5 febbraio 2013

IL PESO DI UN PASSATO CHE NON PASSA


Mi accingo a leggere un libro da poco acquistato su una bancarella durante le festività natalizie. Alcune delle prime pagine parlano della condizione di caduta dell’etica pubblica in Italia e della frustrazione che si prova di fronte alla sopraffazione e all’impunità. Mi imbatto in affermazioni che catturano la mia attenzione e mi metto a trascriverne alcune, una dopo l’altra, seguendo il filo rosso di un’analisi lucida e amara.

L’Italia ha cominciato a non esistere più dal momento in cui si è formata; da allora ha perduto peso e importanza. Il peso e il prestigio che ha avuto dal Rinascimento in poi. Oggi non so se lo mantiene, ma ne dubito molto”. Molto di questo declino è da imputare a una cattiva
politica
e “il pericolo è che i peggiori siano sostituiti da altri ancora peggiori di loro, ma bisogna avere una vaga speranza di trovarne dei meglio. Dà fastidio accorgersi che da trent’anni saltano da una poltrona all’altra, senza sentire l’assurdità di cambiare rapidamente ministero, senza la possibilità di mostrare un’eventuale competenza. C’è da rimanere sbigottiti.

Non capisco perchè tanti partiti: ne basterebbero due. Questo frazionamento non ha nessun significato. Non vedo come si potrà tirare avanti, forse si sopravviverà, perchè l’Italia non è un piroscafo che affonda, ma ha doti di uno slittamento graduale, che non dà lo choc. Bisognerebbe essere stati molto tempo fuori, per provare un’impressione. Ma neppure in giro se la passano bene. Credo che l’Europa sia gravemente malata, e l’Italia più di tutti, forse meno del Portogallo.”

In Italia in certi settori c’è più corruzione che altrove, “lentezza spaventosa della giustizia, nella degenerazione della burocrazia”. E in più scandali denunciati e mai condannati: “si prenderanno sempre i pesci piccoli, per i grossi non ci sono gli strumenti legali. Rimarranno impuniti. Perchè vada liscia, l’abuso deve essere importante, se è modesto sono pasticci.

Gli italiani hanno una grande forza di sopportazione, ma non dimostrano una sufficiente avversione per le mascalzonate che avvengono nella gestione degli affari pubblici. Quando un oggetto è gettato in mare tocca il fondo, ma c’è un momento in cui risale, magari di pochi centimetri. Aspetto questo istante, ma non lo vedrò, perchè sono già vecchio.” (1).

Chi è il vecchio saggio che disegna un profilo così frustrante del nostro Paese e qual è l’oggi del suo punto di osservazione? Correva l’anno 1980. Dovremmo rimanere senza parole scoprendo che il testimone del suo tempo, che senza indulgenza, ma non senza speranza parla di un’Italia che ha toccato il fondo e che non può ormai che risalire, è il poeta Eugenio Montale e che le sue parole sono state raccolte oltre trent’anni fa dalla penna sapiente di Enzo Biagi.

Rileggendo questo scritto si rimane sconcertati dalla sua attualità, dal fatto che sembra tagliato sulle vicende che stiamo ancora oggi vivendo, oltre trent’anni dopo. Propensione endemica all’illegalità, corruzione esibita e giustificata, radicata profondamente anche nelle istituzioni, associazione tra prepotenza politica e cattiva cultura, tornaconto personale: tutto questo impressiona, ma non suscita ancora la necessaria indignazione. Oggi più che mai, per dirla con parole di Rodotà, “abbiamo bisogno di una politica costituzionale e di una radicale rifondazione della moralità pubblica” (2). Il rafforzamento degli anticorpi democratici ha atteso anche troppo.

 

Rita Bramante

 

 

(1) E. BIAGI, Testimone del tempo. Tanti volti, tante storie, Milano, 1980

(2) S. RODOTÀ, Elogio del moralismo, Bari, 2011



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