23 gennaio 2013

arte


LE DIDASCALIE DI GARUTTI

Al PAC una retrospettiva celebra l’opera e i quarant’anni di lavoro di Alberto Garutti, uno degli artisti più significativi del panorama italiano. Oltre 30 opere danno vita a “Didascalia/Caption“, mostra che presenta lavori storici e recenti, progetti mai realizzati e una nuova opera creata appositamente per il PAC. E il titolo dice tutto, perché è attraversata da uno degli elementi caratterizzanti il lavoro dell’artista, l’uso multiforme della didascalia come modalità di diffusione delle opere al pubblico e come meccanismo attivatore di relazioni tra lo spettatore e i contenuti dell’opera.

Fotografia, scultura, scrittura, installazione, disegno, suono, video e pittura: tutto è utile per mostrare e capire il linguaggio dell’artista. Curata da Hans Ulrich Obrist e Paola Nicolin, la mostra rende subito consapevole lo spettatore di essere protagonista, già al suo ingresso. Sarà per quei 28 microfoni, installati in ogni stanza del padiglione, che registrano minuziosamente ogni parola detta al suo interno, con uno scopo ben preciso.

IN QUESTE SALE 28 MICROFONI REGISTRANO TUTTE LE PAROLE CHE GLI SPETTATORI PRONUNCERANNO. UN LIBRO A LORO DEDICATO LE RACCOGLIERÀ (2012)”, ovvero Garutti mette in gioco il visitatore. È un’opera che ne modifica il comportamento, che lo mette forse anche in difficoltà, all’inizio, ma che si radica nei precedenti artistici di Garutti: se l’artista deve spingersi verso la città, coinvolgerla ecc, in questo caso è lo spettatore che deve assumersi le sue responsabilità all’interno dello spazio sacro dell’arte: il museo, appunto. Perché da queste registrazioni verrà infatti creato un libro che le riporterà tutte, senza censura.

Le opere di Grautti sono fatte di meccanismi che si attivano tra l’artista e lo spettatore, tra il luogo in cui vengono ospitate e il contesto antropologico. Ecco perché molti suoi lavori degli anni ’90 non sono “musealizzabili”, ma sono vere e proprie performance su e a contatto con il territorio e i cittadini. Nascono così lavori-manifesto come quello a Peccioli tra il 1994 e il 1997, dove restaura la facciata del teatro del borgo vicino a Pistoia e installa la didascalia in pietra “Dedicato ai ragazzi e alle ragazze che in questo piccolo teatro si innamorarono”; o come “Ai Nati Oggi” (realizzato in varie città dal 1998 al 2005) dove l’artista collega alcuni lampioni presenti in aree pubbliche ai reparti di maternità cittadini in modo che la nascita di un bambino coincida con l’intensificarsi della luce, che aumenta per poi decrescere lentamente. L’artista si fa antropologo per riattivare la memoria storica collettiva, per far ragionare sulle relazioni tra arte e società.

Ma Garutti è artista e non può tralasciare il rapporto, a volte intimo e intenso, con i collezionisti. Ecco dunque nascere lavori come Campionario: stampe digitali su fondo monocromo (2007 – 2012) sulle quali una sottile linea nera ricama distanze e relazioni tra luoghi della città cari al potenziale collezionista. Nella serie Orizzonti – dipinti a partire dal 1987 su vetro in bianco e nero, in diverse dimensioni, ognuno dei quali porta il nome del suo committente – Garutti testimonia l’interesse per la sfera di relazioni sentimentali e professionali che formano “l’orizzonte vero della mia vita”.

Si arriva poi all’opera che da il titolo all’esposizione, “Didascalie“, in cui sono state raccolte e stampate su grandi fogli colorati, impilati come tanti blocchetti di post-it, tutte le didascalie delle sue opere installate nelle città. Il visitatore è invitato a strappare e portare via quelle per lui più significative, per costruirsi il suo proprio percorso sensoriale.

La dimensione pubblica dell’opera d’arte è sempre presente nel lavoro dell’artista, come si capisce osservando “Piccolo Museion“, vetrina cubica, installata nella città di Bolzano, che diventa dependance del famoso museo cittadino e che espone, a rotazione, un’opera delle collezioni del Museion¸ oppure con “Recinzione“, parte di opera, mai realizzata, per la Fondazione Sandretto di Torino. Un cancello di ferro, intervallato da forme colorate, per circondare un cortile “salvato” e recuperato da alcuni ex operai della zona.

