9 gennaio 2013

musica


IL SENSO DI QUESTA RUBRICA

La pausa natalizia ci ha tenuto nostro malgrado lontano dalle sale da concerto, in compenso ci ha fatto riflettere sul senso di questa nostra rubrica, dopo quasi quattro anni dal suo inizio, e scoprire quanto inusuale sia il punto di vista nel quale ci poniamo. Non è sicuramente quello del musicista di professione, di chi pratica in qualche modo il mestiere di autore o interprete della musica, né tantomeno dello studioso; ma neppure di chi – con tutto il rispetto che merita quell’attitudine – si diverte con la musica, il ben noto “dilettante”. L’atteggiamento che assumiamo riguardo la musica è quello del semplice ascoltatore o meglio – nei limiti che ci sono consentiti e come sostenemmo in altra occasione – dell’ascoltatore attento e informato.

È curiosa la posizione dell’ascoltatore nelle sale da concerto, così come al teatro dell’opera: da una parte viene lusingato cercandone la presenza (si vorrebbero giustamente sale sempre e solo gremite) e gli applausi, arrivando talvolta a compromettere la qualità dell’interpretazione per ottenerli (o usando piccoli trucchi scenici per prolungarli!). Ma accettare critiche no, questo mai; il pubblico non sa, non capisce, non è competente. Sanno tutto loro, sopratutto gli autori, ma anche gli interpreti. Come ci permettiamo di criticarli? Questa considerazione vale per la musica come per il teatro, ovunque ci sia lo spettacolo e dunque il pubblico; ma il caso della musica è speciale perché il pubblico spesso la conosce già, ne ha già ascoltato altre esecuzioni, dunque può più facilmente fare paragoni ed esprimere giudizi.

Il senso di questa rubrica è proprio questo, dare voce al pubblico, dar conto dei pensieri e delle riflessioni che diverse interpretazioni evocano negli ascoltatori, metterle a confronto, capire quando e perché si esce da un concerto entusiasti o delusi, arricchiti o scontenti, euforici o annoiati, talvolta perfino arrabbiati. Sappiamo che il pubblico, quello milanese in particolare, è molto generoso e non lesina gli applausi, ma spesso si tratta di entusiasmo più apparente che intimamente convinto, perché l’ascolto della musica dal vivo provoca sempre emozione, anche a prescindere dal giudizio di merito, una emozione che ci fa rimuovere perplessità e sensazioni negative.

Nel concerto della settimana scorsa all’Auditorium, con l’orchestra Verdi, il giovane direttore d’orchestra palermitano Gaetano d’Espinosa ha ancora una volta affrontato una improvvisa sostituzione – questa volta si trattava di Claus Peter Flor – e ha eseguito due pezzi, non scelti da lui, molto complessi e relativamente poco noti: i “Vier lezte Lieder” (gli Ultimi Quattro Canti) per soprano e orchestra di Richard Strauss e la Terza Sinfonia in re minore di Anton Bruckner.

Avevamo già detto, qualche settimana fa, che questo generoso direttore non ci aveva convinto (ci era sembrato in difficoltà con Le Sacre du Printemps di Stravinskij e un po’ scolorito nella Terza Sinfonia di Brahms). Ci fa dunque particolarmente piacere, questa volta, dire come Strauss sia stato da lui eseguito in modo mirabile, come sia riuscito a creare uno di quei momenti magici in cui la musica ci incanta al punto che sembra farci levitare sulla poltrona.

Bruckner invece pare non sia stato compreso o amato dal direttore, per certi versi addirittura equivocato. Prima di diventare direttore d’orchestra il maestro d’Espinosa è stato per diversi anni violinista nella famosa Staatskapelle di Dresda dove Strauss, anch’egli violinista oltreché pianista, era di casa (molte sue opere hanno debuttato nella capitale sassone); Bruckner, più vecchio di quarant’anni, ha invece consumato la sua esistenza sulle rive del Danubio, fra l’abbazia di St. Florian (non lontana da Linz) e Vienna, ma sopratutto era un organista. Ebbene la perfetta assonanza del direttore con il tedesco Strauss, e la scarsa empatia con l’austriaco Bruckner, erano palpabili. Sarà un caso? Non è una vecchia e nota storia?

E il pubblico? Un applausometro forse avrebbe testimoniato che la potenza della Sinfonia bruckneriana ha emozionato gli ascoltatori più dei sofisticati Lieder straussiani, ma guardando in sala le espressioni dei volti, e ascoltando i commenti alla fine delle due esecuzioni, non abbiamo dubbi che i Lieder abbiano commosso, la Sinfonia solo eccitato.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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