19 febbraio 2013

ECONOMIA SOMMERSA, CRIMINALE, RICICLAGGIO, EVASIONE FISCALE


L’informazione televisiva offre quotidianamente una overdose di dichiarazioni politiche e di interviste rapide sulle condizioni dell’economia, la crisi occupazionale, la crescita. Nessuno riflette abbastanza sul fatto che è difficile o, meglio, impossibile, impostare seriamente qualsiasi riforma senza prendere in considerazione la quota enorme di economia sommersa e criminale (mafiosa) che costituisce oltre il 40% della ricchezza prodotta dal paese e stravolge tutti i dati sull’evasione fiscale e contributiva, sull’occupazione, sui redditi e sui consumi.

Nel 2004 Paolo Sylos Labini, nella premessa del libro “Il topino intrappolato” scriveva all’autore: “Conoscevo già i problemi cui accenni e che tratti sistematicamente nel libro. Ma vederne l’elenco sintetico e costatare che, per ogni problema, sei riuscito a individuare fonti e valutazioni attendibili mi ha molto impressionato; alcune delle stime non sono, e non possono essere, precise, ma considerate le fonti, credo che gli ordini di grandezza siano quelli. Ce n’è abbastanza da essere angosciati“. Alle stesse conclusioni è pervenuta la ricerca del 2010 su “economia illegale e criminale”- (G. Ruffolo, E. Veltri, F. Archibugi e A. Masneri) e nel 2012 un documento di G. Ruffolo, E.Veltri e L. Zanda, illustrato in una conferenza stampa al Senato, nel quale si sottolinea che “nessun governo sarà in grado di impostare qualsiasi politica economico-sociale e garantire la qualità dei servizi del nostro paese, senza che venga ridotta l’enorme area dell’economia sommersa e criminal- mafiosa; venga combattuto il riciclaggio di denaro sporco; venga contrastata e ridotta la corruzione diffusa, pubblica e privata.”.

Bankitalia in uno studio pubblicato a maggio 2012, conferma i dati e valuta 490 miliardi di euro il sommerso da evasione fiscale e da economia criminale, pari a oltre il 31% del PIL. L’autorevolezza della ricerca e la conferma delle cifre esplosive anche rispetto al resto D’Europa, non hanno impedito al governo, ai partiti e agli organi di informazione, eccezione fatta per il Sole 24 ore, di stendere un velo di silenzio, sul documento della banca centrale.

Circa il peggioramento della situazione, vale la pena ricordare che nel settembre del 2010, i ricercatori del Centro Studi di Confindustria coordinati da Luca Paolazzi scrivevano: “C’è una parte dell’economia italiana che non ha subito recessione: il sommerso“. A ruota di Bankitalia, una ricerca Eurispes, pubblicata da Gian Maria Fara e Antonio Iodice nel libro “L’italia in nero” Datanews – Novembre 2012. Secondo i due studiosi “l’economia sommersa nel nostro paese ha generato nel 2010 almeno 529 miliardi di euro segnando un consistente aumento rispetto all’anno precedente. Sempre secondo i calcoli dell’istituto il nostro sommerso equivale al PIL di Finlandia (177 miliardi), Portogallo (162), Romania (117), Ungheria (102) messi insieme”. A esso va aggiunto il Pil dell’economia criminale valutato 200 miliardi, coincidente con la valutazione di Bankitalia. Complessivamente 729 miliardi di Pil. Facile valutare l’evasione fiscale complessiva.

Secondo le rilevazioni riportate da Eurispes “il 53% dell’economia non osservata è rappresentato dal lavoro sommerso che vale 280,5 miliardi, il 29,5% dall’evasione fiscale ad opera di aziende e imprese, valore 156 miliardi e il 17,6%, 93 miliardi, dalla cosiddetta economia informale“. Sempre Eurispes informa che lo Spread tra ricchezza “dichiarata” e benessere reale calcolati sulla base degli indicatori di ricchezza (fonte Unioncamere) e di benessere (fonti Banca d’Italia, Agenzia del territorio, Aci, Siae) è molto elevato. Partendo da una base 100, tra le regioni, la Puglia è prima con uno spread di 54 punti seguita da Sicilia, Campania e Calabria. Per quanto riguarda le Province, nel sud e nelle isole lo spread è compreso tra 50 e 57 punti. In Lombardia, a Pavia e Como è di 28.

Quanto all’economia criminale, Il fatturato annuo delle mafie italiane, valutato da organismi diversi, si aggira all’incirca sui 180-200 miliardi di euro ed è più elevato del PIL di Estonia (25 mld), Romania (117 mld), Slovenia (30mld) e Croazia (34 mld). I beni consolidati delle mafie italiane sono stimati 1.000 miliardi di euro. La loro confisca risolverebbe il problema del debito pubblico. Ma i sequestri vanno a rilento e costituiscono il 10% dei patrimoni mafiosi e di questi solo la metà arriva a confisca. Il che significa che finora è stato confiscato solo il 5% dei patrimoni, di cui una parte consistente, non è stata nemmeno assegnata. Per cui “è evidente la sproporzione fra la ricchezza e la complessità delle leggi e i risultati effettivamente raggiunti sul terreno nevralgico della repressione delle accumulazioni finanziarie illecite e della loro utilizzazione a fini di infiltrazione dell’economia legale“. (Grasso- Relazione 2009 alla Commissione antimafia).

In conclusione, la globalizzazione ha reso evanescente il confine tra economia legale e criminalità, favorito dalla caduta delle frontiere e dalle nuove tecnologie come internet oltre che dalla mancanza di organizzazioni internazionali con poteri necessari per fare rispettare le leggi e il diritto, che rimane confinato entro le frontiere degli Stati nazionali.

Naturalmente all’analisi dei fatti dovrebbe seguire la cura. Per quanto mi riguarda insieme al comitato Nomos abbiamo fatto uno sforzo per indicarla in una proposta di legge di iniziativa popolare che nel mese di settembre del 2012 abbiamo depositato in cassazione (http://www.nomos.name/), nel disinteresse generale del governo, dei partiti, dei sindacati e del parlamento che si occupano d’altro.

 

Elio Veltri

 



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