Strumento da riproporre anche per altre mostre, è sicuramente il bel quaderno-mini catalogo fornito gratuitamente, che aiuta a contestualizzare e chiarire alcuni passaggi, non sempre scontati, dell’opera dell’artista.

Alberto Garutti. Didascalia. PAC-fino al 3 febbraio. Ingresso gratuito Orari: lunedì 14.30 – 19.30, da martedì a domenica 09.30 – 19.30, giovedì 09.30 – 22.30

 

 

L’ARRAMPICATA AL CIELO E LA MUSICA ELETTRONICA-LE MOSTRE DELL’HANGAR

Chi l’ha detto che l’arte contemporanea non può essere divertente? Presso l’Hangar Bicocca, fino al 3 febbraio, due mostre convinceranno anche i più scettici.

La prima, e più sensazionale, è On space time foam, di Tomàs Saraceno, artista argentino già avvezzo a un’arte non convenzionale e “partecipata”. Artista, ma anche architetto, Saraceno crea grandi installazioni, visionarie e sorprendenti, praticabili dal pubblico e in grado di modificare la percezione e l’uso degli spazi architettonici. Le sue opere, ispirate alla tradizione dell’architettura utopista del ‘900, nascono dal desiderio di creare strutture aeree abitabili dall’uomo, energeticamente autosufficienti e a basso impatto. Un’arte, la sua, fatta di scambi tra discipline, di incontri e condivisioni con mondi diversi, per creare progetti, e un futuro, sostenibili dall’ambiente.

On space time foam è una struttura fluttuante sollevata tra i 14 e i 20 metri da terra, costituita da tre livelli di pellicole trasparenti in PVC, ispirata dalla conformazione cubica di una parte dell’Hangar e praticabile dal pubblico. E qui sta il bello. Il visitatore può entrare in questo mondo fuori da ogni logica, gattonando e rotolando sulle pellicole trasparenti mentre, sugli altri livelli, altre persone fanno lo stesso, restituendo così una sensazione simile a un gioco di specchi, o meglio, a un acquario. Qual è lo scopo di quest’opera che, più che arte, da molti viene recepita come un grande gonfiabile-giocattolo? Saraceno rifiuta definizioni e letture obbligate: quest’opera può essere letta con una molteplicità di visioni e interpretazioni, a seconda della sensibilità dello spettatore. È un qualcosa che sconvolge, che ci fa perdere la percezione reale del tempo e dello spazio; mette in discussione le nostre certezze, destabilizza lo spazio che lo ospita; oppure, chissà, è un qualcosa che ci permettere di sfidare la gravità, si sollevarci verso il cielo e di interagire in maniera nuova con le persone che, letteralmente, ci circondano.

Ma è bene ricordare che, per quanto divertente, questo non è un gioco. Guide alpine e soccorritori vigilano sull’opera e sul corretto comportamento dei visitatori (si entra solo 5 persone alla volta per ogni livello), c’è una durata massima (15 minuti di permanenza), bisogna essere maggiorenni, non pesare più di 100 kg ed essere in buona forma fisica. La scalata a queste pareti che si gonfiano, si spostano, ci tirano verso il basso, non è cosa facile.

In contemporanea, fino al 6 gennaio, è possibile vedere ancora il lavoro di Carsten Nicolai, unidisplay, un’installazione lunga 40 metri e che è un’esperienza visiva, uditiva e anche fisica. Artista, musicista e produttore tedesco, Nicolai è conosciuto internazionalmente per le sue installazioni e le sue performance che esplorano le connessioni tra visione, suono, architettura, scienza e tecnologia. Le sue opere coinvolgono lo spettatore nella sua fisicità, lo rendono partecipe, unendolo non solo all’opera d’arte ma anche allo spazio che le ospita, cambiando i concetti di spazio e di tempo.

unidispaly è fatta da 6 grandi schermi su cui vengono proiettati, a ciclo continuo e per tutta la loro lunghezza, immagini grafiche essenziali in bianco e nero, che si accompagnano a suoni elettronici cadenzati e monotoni, che seguono il ritmo dei movimenti delle figure. Secondo l’autore però l’opera non va letta come un mero schermo ma come uno spazio mentale tridimensionale, basato sull’idea dell’infinito e in cui si perde la nozione e la cognizione del tempo. Un’ora passata a guardare l’intero ciclo risulta percepita davvero come una decina di minuti. E perdere il senso del tempo è il suo obiettivo, ottenuto tentando di dare, con queste immagini fatte di punti, di linee, di sinusoidi, un fluire unico connesso all’eterno movimento.

