16 gennaio 2013

PGT: IL PIANO CHE NON SERVE A MILANO


Il nuovo Piano di Governo del Territorio di Milano è vigente. Il sindaco Pisapia e la sua giunta l’avevano sottoposto al Consiglio Comunale, che l’ha approvato con un solo voto contrario, nel mese di maggio del 2012 e soltanto dopo essere stato ufficialmente pubblicato, è divenuto anche accessibile sul sito web del Comune. Quanto il piano entrato in vigore è diverso da quello adottato dalla giunta Moratti? E soprattutto che valutazione complessiva può essere data di un così laborioso parto, e, infine, cosa resta ora ancora da fare?

Come è noto il piano è il risultato di nuove controdeduzioni alle migliaia di osservazioni presentate dai cittadini al piano adottato nel 2010 dalla giunta Moratti. Il piano adottato era caratterizzato da intenti di estrema concentrazione insediativa e densificazione della città, dalla mancanza di ogni inquadramento territoriale rispetto all’area metropolitana e di qualsiasi indicazione sulle strategie competitive per la città – a parte quelle fondate sullo stimolo allo sviluppo edilizio -, da progetti di notevole intensificazione infrastrutturale sia su ferro che su gomma, strettamente limitati al territorio del capoluogo, dall’introduzione della cosiddetta perequazione urbanistica in forma tale da consentire il trasferimento dei diritti volumetrici generati da qualsiasi terreno verso qualsiasi altro punto della città, e infine dall’azzeramento convenzionale della superficie lorda di pavimento di tutti i servizi pubblici e privati, che sarebbero così tutti diventati generatori di nuovi ingenti diritti volumetrici.

Il Piano ora divenuto vigente è, nel suo impianto sia analitico che progettuale, sostanzialmente sovrapponibile a quello adottato dalla precedente giunta Moratti, salvo alcune modifiche puntuali che possono essere così sintetizzate. Viene ridotto l’indice unico di edificabilità e vengono ridotte le quantità edilizie previste in alcune aree di trasformazione, mentre per altre, come gli scali ferroviari le decisioni vengono rinviate ai futuri accordi di programma. Le aree periurbane del Parco Sud, che prima generavano diritti volumetrici trasferibili per le porzioni che sarebbero state considerate non agricole, verranno definite nelle loro vocazioni e destinazioni (e dunque anche nella loro capacità di generare diritti edificatori) dai successivi Piani di cintura urbana elaborati su iniziativa del Parco, oggi presieduto dal presidente della Provincia (1). Sono state apportate anche altre modifiche alla normativa, di portata meno generale, che in questa sede, per brevità, si evita di descrivere analiticamente ed è infine stata cancellata qualche previsione viabilistica, come ad esempio il tunnel autostradale per Linate.

Dato il carattere puntuale, benché non irrilevante, delle modifiche apportate, è evidente che il Piano mantiene i difetti di fondo della versione originaria.

In primo luogo resta privo sia della individuazione di efficaci strategie competitive per Milano, sia di qualsiasi respiro di dimensione metropolitana. Il piano Masseroli Moratti, come si è già accennato, ignorando completamente il tema delle strategie competitive nel campo dell’efficienza dell’organizzazione territoriale, delle infrastrutture, dei servizi e della produzione, affidava il futuro di Milano alla espansione edilizia, facilitata con ogni mezzo, e sostenuta da un mirabolante programma di nuove linee di trasporto strettamente urbane. Una scelta dunque di densificazione della città fine a se stessa, e inevitabilmente in conflitto con gli interessi dell’hinterland. La strategia sembrava essere dunque quella di cavalcare la crisi, scaricandola da un lato sull’hinterland, e dall’altro sulla qualità della vita urbana.

Il piano della nuova giunta non sostituisce questa strategia con una diversa. Nessuna scelta chiara sulle principali grandi infrastrutture, a partire dall’aeroporto, nessuna analisi e nessun progetto specifico sui settori dell’economia, sia nel campo dei servizi che in quello della produzione, capaci di restituire qualche dinamicità all’economia milanese, e conferma, sia pure soggetta a verifica nel piano di settore, dell’ambizioso e irrealistico piano di nuove linee urbane su ferro. Certo i volumi vengono un po’ ridotti, ma comunque ve ne saranno in abbondanza per decenni, vista la recessione in atto e la massa dell’invenduto e dell’inutilizzato.

Il piano urbanistico di Milano è dunque ridotto ai suoi minimi termini di puro strumento di gestione dei diritti edificatori. Ed è proprio in questo campo che continua a mostrare grandi difetti. In primo luogo quello della generale trasferibilità di tutti i diritti edificatori sull’intero territorio comunale: il che non potrà non determinare processi di notevole densificazione delle più appetibili aree centrali, già oggi molto congestionate e afflitte da cattiva qualità ambientale, dove tutti tenteranno di trasferire e realizzare i propri diritti volumetrici, ovunque originati. In secondo luogo grazie alla bizzarrissima norma che azzera il computo della superficie lorda di pavimento per tutti i nuovi servizi, pubblici e privati, definiti con estrema larghezza (dalla discoteca alla borsa valori, dalle fiere ai centri congressi, dai mercati rionali ai negozi di vicinato, dalle università alle cliniche, eccetera, eccetera) (2). Tali insediamenti, potranno perciò essere localizzati dovunque senza vincoli planivolumetrici e dunque con qualunque densità insediativa, pur essendo, di solito, i più potenti attrattori di traffico che si possano immaginare.

