e di Adrian Paci (a ottobre), artista albanese di grande successo internazionale.

Non poteva mancare anche il Museo del 900, che ad aprile propone il nome di un artista intramontabile: Andy Warhol. Non pitture, film o fotografie, ma stampe, relative ai più celebri nuclei e soggetti dell’artista, protagonista della Pop art americana.

La GAM di via Palestro invece punta su artista “di casa”, Medardo Rosso. Un’occasione per presentare le nuove sale della galleria, aperte dal prossimo autunno, in cui verrà risistemato e riqualificato il più importante nucleo di opere al mondo di questo artista.

Ci fermiamo qui, ma il programma è in realtà molto più vasto e sviluppato su quasi tutte le sedi museali milanesi, dal Castello, al Museo del Fumetto, all’Archeologico, alla Rotonda della Besana.

Un programma vario e ricco, sintomo di una rinnovata attenzione verso l’arte e le sue manifestazioni.

 

 

CLAUDIA GIAN FERRARI E LE SUE PASSIONI

Collezionare il Novecento. Claudia Gian Ferrari, collezionista, gallerista e storica dell’arte è il primo appuntamento di un ciclo di mostre che il Museo del ‘900 dedica a collezionisti importanti che hanno messo al centro l’arte del XX secolo. Si inizia con Claudia Gian Ferrari, collezionista, studiosa, appassionata d’arte e figlia di Ettore, importante gallerista milanese, dal quale erediterà la gestione della galleria. Claudia si propone fin da subito come una importante figura di riferimento per il mondo artistico milanese, tramite un lungo percorso, che ha portato la Gian Ferrari a far scoprire e riscoprire importanti artisti del ‘900 attraverso mostre e accurate monografie, quali quelle su Giorgio de Chirico, Filippo De Pisis, Arturo Martini, Giorgio Morandi, Fausto Pirandello e Mario Sironi. Ma un artista fu forse più importante di altri, Arturo Martini. Sulla scia del padre, che aveva fondato l'”Associazione Amici di Arturo Martini” a sostegno delle opere del maestro, Claudia Gian Ferrari nel 1998 ne cura l’importante catalogo generale e ragionato delle sculture, che porta a scoprirne una serie di inedite e anche alcune ritenute disperse. Tra queste, l’Ofelia acquistata dalla Pinacoteca di Brera proprio quando Claudia fu presidente dell’Associazione (opera presente in mostra).

Quindici le opere che entrano da oggi a far parte delle collezioni del Museo, donate dalla famiglia e a cui Claudia fu sempre particolarmente legata, opere che occupavano un posto speciale all’interno della sua abitazione privata. Troveranno spazio un Achrome di Manzoni, destinato alla sala Azimuth del museo, una gouache di Lucio Fontana e un’esemplare delle “uova” in terracotta realizzate dall’artista all’inizio degli anni Sessanta, ci sarà Mario Merz, con la sua Proliferazione laterale del 1975, Apollo e Dafne di Giulio Paolini, una composizione di sale di Giuseppe Penone, una piccola installazione di Pier Paolo Calzolari, e una Stella del 1977 di Gilberto Zorio. La donazione include poi Prière de toucher realizzata da Marcel Duchamp per la copertina del catalogo pubblicato in occasione della mostra “Esposizione surrealista”, organizzata con André Breton alla Galerie Maeght di Parigi nel 1947, le fotografie di Dan Graham, Bruno Kirchgraber e Giorgio Colombo e uno schizzo di De Kooning. Per concludere, ci saranno anche una Macchina drogata di Vincenzo Agnetti del 1969 e un gesso di Fausto Melotti.

Inoltre in mostra anche opere di artisti molto amati dalla Gian Ferrari, e prestati appositamente per l’occasione, come Arturo Martini, Filippo De Pisis, Giorgio Morandi, Cagnaccio di San Pietro, Fausto Pirandello e Mario Sironi, a cui Claudia Gian Ferrari ha dedicato una vita di studi, pubblicazioni ed esposizioni. Infine, due degli artisti contemporanei più vicini alla gallerista, Luigi Ontani e Claudio Parmiggiani, hanno contribuito ad allestire due piccole sale monografiche di particolare intensità.

Interessante anche la selezione di materiali provenienti dai documenti dell’archivio storico della galleria Gian Ferrari, che Claudia ha destinato con un legato testamentario agli Archivi del Novecento, attraverso i quali si potrà capire e approfondire meglio i momenti più salienti e le scelte artistiche della Galleria. Documenti, fotografie, lettere e una biblioteca relativa a circa settant’anni di attività per far rivivere un’epoca intera.

Pitture e sculture ma non solo. Nel percorso espositivo sono inseriti anche mise e accessori amati e usati in vita dalla Gian Ferrari. Vengono proposti alcuni abiti del suo guardaroba, firmato quasi esclusivamente da Issey Miyake, e dei cappellini d’autore che Claudia ha sempre indossato, vera e propria passione trasformatasi nel tempo in collezionismo. Claudia ha lasciato a Palazzo Morando, sede delle collezioni di Costume, Moda e Immagine del Comune, oltre cento abiti di Miyake e altrettanti copricapo, tra cui quelli dello stilista Alan Journo e dell’artista, da lei promossa, Lucia Sammarco. Una vera amante dell’arte e della filantropia. Nel 2006, prima dell’apertura del Museo del ‘900, furono donati consistenti nuclei di opere a Villa Necchi Campiglio e al MART di Rovereto. Una parte di queste collezioni sono andate anche a far parte del MAXXI di Roma, altra città amata e frequentata dalla collezionista.