Collabora a tutto ciò anche una panca “vibrante”, che emette vibrazioni seguendo i suoni elettrici riferiti alle immagini. Difficile da descrivere, più facile da provare e da vivere. Con questo lavoro Nicolai unisce alcuni dei suoi tratti più caratteristici: la capacità di rendere percepibile il suono in modo ottico; l’estetica minimale che si traduce nell’uso del colore (variazioni sul bianco e nero) e delle sonorità; la propensione verso l’astrazione e quella verso l’infinito. Due opere interattive da non perdere, tanto più che l’ingresso all’Hangar è sempre gratuito.

Tomás Saraceno On Space Time Foam fino al 03.02.2013 Orari: Lun-Mar-Merc: chiuso; Gio-Ven-Sab-Dom: 11.00-23.00 Ingresso libero

 

CLAUDIA GIAN FERRARI E LE SUE PASSIONI

Collezionare il Novecento. Claudia Gian Ferrari, collezionista, gallerista e storica dell’arte è il primo appuntamento di un ciclo di mostre che il Museo del ‘900 dedica a collezionisti importanti che hanno messo al centro l’arte del XX secolo. Si inizia con Claudia Gian Ferrari, collezionista, studiosa, appassionata d’arte e figlia di Ettore, importante gallerista milanese, dal quale erediterà la gestione della galleria. Claudia si propone fin da subito come una importante figura di riferimento per il mondo artistico milanese, tramite un lungo percorso, che ha portato la Gian Ferrari a far scoprire e riscoprire importanti artisti del ‘900 attraverso mostre e accurate monografie, quali quelle su Giorgio de Chirico, Filippo De Pisis, Arturo Martini, Giorgio Morandi, Fausto Pirandello e Mario Sironi. Ma un artista fu forse più importante di altri, Arturo Martini. Sulla scia del padre, che aveva fondato l'”Associazione Amici di Arturo Martini” a sostegno delle opere del maestro, Claudia Gian Ferrari nel 1998 ne cura l’importante catalogo generale e ragionato delle sculture, che porta a scoprirne una serie di inedite e anche alcune ritenute disperse. Tra queste, l’Ofelia acquistata dalla Pinacoteca di Brera proprio quando Claudia fu presidente dell’Associazione (opera presente in mostra).

Quindici le opere che entrano da oggi a far parte delle collezioni del Museo, donate dalla famiglia e a cui Claudia fu sempre particolarmente legata, opere che occupavano un posto speciale all’interno della sua abitazione privata. Troveranno spazio un Achrome di Manzoni, destinato alla sala Azimuth del museo, una gouache di Lucio Fontana e un’esemplare delle “uova” in terracotta realizzate dall’artista all’inizio degli anni Sessanta, ci sarà Mario Merz, con la sua Proliferazione laterale del 1975, Apollo e Dafne di Giulio Paolini, una composizione di sale di Giuseppe Penone, una piccola installazione di Pier Paolo Calzolari, e una Stella del 1977 di Gilberto Zorio. La donazione include poi Prière de toucher realizzata da Marcel Duchamp per la copertina del catalogo pubblicato in occasione della mostra “Esposizione surrealista”, organizzata con André Breton alla Galerie Maeght di Parigi nel 1947, le fotografie di Dan Graham, Bruno Kirchgraber e Giorgio Colombo e uno schizzo di De Kooning. Per concludere, ci saranno anche una Macchina drogata di Vincenzo Agnetti del 1969 e un gesso di Fausto Melotti.