Non dovrebbe sfuggire a nessuno, e tanto meno a dei giuristi, la totale illogicità di una simile impostazione. Non dovrebbe nemmeno sfuggire il rischio che tutti i gestori di servizi non strettamente pubblici (dal Policlinico al Politecnico, tanto per esemplificare con due nomi assonanti scelti a caso) siano indotti a inventarsi necessità di trasferimento, per trasformare le rispettive attuali volumetrie (anche fisicamente ricostruibili) in residenza, uffici privati e commercio in modo da sfruttare poi la bizzarra e inaudita norma sulla illimitata gratuità urbanistica delle nuove slp a servizi. Un piano sensato avrebbe dovuto spingere i gestori di grandi servizi a concentrarsi sulla propria missione, invece di offrire loro la scappatoia drogata del passaggio al mattone.

Il piano continua a distribuire edificabilità sulle grandi aree pubbliche in dismissione in misura rilevante, anche se un po’ ridotta rispetto a quello adottato e facendo slittare la definizione della parte più grossa, quella degli scali ferroviari, alla procedura separata dell’accordo di programma con le Ferrovie. La grande potenziale penetrazione di verde della Piazza d’armi viene così dimezzata, quella ancor più grande di Bovisa Farini Lugano è addirittura ridotta a un quarto, soprattutto a causa della massiccia edificazione di Bovisa. Lo scalo di porta Romana lascerà al verde solo il 40%, e quello di porta Genova il 30% (3). Milano si gioca così, del tutto inutilmente vista la crisi del mercato immobiliare, la possibilità di usare in futuro le ultimissime aree non edificate per dotarsi di grandi parchi urbani e di penetrazione e connessione con le aree verdi esterne alla città.

La parte di pianificazione relativa ai servizi, benché pomposamente enucleata come un piano a sé, il Piano dei servizi appunto, è priva di ogni contenuto progettuale, che dunque verrà esercitato nelle forme oscure delle decisioni settoriali dei singoli assessorati e di centinaia di soggetti pubblici, semipubblici o privati, liberi ciascuno di muoversi a proprio piacimento, naturalmente anche alla luce dell’illogica normativa che azzera il computo della superficie lorda di pavimento (slp) di qualsiasi nuovo intervento. L’edilizia sociale, oltre a essere caratterizzata da gradi di socialità indeterminati, è affidata, per quanto riguarda l’effettiva realizzazione, alla buona volontà degli operatori. Sul versante dei parcheggi, la totale libertà di scelta del mix funzionale degli interventi e la “gratuità” della slp a servizi, potrà provocare gravi fenomeni di congestione.

La pianificazione delle tutele del patrimonio storico e ambientale della città, genericissima e inefficace nel piano adottato, tale è rimasta nel piano approvato, senza alcuna apprezzabile variazione. (4)

La parte computazionale del piano è approssimativa, inverificabile e in definitiva viziata d’errore. La relazione dichiara una capacità insediativa aggiuntiva di 182.873 abitanti teorici, senza curarsi di precisare le modalità di calcolo, il che è di per sé insolito. In mancanza di dati dichiarati, e dunque induttivamente, sembra di poter arguire che essa sia stata ottenuta attribuendo a ogni abitante insediabile un volume pari a circa 300 metri cubi convenzionali (5), corrispondenti di fatto, grazie ai generosissimi sconti applicati alla definizione della Superficie lorda di pavimento, alla bellezza di oltre 700 metri cubi vuoto per pieno a testa (6): più di sette volte tanto rispetto ai parametri della legislazione nazionale, disapplicata in Lombardia grazie alle leggi di Formigoni e Boni. Presumibilmente il clamoroso sconto nel computo degli abitanti teorici cela l’ipotesi di destinazione di una parte delle volumetrie a usi terziari, certo più che plausibile, ma non dichiarata nella computazione. Come se non bastasse, nel calcolo vengono dimenticati tutti i cantieri aperti e i volumi esistenti inutilizzati, e soprattutto viene sbadatamente dimenticato il possibile enorme aumento di capacità insediativa dovuto al riuso per funzioni urbane dei servizi esistenti, stimolati al trasferimento dalla già citata norma che azzera il peso insediativo dei nuovi insediamenti.

In conclusione non è azzardato affermare che i veri abitanti teorici sono un grande multiplo intero del valore dichiarato: qualcosa come il triplo del dichiarato: non 182.873 ma almeno 500 – 600.000 abitanti (7), il che purtroppo ci riporta assai vicini alle quantità – obbiettivo dichiarate dalla giunta precedente. Sono quantità del tutto incompatibili con la realtà modesta di Milano demograficamente statica da decenni, foriere di un doppio risultato negativo: sviluppo lento ma ciononostante di cattiva qualità. Il cavallo non beve e dunque invece che dieci ci vorranno cinquant’anni e forse più a realizzare il piano, ma grazie alla imputrescibilità dei diritti immobiliari acquisiti Milano per molti decenni si godrà, oltre al piacere della stagnazione, anche quello dello sviluppo edilizio densificato. Un colmo di irrazionalità in cui ci si è volontariamente cacciati.

