12 febbraio 2013

URBANISTICA: UN COMMENTO ALLA LETTERA APERTA AI CANDIDATI


Concordo sulla necessità di lanciare un appello ai candidati alla Regione e al Parlamento, perché il tema del territorio e dell’organizzazione delle istituzioni preposte al suo governo è molto debole nei programmi e quasi assente dal dibattito, sia a livello nazionale che regionale. L’appello proposto è in maggior parte condivisibile ma per alcuni aspetti penso che sbagli “il tiro”.

Il messaggio politico condivisibile è che nel governo del territorio l’interesse pubblico deve prevalere su quello privato e deve essere l’amministrazione pubblica ad esprimere l’interesse della collettività attraverso il piano come progetto e non solo come sistema di regole. Ciò detto proverò a dire ciò che non mi convince dell’appello.

In Lombardia lo sprawl insediativo e il conseguente consumo di suolo si sono sviluppati impetuosamente fin dagli anni ’70 e fino a metà degli anni 2.000, in piena vigenza della legge 51 (che imponeva giustamente il calcolo della capacità insediativa dei PRG e la dimostrazione del fabbisogno abitativo). I processi di consumo di suolo degli ultimi anni si sono basati ancora sui PRG vigenti progettati in base alla legge 51, per quanto variati dai PII.

Le previsioni espansive dei recenti PGT si sono ridotte rispetto ai precedenti PRG, in parte per maggiore attenzione dei comuni e delle Province (con i PTCP) e, a partire dal 2007 / 2008, per la mancata spinta del mercato. Non per merito né per demerito della legge 12.

La diffusione insediativa di persone imprese e attività genera a sua volta, attraverso un processo cumulativo, domanda diffusa in termini di casa, servizi pubblici e privati, aree produttive, infrastrutture ecc. A tale domanda sociale (che non riguarda solo il mercato immobiliare), le istituzioni devono dare risposta. Il modello politico e istituzionale (sostenuto anche a sinistra) è sempre stato in sintesi il seguente: la regione e il comune di Milano hanno deciso gli investimenti nelle grandi infrastrutture; i comuni hanno governato la spesa pubblica diffusa e l’uso del territorio, quindi la rendita urbana; lo Stato ha mantenuto saldamente in mano le regole della finanza locale impedendo qualsiasi politica fiscale mirata al miglior uso del territorio e lasciando come unica libertà ai comuni quella di sfruttare (svendere) il territorio.

Da qualche anno gli investimenti in opere pubbliche si stanno drasticamente riducendo e siamo prossimi allo zero; l’intervento pubblico nella casa è praticamente scomparso. Fino alla crisi del 2008, la principale leva economica delle trasformazioni territoriali è stata la rendita urbana; alcune amministrazioni comunali ne hanno saputo riservare una parte all’interesse pubblico e al miglioramento dell’attrezzatura urbana; altre non hanno voluto farlo (1). Indipendentemente dalla qualità delle scelte locali l’esito di tale modello è stato un assetto territoriale dell’area forte lombarda irrazionale e ambientalmente insostenibile; questa è oggi la questione centrale del governo del territorio in Lombardia.

Se questo è vero il centro sinistra deve caratterizzare la propria proposta politica a partire dalla riforma dell’assetto dei poteri, cioè dalla riforma dello Stato da contrapporre all’ipotesi eversiva della “Macroregione” leghista e alla banalità ignorante del “Via le provincie”. Dentro questa prospettiva bisogna collocare la nuova legge urbanistica nazionale e la nuova legge urbanistica regionale. Nella consapevolezza che la Lombardia ha il peso politico per sostenere una proposta di riforma di livello nazionale.

Bisogna dunque rifiutare l’idea che l’unica riforma utile sia l’annullamento delle provincie quando tutte le analisi territoriali indicano nella dimensione provinciale quella più adatta a governare il territorio. Bisogna perciò opporsi al modello Montiano di provincia e città metropolitana come istituzioni svuotate di potere e di rappresentanza. Bisogna riportare la Regione alle sue funzioni legislative e di programmazione, riducendone i compiti di gestione che andrebbero quindi trasferiti alle provincie e alla città metropolitana. Bisogna aggregare i piccoli comuni, particolarmente numerosi in Lombardia. Bisogna modificare il patto di stabilità che scarica sui comuni e sulle provincie e in particolare su quelli virtuosi, l’onere del pareggio di bilancio dello Stato e dare ad essi gli strumenti per politiche pubbliche per la casa, i servizi e i trasporti. Bisogna razionalizzare l’uso delle risorse (spesa pubblica, oneri di urbanizzazione, pubblicizzazione di quote di rendita urbana) sulla base di una pianificazione territoriale di scala adeguata, quella provinciale o della città metropolitana, per dare risposte razionali a domande sociali diffuse sul territorio.