Inoltre in mostra anche opere di artisti molto amati dalla Gian Ferrari, e prestati appositamente per l’occasione, come Arturo Martini, Filippo De Pisis, Giorgio Morandi, Cagnaccio di San Pietro, Fausto Pirandello e Mario Sironi, a cui Claudia Gian Ferrari ha dedicato una vita di studi, pubblicazioni ed esposizioni. Infine, due degli artisti contemporanei più vicini alla gallerista, Luigi Ontani e Claudio Parmiggiani, hanno contribuito ad allestire due piccole sale monografiche di particolare intensità.

Interessante anche la selezione di materiali provenienti dai documenti dell’archivio storico della galleria Gian Ferrari, che Claudia ha destinato con un legato testamentario agli Archivi del Novecento, attraverso i quali si potrà capire e approfondire meglio i momenti più salienti e le scelte artistiche della Galleria. Documenti, fotografie, lettere e una biblioteca relativa a circa settant’anni di attività per far rivivere un’epoca intera.

Pitture e sculture ma non solo. Nel percorso espositivo sono inseriti anche mise e accessori amati e usati in vita dalla Gian Ferrari. Vengono proposti alcuni abiti del suo guardaroba, firmato quasi esclusivamente da Issey Miyake, e dei cappellini d’autore che Claudia ha sempre indossato, vera e propria passione trasformatasi nel tempo in collezionismo. Claudia ha lasciato a Palazzo Morando, sede delle collezioni di Costume, Moda e Immagine del Comune, oltre cento abiti di Miyake e altrettanti copricapo, tra cui quelli dello stilista Alan Journo e dell’artista, da lei promossa, Lucia Sammarco. Una vera amante dell’arte e della filantropia. Nel 2006, prima dell’apertura del Museo del ‘900, furono donati consistenti nuclei di opere a Villa Necchi Campiglio e al MART di Rovereto. Una parte di queste collezioni sono andate anche a far parte del MAXXI di Roma, altra città amata e frequentata dalla collezionista.

L’allestimento della mostra è altrettanto di eccezione, firmato Libeskind. In una sorta di labirinto dalle pareti disuguali il visitatore potrà ammirare da ogni angolo le singole opere, avviluppandosi man mano nel mondo tutto privato che fu un tempo della collezionista, e che da oggi diventa spazio pubblico. Molteplici punti di vista come molteplici e di diversi orientamenti furono le passioni di Claudia Gian Ferrari.

Collezionare il Novecento. Claudia Gian Ferrari gallerista, collezionista e storica dell’arte – Fino al 3 marzo 2013 Museo del 900 Orari lun 14.30 – 19.30 mar, merc, ven e dom 9.30 – 19.30 giov e sab 9.30 – 22.30 Ingresso intero 5 euro

 

 

COSTANTINO 313. IL SOGNO CHE CAMBIÒ L’EUROPA

Per celebrare la nascita del famoso Editto di tolleranza, datato 313 d.C., il Museo Diocesano e la casa editrice Electa, in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma e sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e della Segreteria di Stato del Vaticano, presentano la mostra Costantino 313 d.C.

Una grande esposizione celebrativa non solo di quell’editto che di fatto cambiò il corso della storia europea, ma anche del ruolo di Milano come città imperiale e punto di riferimento politico, religioso e culturale. L’Editto di Milano fu emanato nel 313 d. C. dall’imperatore romano d’Occidente Costantino e dal suo omologo d’Oriente, Licinio, che si incontrarono nel palazzo imperiale milanese e decisero che, da quel momento, il Cristianesimo, culto già affermato in larghi strati della popolazione dell’Impero, dopo secoli di persecuzioni veniva dichiarato lecito, inaugurando così un periodo di tolleranza religiosa e di grandi rinnovamenti politici e culturali.

Dal palazzo imperiale a Palazzo Reale, dunque. La mostra, divisa in sei sezioni, racconta la Milano dell’epoca, ricostruendone idealmente spazi e palazzi, luoghi, arte e suppellettili che circolavano non solo nella capitale ma anche in tutto il mondo romano. Con più di duecento preziosi oggetti d’archeologia e d’arte, vengono indagate tematiche storiche, artistiche, politiche e religiose: da Milano capitale imperiale, alla conversione di Costantino, con quell’aura di leggenda, fino ai simboli del suo trionfo.