La parte normativa presenta altrettante criticità. Senza volere entrare in questa sede nell’estremo dettaglio ci si limita a osservare come alcune delle definizioni più delicate perché foriere di conseguenze radicalmente divergenti in termini di diritti volumetrici come, a titolo di esempi non esaustivi, la definizione e gli ambiti di applicazione degli indici fondiari e di quelli territoriali e le modalità di verifica della saturazione degli indici esistenti (8), o la definizione dei servizi su area pubblica (9), appaiono incertissime e dunque foriere di un enorme lasco interpretativo, lasciato all’umore interpretativo di questa o quella struttura del Comune o, peggio, al contenzioso giudiziario. Non sembra ci fosse bisogno di aggiungere ulteriori incertezze al già confusissimo mondo del diritto urbanistico italiano e soprattutto lombardo.

Il piano è divenuto definitivo attraverso procedure quanto meno discutibili. Non solo i cittadini, ma nemmeno i consiglieri comunali, hanno avuto a disposizione le tavole modificate, che sono state rese note solo dopo l’entrata in vigore del piano; la votazione delle controdeduzioni è avvenuta per grandi gruppi di osservazioni, senza permettere al consiglio una valutazione dei singoli aspetti, inclusi quelli più rilevanti. Nonostante tutto questo, il clima in cui è avvenuta l’approvazione è stato di allineamento di tutte le forze politiche del centro sinistra – e oltre sul lato cosiddetto sinistro – e di astensione dal voto, parsa più che benevola, da quelle del centro destra. Solo voto contrario quello del rappresentante Cinque stelle. La Facoltà di Architettura del Campus Leonardo ha organizzato due incontri a carattere celebrativo.

Tutto questo non cancella la sostanza culturale di ciò che è avvenuto e il contrasto tra il risultato conseguito e le speranze politiche generate dalla campagna elettorale di Pisapia, alla quale chi scrive ha, assieme a tanti altri, partecipato con entusiasmo. Al Sindaco è forse allora lecito chiedere quali prossimi passi vorrà compiere per ridurre i danni prodotti dall’affrettatissima approvazione del piano, decisa per ottemperare puntigliosamente alla scadenza temporale indicata da una delle grida dell’ormai ex presidente della Regione.

Il precipitoso sboom immobiliare e la creazione della città metropolitana ci stanno dando l’occasione, e anzi dovrebbero imporci la necessità, di rivedere profondamente le scelte del nuovo-vecchio PGT, d’altronde sempre modificabile per legge. Il sistema politico milanese, rinnovato nelle persone ma forse non ancora nella struttura profonda, saprà e soprattutto vorrà finalmente utilizzare queste due grandi occasioni, alle quali se n’è aggiunta ora una terza, fondamentale: quella delle elezioni regionali anticipate?

 

Giuseppe Boatti

 

 

1) Documento di piano, Norme di attuazione, art. 4, comma 3, pag. 309

2) Norme di attuazione del Piano delle regole, articolo 4, comma 6, lettera m., pag. 12, Norme di attuazione del Piano dei servizi, art. 4, comma 7, pag.10 e Relazione generale e catalogo dell’offerta dei servizi pagg 154-161.

3) Documento di piano, Allegato 3, Schede di indirizzo per l’assetto del territorio e tabella dati quantitativi.

4) Il carattere labile delle tutele relative al patrimonio edilizio esistente nei Naf (Nuclei di antica formazione) risulta chiaro dalla lettura dell’art 13 delle Norme di attuazione del Piano delle regole, pag 24.

5) La valutazione è ricavata dal confronto aritmetico tra i dati esposti nella Relazione del documento di piano, pag. 272 e quelli contenuti nella Tabella dati quantitativi, contenuta nel già citato allegato 3 del Documento di piano.

6) Il dato è desunto dai dati ufficiali pubblicati dal comune di Milano sul periodico “Milano statistica”, che consente il confronto tra volumi vuoto per pieno e superfici di pavimento nei permessi di costruire rilasciati, divisi per tipologie funzionali.

7) Poiché il piano non fornisce alcuna quantificazione né dell’inutilizzato, né dei servizi non pubblici che possono generare ingenti diritti edificatori, chi scrive è stato costretto a usare propri data base per pervenire a quantificazione, sia pure di larga massima.

8) Si veda, come esempio di notevole indefinitezza, quanto prescritto dall’art. 4, comma 16, pag.13 delle Norme di attuazione del Piano delle regole.

9) Giuristi consultati affermano che poche definizioni sono così scivolose come quella di servizi localizzati su aree “pubbliche” per discernere tra quelle che generano o meno diritti edificatori. L’area di un’azienda ospedaliera è pubblica?



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