30 gennaio 2013

musica


BACH E BEETHOVEN

Una strana sensazione hanno provato, lunedì e martedì scorso, gli spettatori presenti al Conservatorio a due recital dedicati rispettivamente a Bach e a Beethoven: il primo affidato dalle Serate Musicali ad Andrea Bacchetti che – orfano per improvvise e non meglio precisate “difficoltà tecniche” dell’orchestra Filarmonica torinese, che avrebbe dovuto accompagnarlo – ha eseguito da solo al pianoforte tre dei famosi concerti bachiani (BWV 1054 in re maggiore, BWV 1058 in sol minore, BWV 1059 in la maggiore) scritti e trascritti più volte per diversi strumenti (violino, oboe, clavicembalo) con e senza accompagnamento di continuo e di archi. L’altro, che costituiva la seconda giornata dell’integrale delle 32 Sonate per pianoforte di Beethoven, affidato dalla Società del Quartetto ad Andràs Schiff che ha eseguito le Sonate nn. 5, 6 e 7 dell’opera 10, la famosa “Patetica” n. 8 opera 13 e le due meno felici e meno note nn. 9 e 10 dell’opera 14.

Strana sensazione, dicevamo, a causa del possibile/impossibile confronto fra due monumenti della storia della musica di tutti i tempi, fra due dei tre grandi “B” (il terzo essendo Brahms) dell’orgoglio musicale tedesco, e fra i due ottimi pianisti della scena contemporanea.

Innanzitutto le due opere: i Concerti di Bach sono stati scritti nei primi decenni del XVIII secolo e destinati alla collettività – fosse quella limitata della di Cöthen o quella ben più ampia di Lipsia – per celebrare la grandiosità della musica come parte integrante e sostegno della grandiosità barocca della Corte o della Chiesa; le prime Sonate di Beethoven sono invece immediatamente successive alla rivoluzione francese, degli ultimi anni novanta, dunque indirizzate all’Uomo nuovo – formatosi con l’Illuminismo – sicché scavano nell’intimità dell’individuo e creano un rapporto univoco e diretto sia con l’esecutore che con l’ascoltatore.

Il confronto ravvicinato Bach – Beethoven è sempre sorprendente: per un lungo periodo questi due giganti hanno rappresentato l’alfa e l’omega della storia della musica tedesca. Da una parte la logica allo stato puro, sostenuta dalla precisione delle regole del contrappunto, dall’altra un distillato di emozioni e di passioni controllate solo dalla professionalità e dall’autorevolezza dell’autore. (Sarebbe stato interessante fra l’uno e l’altro ascoltare anche un recital interamente dedicato a Mozart, il terzo gigante a metà strada e “ponte”, insieme ad Haydn, fra i due: Bach nasce nel 1685, Mozart solo sei anni dopo la sua morte, Beethoven quando Mozart aveva appena quattordici anni. Eppure sembrano appartenere a tre secoli diversi).

Infine i due esecutori. Abbiamo già detto di loro in più occasioni, su Schiff ci siamo soffermati proprio due mesi fa in occasione della prima serata dell’integrale beethoveniana, di Bacchetti riferimmo tempo addietro delle sue Variazioni Goldberg senza ritornelli (!). Schiff peraltro è un illustre interprete bachiano – ha inciso l’opera omnia delle opere per tastiera del Kantor, una grande impresa pianistica e discografica – poi è passato attraverso una indimenticabile “integrale” di Schubert, da qualche anno si sta dedicando molto a Beethoven.

Anche fra Schiff e Bacchetti c’è un abisso, in molti sensi. Intanto li separa una generazione: l’ormai celebre maestro ungherese, che vive da anni in Toscana, ha sessant’anni mentre quello “strambo” personaggio di Bacchetti, che fa di tutto per allontanare da sé l’autorevolezza, ne ha solo trentasei. Grazie anche alla maggiore esperienza, Schiff ha una capacità di imporsi al pubblico – un carisma – che Bacchetti ancora non possiede. Benché sembrino avere le stesse intenzioni musicali (asciutti, scarni, poco inclini alla teatralità e piuttosto votati alla sobrietà), tanto da sembrare uno allievo dell’altro, hanno un rapporto con la musica diverso per non dire opposto: il primo la sente come una religione e la vive come se ne fosse una sorta di sacerdote, l’altro scandalizzava il suo pubblico facendo l’ospite fisso del programma televisivo superleggero “Chiambretti Night”.

Eppure non sapremmo dire chi “ci piace” di più, nel senso più volte da noi evocato di “chi ci dà più godimento”. La sensazione è che Bacchetti trasferisca agli ascoltatori passioni ed emozioni che Schiff, teso alla cura della perfezione tecnica, sembra quasi non provare. Il Beethoven di Schiff è spesso algido, glaciale, i tempi veloci troppo veloci, quelli lenti troppo lenti (anche se così riesce ad ottenere suggestioni straordinarie) e c’è sempre qualche cosa di didascalico nelle sue esecuzioni che ne mortifica l’ispirazione. Dopo Beethoven, come bis, ha eseguito due “preludi e fughe” dal primo libro del Clavicembalo ben temperato, il n. 1 in do maggiore e il n. 5 in re maggiore; bellissimi, ma dobbiamo confessare che il Bach di Bacchetti ha una umanità, una intimità e un calore che stentano a emergere nel perfettissimo Bach di Schiff.

Il quale Schiff è stato anche vittima, l’altra sera, di due immeritati incidenti di percorso: durante il meraviglioso e misterioso “Largo e mesto” della Sonata n. 7 un telefono cellulare particolarmente petulante lo ha obbligato a interrompersi e a ritirarsi visibilmente contrariato, tanto che – solo dopo lunghi minuti di vuoto seguiti da un intervento adirato (e anche un po’ sopra le righe) del presidente Magnocavallo – è rientrato in palcoscenico e puntigliosamente ha ripreso daccapo l’intera Sonata. Ma non basta, perché poco dopo un improvvido applauso del sussiegoso pubblico del Quartetto interrompeva brutalmente la stessa Sonata fra il “Menuetto” e il “Rondo”. Una serata davvero sfortunata.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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