Attraverso la ricostruzione di Milano, il visitatore potrà ritrovarsi nella capitale dell’epoca, con tutti gli edifici funzionali a una grande città: dal Palatium, edificio polifunzionale destinato ad accogliere non solo l’imperatore ma anche la complessa burocrazia dello Stato, alle grandiose terme erculee, identificabili tra gli odierni Corso Vittorio Emanuele e via Larga, fino alla necropoli dell’area di Sant’Eustorgio, senza tralasciare quartieri residenziali e nobiliari.

Ma siamo in un momento di transizione, in cui accanto all’affermarsi del Cristianesimo come culto sempre più importante, persistono ancora diverse religioni nell’impero costantiniano, che ci sono note mediante l’uso di iconografie pagane in oggetti d’arte di destinazione ufficiale o privata, e che spesso si mescolano ai simboli e alle immagini cristiane.

Oltre ad approfondire la figura di Costantino e della sua famiglia, ampio spazio è dato anche a tre istituzioni importanti per la vita pubblica romana: l’esercito, la chiesa e la corte imperiale. Così grandi ritratti ufficiali, monete, medaglie e oggetti quotidiani documentano il nuovo aspetto pubblico e sempre più presente dell’imperatore, della corte, dei grandi funzionari, dell’esercito, della Chiesa e dei suoi vescovi, fino ad Ambrogio.

Oggetti preziosi e di lusso che testimoniano, con le loro figurazioni, il passaggio graduale che il Cristianesimo compie all’interno della società, da devozione lecita ma privata a una dimensione pubblica e ufficiale, per arrivare infine a essere l’unica religione dell’Impero. Gemme e cammei, argenterie, gioielli in oro e fibule auree consentiranno di tracciare un quadro dello splendore che caratterizzava la vita della corte e la nuova devozione verso la Chiesa.

Chiude la mostra una grande sezione dedicata a Elena, madre di Costantino, santa e imperatrice. Fu proprio Elena che si recò in Terra Santa e trovò, secondo la tradizione, dopo averla riconosciuta, la Vera Croce di Cristo, riportandola in Europa e inserendo nella corona imperiale del figlio uno dei Sacri Chiodi, come protezione e dichiarazione ufficiale della nuova, vera Fede. Imperdibile la bellissima Sant’Elena di Cima da Conegliano, proveniente dalla National Gallery di Washington, 1495 c.

Sulla conversione di Costantino si è scritto molto: fu frutto di una decisione presa per convenienza o il suo spirito era sincero? Il battesimo in punto di morte, il celebre sogno, avvenuto la notte prima della Battaglia di Ponte Milvio, nel 312, in cui si preparava a combattere il suo nemico Massenzio, sono storie ben note. Quel che è certo è che, da quel momento, inizia a diffondersi l’iconografia del Krismon, le due iniziali greche di Cristo incrociate tra loro, dapprima sugli scudi dell’esercito di Costantino, poi su monili e gioielli, per approdare infine in tutto l’Impero. Si diffonde a simbolo di un’epoca intera il signum crucis di Costantino.

Costantino 313 d.C. Palazzo Reale, fino al 17 marzo 2013 orari: lun 14.30 – 19.30 mar, mer, ven, dom: 9.30 – 19.30 giov, sab: 9.30 – 22.30 ingresso: intero euro 9,00 ridotto euro 7,50

 

 

CADAVERI IN MOSTRA – BODY WORLDS

Body Worlds è il titolo della mostra che ha dato, e continuerà a dare scandalo e suscitare perplessità. In pratica, si tratta di un’esposizione di cadaveri, o di parti di essi, completamente ridotti nelle loro parti più essenziali: muscoli, ossa, vasi sanguigni ecc. Sembra la descrizione di un film dell’orrore, in realtà è una mostra che vuol essere scientifica e didattica. E perché no, anche un poco artistica.

Body Worlds – Il vero mondo del corpo umano, è già stata visitata da oltre trentaquattro milioni di persone nelle sessanta città del mondo in cui ha fatto tappa, di cui solo 200.000 a Roma e Napoli. La mostra celebra il corpo umano, facendo luce sui segreti della sua anatomia e del suo funzionamento, spiegando con parole semplici e comprensibili a tutti informazioni e questioni scientifiche sui temi della salute, delle malattie, del benessere e della vita in generale.

