27 aprile 2009

LA POETICA DELLO STORTO


Giro per Milano e vedo che tutti i nuovi edifici progettati dai miei colleghi più famosi sono storti. L’angolo retto, fondamento dell’architettura tradizionale e dell’arte del costruire (“metto in squadra, architè?” mi chiedeva giusto ieri il capomastro di un cantiere) è stato sostituito da geometrie oblique e scalene prospettive. E dove mancano gli angoli, sono protagoniste forme organiche e sinuose, frutto di oniriche ed onanistiche elaborazioni computerizzate. Questo avviene non solo nell’edilizia per uffici. Ormai è difficile trovare una casa che abbia tutte le stanze con le pareti ortogonali. Ma l’Ikea di Carugate vende ancora mobili per abitazioni “rette”. E quindi i falegnami brianzoli del “su misura” ringraziano e si fregano le mani anche in tempi di crisi. Si potrebbe forse obbiettare che le case storte hanno spazi interni più interessanti e gradevoli. Ora, se prendiamo ad esempio le organicissime serpentine di Zaha Hadid a City Life, ci accorgeremo che, per quanto cerchino di intortarci all’ufficio vendite, il bagno principale rimane sempre e solo accessibile dalla camera matrimoniale; che i soggiorni ad “L” sprecano molto spazio nel disimpegno esagerato (spazio che paghiamo comunque 8-12 mila euro al metro quadro); che l’angolo più panoramico con vista parco ospita la finestra del suddetto bagno e non del suddetto soggiorno.

Altri esempi? Rimanendo in zona ci sono gli eleganti edifici di Cino Zucchi al Portello, che tra una citazione nostalgica di Caccia Dominioni e una strizzatina d’occhio all’architettura mainstream, ostentano qualche piccola stortura, più che altro nelle logge e nei balconi. Un isolato più a nord incappiamo negli smargiassi torracchiotti del WJC che offrono a caro prezzo planimetrie inarredabili. Nello stesso quadrante cittadino c’è il cantiere della Torre delle Arti, che forse mai vedrà l’onore della seconda pietra (la prima è stata posata con tanto di cerimonia il 12 novembre 2008, poi Babcock & Brown,
la finanziaria australiana proprietaria dell’area ha subito gli effetti nefasti di qualche subprime di troppo e ha fermato i cantieri). L’edificio è storto, ma in modo intrigante e gli spazi interni sono interessanti. D’altra parte si possono pure progettare gli edifici più cubici e squadrati del mondo e tuttavia inventarsi suddivisioni interne degne di un girone dantesco. Ogni riferimento alle residenze (ma non solo a quelle) della Bicocca è puramente voluto.

È vero anche che non tutto lo storto viene per nuocere…se mi passate la facezia. Luigi Moretti (1907-1973), con la sua maestosa prua protesa su Corso Italia, dimostra che si può trasgredire l’ortogonalità con classe e intelligenza.

Tornando a City Life, mi ha divertito la descrizione che Gianni Biondillo dà dei tre grattacieli nel suo libro “Metropoli per principianti” (Guanda, 2008): “Sembrano due amici che reggono il terzo in mezzo, mentre vomita, ubriaco”. Se aggiungiamo che “ubriaco” nello slang giovanile si traduce in “storto”, tutto torna perfettamente.

Il giro turistico continua. L’NH Hotel Rho Fiera di Dominique Perrault è costituito da due torri a base quadrata, inclinate di 5 gradi. Le vedo spesso percorrendo l’autostrada Milano Torino e tutte le volte mi pongo la stessa domanda: perché?!?

La nuova sede della Regione reinterpreta nelle sue curve “l’armonia prodotta dall’accostarsi e dall’allontanarsi dei crinali dei monti lombardi”, ovviamente secondo Pei, Cobb, Freed & Partners (quelli della piramide del Louvre). A Milanofiori un masterplan dello studio OBR aggrega edifici sfaccettati e puntuti come un mucchio di scaglie di selce.

L’architettura è una strana bestia. Coniuga arte, genio e soggettività con la sapienza del mestiere e la concretezza della tecnica. Ma è molto sensibile al richiamo delle mode, in assenza di modelli. Soprattutto in un momento storico, quello contemporaneo e successivo alla postmodernità, in cui i linguaggi e gli stili sembrano essere scomparsi. Oggi, a parte qualche archistar della vecchia generazione ancora attiva, risulta difficile riconoscere da un’opera l’architetto che l’ha concepita. Certo Richard Meier fa ancora le cose alla Meier, e Piano ha una cifra stilistica inconfondibile, ma non è così scontato distinguere un Chipperfield da un Koolhaas, un Libeskind da un Hollein.

Questa mancanza di un linguaggio proprio o, se si preferisce, la scelta di avere uno stile sempre diverso (indice di poca personalità o di grande flessibilità intellettuale?), rende gli stessi architetti più attenti alle tendenze e alle mode. Se qualcuno inizia a proporre edifici storti e la cosa funziona, presto tutti andranno in branco dietro al capo. Un po’ come negli anni ’80, quando in pieno postmodern, le nostre città, Milano compresa, si sono riempite di timpani, colonnine e colori pastello, declinando prospetti di periferici condomini secondo retoriche vernacolari e passatiste, solo perché sulle riviste di allora Aldo Rossi, Michael Graves e Ricardo Bofill godevano di una superesposizione, che li rendeva ahimè noti e graditi -ma non veramente compresi- anche ai geometri più corrivi.

Che riflessi avrà la poetica contemporanea dello storto sull’edilizia corrente, che tradizionalmente è gestita -nel bene e nel male- da figure professionali sicuramente capaci, ma non sempre dotate degli strumenti critici appropriati per interpretare questo nuovo stile?

Pietro Cafiero



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