Bisogna quindi che la prossima amministrazione regionale affronti con il comune di Milano la questione della Città metropolitana resa urgente dal decreto del governo Monti e sulla quale invece regna il silenzio dei candidati.

Bisogna che gli obbiettivi del contenimento di consumo di suolo, del governo dell’ assetto insediativo, della tutela del paesaggio e della natura, siano posti come obbiettivi generali dalla legge urbanistica (nazionale e regionale) ma definiti dalla pianificazione territoriale, cioè da un vero ed efficace progetto di Piano territoriale (delle Provincie, della Città metropolitana) integrati dai piani territoriali dei pachi regionali e non determinati da meccanismi di legge un po’ astratti se applicati localmente (la legge 12 ha svuotato di contenuti sia i PGT sia i PTCP provinciali).

Bisogna però anche essere consapevoli che la questione della casa va ancora affrontata; anche se l’80% delle famiglie è proprietaria di casa, c’è una forte domanda sociale di abitazioni variamente articolata che riguarda l’intera area metropolitana; ci sono è vero molti alloggi invenduti ma anche perché le banche non danno più mutui e i redditi delle famiglie si sono ridotti; cioè bisognerà costruire delle case (probabilmente in “cemento”) a basso costo o in affitto. Il modello lombardo di Housing sociale che avrebbe dovuto sostituire l’ERP è inadeguato e fondato su ipotesi economiche e finanziarie irreali e su un sistema di imprese non organizzato per gestire l’affitto.

Bisogna infine che la Lombardia sostenga la necessità di una nuova legge urbanistica nazionale che detti insieme i principi per il governo del territorio, il regime dei suoli e la tutela del paesaggio e lasci alle regioni l’adeguamento alle diverse realtà territoriali (per esempio la legge urbanistica lombarda dovrebbe dire quali sono gli obbiettivi e gli strumenti specifici per governare l’area metropolitana).

Vi è un altro aspetto dell’appello che manda un segnale non chiaro su una questione che ha assunto rilievo nazionale, correntemente intesa come la “questione burocratica”. Il Paese sta soffocando per l’eccessiva quantità di norme i cui effetti congiunti sono ormai incontrollabili. Il problema riguarda i singoli cittadini, le imprese e la pubblica amministrazione e ha assunto un valore politico centrale. Nessuno riesce a mettervi mano perché nessuno sa indicare i principi prima politici e poi giuridici sui quali rifondare il sistema delle regole e il rapporto tra cittadino, collettività e Stato. La generica critica alla “deregulation” contenuta nell’appello, così come formulata, sembra preludere invece alla richiesta di aumentare le regole.

La legge 51 poneva regole semplici e obbiettivi di qualità della progettazione urbanistica. La legge 12 ha moltiplicato le “regole” e svuotato di contenuti gli strumenti urbanistici e la VAS. Il paradosso è che il sistema delle regole per il governo del territorio, urbanistiche, paesaggistiche e ambientali, in Lombardia (ma anche nel resto del Paese) è iperregolamentato nelle procedure e anarchico nell’esito.

Bisogna invece proporre non una generica “semplificazione” ma il ripensamento dei principi legislativi: la legge indichi chiaramente i contenuti di interesse pubblico e lasci i modi, le procedure e gli strumenti per raggiungerlo al rapporto di collaborazione tra cittadini e amministrazione pubblica. Bisognerà quindi riordinare l’insieme delle leggi per il governo del territorio e quindi proporre una nuova legge urbanistica regionale che dia obbiettivi e contenuti ma semplifichi l’impianto normativo.

Non sarà facile definire i nuovi obbiettivi per una politica riformista di sinistra per il governo del territorio a fronte di una crisi economica strutturale che ha fermato la crescita e sta modificando le regole dello sviluppo; ma è su questo che bisognerà ragionare.

 

Ugo Targetti

 

 

(1) È vero che la legge 12 pone sullo stesso piano l’ interesse pubblico e quello privato, ma non obbligatoriamente. L’affermazione o l’assenza di un progetto per la città pubblica è responsabilità di ciascuna amministrazione comunale. Le amministrazioni di Milano, da Albertini fino alla Moratti, hanno lasciato progettare la città ai privati, privatizzando quasi totalmente la rendita urbana. Altri comuni no, anche con la 12. Bisogna saper distinguere. )

( 2) Non è la “deregulation urbanistica” che ha aperto le porte alla criminalità organizzata la cui diffusione è dovuto alla deregulation globale del controllo del movimento di capitali. La corruzione (a partire da Tangentopoli) si è sviluppata ampiamente anche nei decenni di pieno vigore della legge 51, ottima legge urbanistica. Le ragioni sono ben più profonde e non sondabili in queste poche righe.



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