19 febbraio 2013

I “VERDI”COME IL PARTITO DEI PENSIONATI


Prendo lo spunto dall’articolo di Pier Vito Antoniazzi sulla storia dei verdi in Italia, che condivido totalmente, per aggiungere alcune considerazioni. L’ambientalismo da noi scaturisce dall’art. 9 della Costituzione che prevede la tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico della nazione. Articolo unico nel panorama delle costituzioni dei paesi democratici che riconosce al tema dell’ambiente e della bellezza un valore fondamentale. Non sono d’accordo infatti con Valle sui ritardi della nostra costituzione, si tratta di interpretarla. Forse la presenza di Benedetto Croce fra i padri costituenti contribuì alla sua stesura dimostrando un’incredibile preveggenza, era il 1948.

Negli anni ’60-’70 e fino ai primi ’80 l’intellighenzia in questo settore era legata al riformismo liberal socialista, basti ricordare Antonio Cederna, Achille Cutrera, Renato Bazzoni, Roberto Guiducci, Giorgio Ruffolo, tanto per fare alcuni nomi noti in quegli anni. Il PCI si occupava prevalentemente degli operai e della giustizia nel lavoro. Successivamente da una costola di questo partito nasce Lega Ambiente con un ambientalismo nuovo, più aggressivo e di denuncia. Quest’ultima si fa notare per le sue iniziative eclatanti prevalentemente giocate sulla paura (in questo mi ritrovo con Valle) e contemporaneamente si moltiplicano i comitati in difesa del territorio aggredito dalla speculazione edilizia.

Siamo all’inizio degli anni ottanta. Nel 1984 prima convenzione degli ambientalisti a Bologna, ero presente. Nel frattempo gran parte degli extraparlamentari di varie sigle si buttano nel calderone della protesta ambientalista che appare una buona occasione per sfogare le proprie frustrazioni. Così l’assemblearismo inconcludente dei reduci del ’68 diventa la prassi dei futuri verdi. A un’assemblea a Monza, con la presenza di Francesco Alberoni e Marco Boato, osservai che l’aggressività si tagliava col coltello e che così non si andava da nessuna parte.

Invece da qualche parte il movimento andò perché, come ricorda Antoniazzi, nel ’85 si presentò alle elezioni prima come Sole che ride e poi come Verdi arcobaleno e infine come Verdi e basta, accodati ai partiti di derivazione massimalista. I leader più responsabili e lungimiranti di marca riformista, come Boato e lo stesso compianto Alex Langher, furono messi in minoranza. Le belle promesse iniziali, che assomigliavano tanto a quelle di Grillo oggi, come ordine alfabetico delle liste per evitare personalismi, rinuncia a una parte di stipendio degli eletti e no ai rimborsi elettorali, naturalmente furono accantonate e i Verdi della speranza di una politica più onesta rientrarono nel novero di quelli che predicano bene e razzolano male, come tutti gli altri partitini che litigavano e litigano per qualche poltrona.

Così divennero ininfluenti e servirono alla sinistra a relegare il problema dell’ambiente in un ambito politico ristretto guardato come il recinto dei no. Paradossalmente il partito dei Verdi in Italia ha fatto più male che bene all’ambientalismo proprio perché quest’ultimo è stato sottratto alla responsabilità dei partiti di governo e relegato a loro.

Da noi dunque, per concludere, il fallimento di questi ultimi è da ascriversi alla anomalia della nostra politica che, come ho già avuto modo di sottolineare, risulta essere priva del rapporto essenziale tra elaborazione teorica e prassi. Questo ha fatto sì che scomparissero i veri riformisti che necessitano appunto di tempi lunghi e riflessioni approfondite, tant’è che i temi della cultura e dell’ambiente diventano invisibili nei programmi elettorali odierni, e si presentassero, nel vuoto del dopotangentopoli, una pletora di demagoghi che ancora sopportiamo. Anche i Verdi hanno avuto responsabilità in questo e oggi ne pagano le conseguenze: un partito che quanto a contenuti fondamentali sarebbe più avanti di tutti è ridotto al partito dei pensionati, mentre in Francia e Germania trionfano giustamente.

 

Maurizio Spada

 

 



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