L’allestimento della mostra è altrettanto di eccezione, firmato Libeskind. In una sorta di labirinto dalle pareti disuguali il visitatore potrà ammirare da ogni angolo le singole opere, avviluppandosi man mano nel mondo tutto privato che fu un tempo della collezionista, e che da oggi diventa spazio pubblico. Molteplici punti di vista come molteplici e di diversi orientamenti furono le passioni di Claudia Gian Ferrari.

Collezionare il Novecento. Claudia Gian Ferrari gallerista, collezionista e storica dell’arte – Fino al 3 marzo 2013 Museo del 900 Orari lun 14.30 – 19.30 mar, merc, ven e dom 9.30 – 19.30 giov e sab 9.30 – 22.30 Ingresso intero 5 euro

 

 

COSTANTINO 313. IL SOGNO CHE CAMBIÒ L’EUROPA

Per celebrare la nascita del famoso Editto di tolleranza, datato 313 d.C., il Museo Diocesano e la casa editrice Electa, in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma e sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e della Segreteria di Stato del Vaticano, presentano la mostra Costantino 313 d.C.

Una grande esposizione celebrativa non solo di quell’editto che di fatto cambiò il corso della storia europea, ma anche del ruolo di Milano come città imperiale e punto di riferimento politico, religioso e culturale. L’Editto di Milano fu emanato nel 313 d. C. dall’imperatore romano d’Occidente Costantino e dal suo omologo d’Oriente, Licinio, che si incontrarono nel palazzo imperiale milanese e decisero che, da quel momento, il Cristianesimo, culto già affermato in larghi strati della popolazione dell’Impero, dopo secoli di persecuzioni veniva dichiarato lecito, inaugurando così un periodo di tolleranza religiosa e di grandi rinnovamenti politici e culturali.

Dal palazzo imperiale a Palazzo Reale, dunque. La mostra, divisa in sei sezioni, racconta la Milano dell’epoca, ricostruendone idealmente spazi e palazzi, luoghi, arte e suppellettili che circolavano non solo nella capitale ma anche in tutto il mondo romano. Con più di duecento preziosi oggetti d’archeologia e d’arte, vengono indagate tematiche storiche, artistiche, politiche e religiose: da Milano capitale imperiale, alla conversione di Costantino, con quell’aura di leggenda, fino ai simboli del suo trionfo.

Attraverso la ricostruzione di Milano, il visitatore potrà ritrovarsi nella capitale dell’epoca, con tutti gli edifici funzionali a una grande città: dal Palatium, edificio polifunzionale destinato ad accogliere non solo l’imperatore ma anche la complessa burocrazia dello Stato, alle grandiose terme erculee, identificabili tra gli odierni Corso Vittorio Emanuele e via Larga, fino alla necropoli dell’area di Sant’Eustorgio, senza tralasciare quartieri residenziali e nobiliari.

Ma siamo in un momento di transizione, in cui accanto all’affermarsi del Cristianesimo come culto sempre più importante, persistono ancora diverse religioni nell’impero costantiniano, che ci sono note mediante l’uso di iconografie pagane in oggetti d’arte di destinazione ufficiale o privata, e che spesso si mescolano ai simboli e alle immagini cristiane.

Oltre ad approfondire la figura di Costantino e della sua famiglia, ampio spazio è dato anche a tre istituzioni importanti per la vita pubblica romana: l’esercito, la chiesa e la corte imperiale. Così grandi ritratti ufficiali, monete, medaglie e oggetti quotidiani documentano il nuovo aspetto pubblico e sempre più presente dell’imperatore, della corte, dei grandi funzionari, dell’esercito, della Chiesa e dei suoi vescovi, fino ad Ambrogio.

Oggetti preziosi e di lusso che testimoniano, con le loro figurazioni, il passaggio graduale che il Cristianesimo compie all’interno della società, da devozione lecita ma privata a una dimensione pubblica e ufficiale, per arrivare infine a essere l’unica religione dell’Impero. Gemme e cammei, argenterie, gioielli in oro e fibule auree consentiranno di tracciare un quadro dello splendore che caratterizzava la vita della corte e la nuova devozione verso la Chiesa.

Chiude la mostra una grande sezione dedicata a Elena, madre di Costantino, santa e imperatrice. Fu proprio Elena che si recò in Terra Santa e trovò, secondo la tradizione, dopo averla riconosciuta, la Vera Croce di Cristo, riportandola in Europa e inserendo nella corona imperiale del figlio uno dei Sacri Chiodi, come protezione e dichiarazione ufficiale della nuova, vera Fede. Imperdibile la bellissima Sant’Elena di Cima da Conegliano, proveniente dalla National Gallery di Washington, 1495 c.

Sulla conversione di Costantino si è scritto molto: fu frutto di una decisione presa per convenienza o il suo spirito era sincero? Il battesimo in punto di morte, il celebre sogno, avvenuto la notte prima della Battaglia di Ponte Milvio, nel 312, in cui si preparava a combattere il suo nemico Massenzio, sono storie ben note. Quel che è certo è che, da quel momento, inizia a diffondersi l’iconografia del Krismon, le due iniziali greche di Cristo incrociate tra loro, dapprima sugli scudi dell’esercito di Costantino, poi su monili e gioielli, per approdare infine in tutto l’Impero. Si diffonde a simbolo di un’epoca intera il signum crucis di Costantino.

Costantino 313 d.C. Palazzo Reale, fino al 17 marzo 2013 orari: lun 14.30 – 19.30 mar, mer, ven, dom: 9.30 – 19.30 giov, sab: 9.30 – 22.30 ingresso: intero euro 9,00 ridotto euro 7,50

 

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org


 



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