Come è possibile tutto questo? L’idea di questo circo dei morti è del Dr. Gunther von Hagens, che dal 1977 ha inventato e continuamente modernizzato la tecnica della plastinazione, attraverso la quale si sostituiscono ai liquidi corporei polimeri di silicone, rendendo perfettamente conservabili nel tempo tessuti e organi umani e animali.

Il fine della mostra è assolutamente medico, come precisano gli organizzatori, all’inizio questi esperimenti servivano soprattutto per gli studenti di medicina, ma col tempo si è estesa la possibilità di questa particolare materia anche al grande pubblico, per mostrare, in modo ravvicinato, come funziona davvero il corpo umano, con tutti i suoi segreti e le sue risorse, per permetterne davvero una piena comprensione.

La domanda sorge spontanea. Chi sono-erano queste persone che oggi, alla Fabbrica del Vapore, ritroviamo letteralmente a pezzi dentro delle vetrine o impiegate in strane pose plastiche? Le tante mostre che Body Worlds ha creato dagli anni ’80 a oggi sono state possibili grazie a specifici programmi di donazione del corpo, nel quale i donatori dispongono esplicitamente che i loro corpi possano essere esposti a Body Worlds dopo il decesso. A oggi i registri dell’istituzione contano più di 13.000 donatori registrati, tra viventi e deceduti.

Oltre a vedere nel dettaglio organi, in salute e affetti da patologie, ossa, sezioni di tessuto ecc, c’è anche spazio per l’estetica. In mostra infatti sono presenti corpi posizionati in atteggiamenti e pose varie, per mostrarne a pieno il funzionamento dei muscoli, dei nervi ecc. Tra gli altri ricordiamo una toccante coppia di ballerini, un giocatore di basket, uno sciatore, tre ironici giocatori di poker e addirittura un cavaliere su cavallo. Tutti, ovviamente, fatti di scheletro e tessuti muscolari ben in vista.

Ma non c’è niente di macabro o di cattivo gusto, come spiega l’ideatore, Gunther von Hagens: “L’esposizione Body Worlds è un luogo destinato alla divulgazione e alla riflessione intima, un luogo dedicato all’autoconsapevolezza filosofica e religiosa. Non è un cimitero illegale, né un salone di bellezza post-mortem. Mostra il corpo quale miglior rappresentante dell’anima, che si porge al visitatore di mentalità aperta“. Una mostra per stomaci forti.

Gunther von Hagens Body Worlds Milano, Fabbrica del Vapore via Procaccini 4 fino 17 febbraio 2013 biglietti: intero 15,00 euro, ridotto over 62, studenti, 14 euro La mostra è aperta tutti i giorni dalle ore 10.00 alle ore 20.00 con orario continuato. Il giovedì e il sabato l’orario è dalle 10.00 alle 23.00 con orario continuato.

 

DAL 1953 A OGGI: PICASSO A MILANO

Picasso torna a Milano. I capolavori del genio spagnolo arrivano in città con una grande ed emozionante retrospettiva. Le opere, più di 200, arrivano dal museo più completo e importante per quanto riguarda la produzione dell’artista: il Museè Picasso di Parigi che, chiuso per restauri fino al 2013, ha deciso di rendere itineranti le sue collezioni e di presentarle in tutto il mondo. Prima della tappa milanese infatti le opere sono state esposte in America, in Russia, Giappone, Australia e Cina.

Certo non è la prima volta che Picasso “arriva” a Milano. Oltre alla grande mostra del 2001, ci fu un’altra kermesse, che fece la storia delle esposizioni museali in Italia, la grande mostra del 1953. Una mostra dalla duplice tappa italiana, prima Roma e poi Milano, ma che ha avuto nei suoi sviluppi meneghini una risonanza e un’importanza non paragonabile a quella romana. Voluta fortemente dal senatore Eugenio Reale, la mostra romana si presentava ricca sì di opere, ma parzialmente oscurata per motivi politici. Ad esempio non compariva il Massacro in Corea (presente oggi in mostra).

L’edizione milanese, organizzata dall’instancabile Fernanda Wittgens e dai suoi collaboratori, fu invece ancora più ricca di opere, scelte dallo stesso Picasso, con addirittura l’arrivo, a mostra già iniziata, di Guernica, celeberrimo dipinto del 1937, e manifesto contro la guerra franchista. Dipinto che per la sua importanza fu sistemato, su richiesta di Picasso, nella sala delle Cariatidi, che “per contratto” non doveva essere restaurata dopo le devastazioni della guerra, proprio per creare un connubio e un monito fortissimo a memoria degli orrori e delle devastazioni belliche.

