27 aprile 2009

DORMI-VEGLIA. MOVIDA, CONFLITTO E SPAZI D’INTESA


Che la vita notturna, il rapporto tra giovani e città, i conflitti che da ciò possono scaturire siano questione delicata è indubbio e non sono, certo, i recenti episodi di tensione avvenuti a Milano ad insegnarcelo.

Tuttavia, tali vicende rendono evidente come la questione stia assumendo dimensioni non più trascurabili, ammesso che mai lo siano state. E confermano, una volta di più, quanto le strategie d’intervento del governo cittadino non siano in grado, ad oggi, di trovare una soluzione definitiva e condivisa.

La fallacia delle politiche messe in atto a Milano sta, infatti, sia nell’approccio sostanzialmente emergenzialistico che sottende questo tipo di interventi, sia nella logica di mantenimento dell’ordine che orienta le decisioni in materia. Atteggiamento, quest’ultimo, legittimato e favorito anche dal generale clima d’incertezza che pone, non a caso, ai vertici delle agende politiche e delle preoccupazioni dell’opinione pubblica la questione della sicurezza, della quale le “piazze notturne” appaiono minacciose attentatrici.

È evidente che, data la complessità del tema, sia irrealistico pretendere politiche risolutive una volta per tutte. Ma è altrettanto vero che proprio la pluralità dei soggetti e degli interessi coinvolti, nonché il peso della questione nelle dinamiche economiche e funzionali della città, devono impegnare ad un maggiore sforzo di negoziazione e costruzione concertata di possibili strategie anche, e soprattutto, in un’ottica di lungo periodo.

Gli assessori Terzi e Rizzi stessi, in un articolo apparso su La Repubblica lo scorso 11 aprile, definiscono transenne e cancellate (quelle davanti al Mom pronte entro inizio maggio) una «scelta estrema», da sostituire presto attraverso «una decisione democratica sui progetti in programma». Ma, nonostante l’attivazione dell’indirizzo di posta elettronica per raccogliere suggerimenti e proposte dei cittadini possa rappresentare un passo avanti verso una maggiore intesa tra istituzioni e società civile, ciò non sembra corrispondere ad un più ampio disegno politico volto alla risoluzione concreta e condivisa di una questione ancora sottovalutata. A maggior ragione, se questo appare come unico elemento positivo accanto ad una serie di provvedimenti restrittivi che lasciano ben poche possibilità di dialogo.

Cancellare la movida nelle zone in cui è più rumorosa, fastidiosa, fonte di disagio, non risolve la questione della vita notturna a Milano. Sposta il problema altrove – ammesso che gli interventi abbiano gli effetti auspicati da chi li progetta – e ne rinvia il momento dell’effettiva risoluzione.

Dato il numero dei frequentatori e delle piazze coinvolte, il fenomeno dell’appropriazione degli spazi urbani durante la notte non è marginale. E’ quindi il momento di concedergli il giusto spazio e coglierne le potenzialità. È un campanello d’allarme, una denuncia spontanea delle condizioni in cui parte dei milanesi vive. D’altronde, se in città vengono ridotti spazi dei quali sia possibile un utilizzo spontaneo e non regolato, né si predispongono servizi ed aree attrezzate per i giovani, non ci si può stupire che questi trovino soluzioni alternative e rispondano autonomamente alle proprie esigenze. Le aree interstiziali, lasciate incustodite dalle logiche di controllo e d’irreggimentazione dei comportamenti, saranno il luogo di nuovi, indisciplinati, imprevisti usi dello spazio urbano.

Giovani e residenti delle zone della vita notturna hanno uguale diritto di utilizzazione di quegli spazi e, allo stesso modo, si comprendono le buone ragioni che muovono il “conflitto urbano”. D’altra parte, non si può pretendere che una situazione di conflittualità, apparentemente insanabile, si risolva da sola. A nulla serve affidarsi al buon senso e alla spontanea comprensione dei bisogni altrui da parte di entrambi, com’è troppo sbrigativo condannare il fenomeno della movida facendo appello a facili moralismi.

Se si vogliono risultati concreti, è bene che la Politica faccia la sua parte, fornendo servizi adeguati agli usi effettivi (non sempre previsti) degli spazi e ponendo paletti non troppo restrittivi ma capaci di ridurre i disagi per le diverse parti in causa.

Bisogna, dunque, prevedere meccanismi di partecipazione attiva – reale – dei cittadini ai tavoli decisionali per progettare interventi realmente condivisi e, così, promuovere processi di riappropriazione non esclusiva degli spazi, ovvero responsabilizzare e creare nuova identità con il territorio, anche educando al dialogo.

Francesca Zajczyk




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