5 febbraio 2013

cinema



 

FLIGHT

di Robert Zemeckis [U.S.A., 2012, 138′]

con Denzel Washington, Kelly Reilly, Don Cheadle, Bruce Greenwood, John Goodman.

 

Whip Whitaker (Denzel Washington) è un pilota di aerei. Lo scopriamo, non senza una certa dose di sorpresa, vedendolo camminare in modo sicuro e appariscente con la divisa nera che contraddistingue la sua figura professionale e degli avvolgenti occhiali scuri, utili a coprire le prove di una notte insonne. Lo stupore aumenta mentre ammiriamo la sua maestria alla guida di un aereo e la sua, quasi inumana, capacità di rimanere lucido mentre si trova ad affrontare un possibile disastro che causerebbe lo schianto del veivolo e la conseguente morte di tutti i passeggeri.

Mentre assistiamo a queste scene, abbiamo però ancora in mente la birra e la cocaina che ha assunto appena sveglio, oltre alla vodka che ha impunemente bevuto pochi minuti prima della tragedia. La dipendenza dall’alcol e dalle droghe è ciò che impedisce al capitano Whitaker di diventare un eroe.

Robert Zemeckis, regista di Flight, torna al cinema “in carne e ossa” a dodici anni di distanza da Cast Away, rendendo avvincente questo racconto di autodistruzione e redenzione. Whit Whitaker, personaggio seducente e spavaldo, magnificamente interpretato da Denzel Washington, è un pilota di aerei che ha lo stesso stile di vita dissennato di una rockstar. È inaffidabile, distrugge intere camere d’albergo ed è costretto ad affrontare una dura lotta contro i propri demoni ma esercita un fascino naturale su un pubblico che non può non fare il tifo per lui.

È cambiata la raffigurazione dell’eroe da parte Zemeckis. L’ingenuo Forrest Gump, eternamente ottimista, incarnava come nessun altro il sogno americano. Whip Whitaker è invece il simbolo di un’America abile ma arrogante, forse assuefatta da alcol e sostanze stupefacenti, che la realtà ha reso smarrita e alla disperata ricerca di una soluzione dei propri conflitti interiori.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Ducale, Plinius, The Space Cinema Odeon, UCI Cinemas Bicocca.

 

 

LINCOLN

di Steven Spielberg [USA, 2012, 150′]

Con: Daniel Day-Lewis, Sally Field, David Strathairn, Tommy Lee Jones, Joseph Gordon-Levitt, James Spader

 

«C’è una pesantezza che mi morde le ossa», dice Abraham Lincoln (Daniel Day-Lewis, ottimo) sul finire del film Lincoln [USA, 2012, 150′] di Steven Spielberg. Il logorio fisico è dovuto al lavoro duro fatto dal sedicesimo Presidente degli Stati Uniti, durante il suo secondo mandato, di cui Spielberg mostra gli ultimi mesi.

In quel periodo (siamo nel 1865), la Guerra di Secessione americana contro i Confederati è in corso da quattro anni e Lincoln individua l’abolizione della schiavitù come punto risolutivo. Da un lato vuole preservare l’Unione, dall’altro intende far votare dalla Camera il tredicesimo emendamento con l’intento di abolire la schiavitù. La sua visione socio-politica è lampante, e spicca ancor più quando cita Euclide: «cose uguali a una stessa cosa sono uguali tra di loro».

Il regista inizia il film come fosse un libro da sfogliare: porta gli spettatori in quel contesto facendogli leggere la cronologia degli avvenimenti storici e, prima di abbandonarli alle immagini, pone una domanda: «una democrazia può rimanere unita con un popolo metà libero e metà schiavo?». Da questa domanda in avanti, anche noi iniziamo a partecipare alla costruzione della storia che Spielberg racconta e Lincoln vive.

I dialoghi eleganti e mai tronfi permettono di assaporare il dibattito politico e il lavoro – duro – a cui sono sottoposti gli amanti della politica buona. Lincoln la politica la onora ed è perfettamente consapevole del peso che deve portarsi sulle spalle. La sua politica ha obiettivi precisi, ritenuti nobili e necessari, e per raggiugerli il Presidente è disposto a qualsiasi cosa («me ne infischio del modo», dice), anche a muoversi ai confini della legalità.

Sulla sua strada incontra Thaddeus Stevens (Tommy Lee Jones), capo della minoranza radicale dei repubblicani, ancora più convinto dell’uguaglianza degli uomini in natura. Stevens, almeno inizialmente, non vuole rinunciare alla rettitudine e alla trasparenza che lo hanno accompagnato per tutta la sua carriera ma poi, per convincere la sua parte a votare l’emendamento, sceglierà di camminare sulla strada di Lincoln.

«La retta via spesso ti fa passare in mezzo a paludi», dice pressappoco il Presidente a Stevens; a volte è necessario evitare quelle paludi per arrivare all’obiettivo politico che garantisca il bene comune. Questo sembra chiedere Spielberg a Lincoln, e a noi in sala: è giusto sconfinare dalla legge per un obiettivo fondamentale? Il suo Lincoln sembra non avere dubbi.

Certamente, nei discorsi e nella sua politica, è ben visibile la volontà e il coraggio di prendere decisioni a lungo termine – come i politici bravi sanno fare – e farsi carico senza rammarico di quella pesantezza che condiziona la sua vita pubblica e quella privata; la pesantezza della politica in grado di cambiare la storia.

Paolo Schipani

 

 

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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