Proprio da questa stessa sala prende avvio oggi la mostra “Picasso. Capolavori dal Museo nazionale di Parigi”, che racconta in un percorso cronologico e tematico la vita e le opere dell’artista. Insieme alle fotografie che ci mostrano attimi di vita, amori, amici e ateliers dell’artista spagnolo, in mostra dipinti, sculture e opere grafiche create durante la sua lunghissima vita. La mostra, curata da Anne Baldassari, presidente del museo parigino, illustra le varie fasi e gli stili che Picasso usò, spesso in contemporanea, durante la sua carriera.

Si inizia con l’apparente classicismo e malinconia dei periodi blu e rosa, di cui sono memorabili opere come La morte di Casagemas, dipinto dedicato all’amico morto suicida, la misteriosa Celestina e I due fratelli. Ma già dal 1906 si intuisce l’influenza che l’arte primitiva, africana e iberica, avranno su Picasso. Sono questi gli anni che vedono la nascita dei tanti disegni preparatori per il capolavoro assoluto, Les Demoiselles d’Avignon, 1907 (conservate al MoMA di New York). L’autoritratto nudo, gli studi di donna, sono tutti dipinti in cui il Cubismo inizia a prender forma, semplificando e rendendo impersonali volti e sessi.

Ma la rivoluzione vera arriva intorno al 1912, quando Braque e Picasso inventano i collage, e la forza dirompente delle loro sperimentazioni porta alla nascita del Cubismo, analitico e poi sintetico, in cui la figura viene prima scomposta, resa irriconoscibile, come nel Suonatore di chitarra e Il suonatore di mandolino, per poi tornare a inserire elementi di realtà, come lettere, numeri, scritte o veri e propri elementi oggettuali.

Ma Picasso non è solo Cubismo. Negli anni ’20 segue, a suo modo, il Ritorno all’ordine dell’arte, con le sue Bagnanti e le sue donne enormi, deformate, possenti e monumentali, omaggi agli amici impressionisti come Renoir. Sono gli anni in cui conosce anche Breton e i Surrealisti, e in cui crea figure “disumane” e contorte, mostri onirici che ci mostrano le pulsioni sessuali e le ossessioni del pittore.

La guerra però, sconvolge tutto. Oppositore della dittatura franchista, Picasso non può far altro che denunciare gli orrori e la violenza della guerra con sculture e dipinti dai toni lividi, come Guernica, o nature morte popolate di crani di tori, capre e candele dalla fiamma scura. Non mancano i ritratti dei figli e delle donne amate: Fernande, Dora Maar, Marie Therese, Francoise, Jacqueline e la bellissima Olga in poltrona, dipinto che Picasso conserverà fino alla propria morte, appeso sopra il letto. Ritratti ma anche autoritratti dell’artista, dipintosi davanti al cavalletto, o con una modella nello studio, tema prediletto per dipingere la Pittura, il vero amore della sua vita.

Picasso dipinse fino a poco prima di morire. Degli ultimi anni sono i dipinti che riprendono i maestri a lui più cari, Matisse, Velazquez, Delacroix, ma anche un lucido autoritratto in cui l’artista si rappresenta sempre pittore ma con un volto che sembra già un cranio dalle orbite vuote (Il giovane pittore, 1972). Morirà l’anno seguente.

Una mostra completa, che prende origine dall’incredibile collezione del Museo Picasso di Parigi, forte di più di 5.000 opere, donate in vari nuclei da Picasso stesso e in seguito, direttamente dagli eredi. Ieri come oggi le opere di Picasso potranno ancora insegnarci qualcosa, monito e delizia dei tempi moderni.

Picasso. Capolavori dal Museo Picasso di Parigi Palazzo Reale, prolungata fino al 27 gennaio 2013, orari: lunedì, martedì e mercoledì: 8.30-19.30 giovedì, venerdì, sabato e domenica: 9.30-23.30; biglietti: € 9,00 intero, € 7,50 ridotto

 

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org


 



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