5 febbraio 2013

MILANO, BINARIO 21 TRA ORGOGLIO E VERGOGNA


Sto vivendo un periodo molto felice della mia vita, sono parte di un’avventura politica straordinaria che ha restituito a Milano il suo ruolo città aperta, moderna e solidale, che ha cancellato in pochi mesi l’immagine di paura, ostilità e persino di xenofobia imperante che negli ultimi quindici anni aveva finito per penetrare nella nostra comunità. Ho appena letto la ricerca che dice che il Sindaco Pisapia gode del più alto indice di fiducia da molti anni a questa parte e sono tremendamente orgoglioso di far parte di una Giunta che lavora con passione e impegno che viene riconosciuto dalla stragrande maggioranza dei milanesi, indipendentemente dallo schieramento politico.

Una grande armonia collettiva cittadina sta lentamente ma sicuramente riemergendo ogni giorno nella nostra vita quotidiana, nel passaggio dall’orribile “Foera di ball” ruttato dai leghisti all’indirizzo degli extracomunitari alla realizzazione collettiva di un “Piano caldo” di assistenza ai senzatetto che funziona così bene, che vede così tanta partecipazione, da “attrarre” a Milano nella stagione invernale molti disperati in difficoltà da altre contrade senza che per questo si alzi l’ignobile e inutile grido “prima gli italiani”.

All’ingresso del museo del Memoriale del Binario 21, nel gelo del sotterraneo della Stazione Centrale e sotto il cupo rimbombo dei treni che passano al livello superiore, la scritta a caratteri colossali su una scultura in acciaio spazza via questa immagine quasi idilliaca che mi ero fatto. INDIFFERENZA è il peso gettato sulle spalle dei milanesi da Liliana Segre nel corso delle sue testimonianze preziose e terribili e ripetuto anche oggi, nel gennaio 2013, in occasione dell’apertura al pubblico del Memoriale della Shoah, una apertura resa possibile anche dalla determinazione della Giunta Pisapia e delle “due Lucie” assessore, Castellano e De Cesaris, che hanno fatto i salti mortali per sistemare la piazza antistante come degna cornice di ingresso.

Ho sentito tante volte Liliana ricordare quel freddo mattino di gennaio del 1944, il tragitto in camion telonato attraverso la città da San Vittore alla Stazione Centrale, passando accanto ai luoghi che amava e che l’avevano vista felice, come la sua casa, ancora terribile ironia! che si trovava proprio in via San Vittore!

Ho sentito tante volte ricordare la solidarietà dei carcerati, l’acqua e il cibo lanciato dalle celle agli ebrei che partivano verso un ignoto che non ispirava speranza, ma altrettante volte, dolorosamente, ricordare come per le strade deserte di Milano non ci fu un gesto di pietà e di solidarietà, le finestre rimasero chiuse e non una lacrima accompagnò quello che doveva essere e tragicamente fu l’ultimo viaggio per centinaia di nostri concittadini.

L’ho sentita tante volte, questa storia, non riuscendo mai a capire come possa essere successo, qui, a Milano, nella nostra città! Gli ebrei milanesi erano parte della borghesia milanese, non c’è mai stato un Ghetto nemmeno metaforico, addirittura la maggior parte di ebrei e non ebrei, specialmente in età giovanile, non erano nemmeno in grado di apprezzare l’esistenza di una comunità o di una diversità anche semplicemente culturale e religiosa tra i suoi figli.

Come è stato possibile giungere all’agghiacciante situazione dei compagni di scuola che separati dalle leggi razziali del 1938, non si riconoscono più nemmeno come conoscenti e – fatto ancora più raggelante, se possibile – reincontrandosi nel dopoguerra, vedono coloro che sono rimasti cercare di considerare la shoa milanese una parentesi da dimenticare e cercare di recuperare il rapporto con i propri antichi amici senza fare i conti con la colpa dell’indifferenza passata?

L’ho sentita tante volte, ma questa volta aveva per me un significato particolare. Cosa è Milano, dunque? È quella che amo, quella che ritrovo nelle pagine scritte dal sindaco della Liberazione Antonio Greppi, che descrive come quasi per miracolo in meno di due anni rimette in piedi la Fiera, la Scala, le case bombardate, le scuole, il Vigorelli, insomma se stessa, permettendogli di dire orgogliosamente, rivolgendosi agli ambasciatori stranieri sbalorditi di fronte alle realizzazioni post belliche: “Abbiamo lavorato, ecco tutto”.

Ma è anche la Milano che descrive Liliana Segre, che ha un lato oscuro e terribile, quello dei sotterranei del Binario 21 nascosti e dimenticati per anni, quello dei delatori che per 5000 lire hanno venduto la vita dei propri vicini di casa e soprattutto degli indifferenti, di quelli che pensano che il bene e la salvezza individuale prevalgano su tutto il resto.

Ascoltare Liliana Segre, quest’anno, mi è servito a ritornare con i piedi per terra prima di essere vittima di un eccesso di entusiasmo e di orgoglio. Conoscere tutti i mille volti della città, ricordare non è piacevole ma è necessario. Milano lo può e lo deve fare, perché – è sempre il sindaco Greppi che parla – “è una città che sa vivere oltre se stessa”, oltre i propri limiti e i propri errori. Lo ha già fatto e lo farà ancora.

 

Franco D’Alfonso

 



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