9 gennaio 2013

MARIO MONTI. LA CARRIERA DI UN ESORCISTA MILANESE


Un vecchio vizio degli italiani come popolo, prima di essere nazione, era quello di chiamare gli stranieri a sedare le loro risse. Spesso le truppe straniere restavano ed era difficile rimandarle a casa: l’aria era dolce, l’acqua buona e le donne belle, come il potere. È un po’ quello che ha fatto la classe politica chiamando un professore di università per fare il lavoro indispensabile che lei non riusciva a fare per l’incapacità di anteporre gli interessi del Paese a fatti di bottega. A dire il vero la truppa dei professori non bastava, ci voleva alla sua testa un esorcista, qualcuno che ricacciasse all’inferno quel diavolo scatenato che c’era, e forse ancora ci sarà: lo “spread”.

Le mie modeste conoscenze della storia ecclesiastica non mi consentono di dire se mai vi furono esorcisti che abbiano preteso di assurgere al ruolo di evangelisti, o più modestamente di catechisti: Mario Monti, l’esorcista milanese, sì. Sia come condottiero di truppe accademiche che come esorcista corriamo il rischio di tenercelo.

Devo confessare le mie idiosincrasie per i professori perché, dopo aver fatto per una decina d’anni parte del mondo accademico, anche se seduto su uno strapuntino da professore a contratto, ho capito molte cose: il modo accademico vive una vita tutta sua e, salvo le fortunatamente numerose eccezioni, i suoi cittadini si sentono un palmo sopra il volgo, forse anche due o tre e lo vedono dall’alto. Vedono una massa informe di teste brulicanti che suppongono vuote e comunque assetate del loro verbo: mai li vedono come persone o individui, con i loro problemi, le loro paure, le loro aspettative.

Per nostra fortuna gli accademici sono divisi tra di loro e a volte le loro divisioni sono profonde tanto da odiarsi l’un con l’altro. Insomma assomigliano ai comuni mortali ma non lo sanno. Il guaio è che qualcuno li prende troppo sul serio e li invoca per il ruolo di taumaturghi. Allora abbiamo il governo dei professori, dei tecnici o in mancanza di meglio un governo di imprenditori. Anche questa una categoria benemerita nel fare disastri in politica e in economia. Quando poi si riesce a metter insieme un governo di professori uniti a imprenditori l’orizzonte si fa buio. La lista Monti. I primi fanno ovviamente parte della categoria che difende il valore giuridico dei titoli di studio (una sciagura), i secondi della categoria di quelli dediti a far soldi che per loro sono il termometro della capacità di “governare”, una sorta di legittimazione. La mia diffidenza per Mario Monti è dunque viscerale ma è improvvisamente cresciuta quando si è dimesso da Presidente del Consiglio senza l’indispensabile passaggio parlamentare. Non l’ha fatto, dimenticando le procedure costituzionali, si dice perché voleva accelerare i tempi e non farsi cucinare a fuoco lento in Parlamento, rendendo più arduo il suo (nascosto) disegno. Si è allora capito che il disegno, sempre negato, era di restare in politica, che stava sempre pensando, come si è visto poi, al Monti bis. Nel frattempo ci ha portato a spasso con la sua “Agenda”: 25 pagine di buoni propositi un po’ copiati e un po’ incollati e, come ben dice Eugenio Scalfari, largamente sovrapponibile a quella di Bersani che in questa commedia all’italiana è l’amico nemico che cavallerescamente si rispetta a patto che faccia quel che vuoi tu.

Un Monti passato nei suoi comportamenti al gruppo di quelli che dicono: non sono i programmi che contano ma l’uomo che li racconta. A noi milanesi ne ha raccontata però una di troppo: dice che Albertini è stato un buon sindaco e sarebbe un buon presidente della Regione. Allora un piccolo promemoria. Il sindaco Albertini è il padre del Piano Parcheggi che ha devastato la città e lasciato ferite che non si rimargineranno mai. Il sindaco Albertini è l’uomo che, insieme al suo assessore De Corato si è vantato con i milanesi della folle corsa al rialzo dei prezzi delle case dovuta alla sua politica urbanistica: “Vi ho fatto più ricchi!” Disse. Poi nessuno è più riuscito a comprar casa e il Comune di fronte alla necessità di abitazioni per le fasce deboli ha dovuto chinare la testa di fronte al mercato e pagarle salatissime.

Il sindaco Albertini è quello che insieme al suo assessore all’Urbanistica ha ipotizzato un piano dei trasporti per una città di 2.300.000 abitanti, facendo scuola al suo successore Masseroli. Oggi Milano non arriva al 1.300.000 ed è in decrescita. Il sindaco Albertini si è autodefinito un “amministratore di condominio”: uno dei personaggi meno simpatici ai condomini che spesso dubitano della sua onestà. Vogliamo dimenticare lo scandalo dei derivati, operazione voluta dal nostro amministratore di condominio inventatosi in quell’occasione competente finanziere e che costò al Comune un’ottantina di milioni non dovuti e per i quali vi è ancora una causa in corso, nella quale il nostro si difende molto maldestramente e rischia di essere condannato per danno erariale.

Solo per citare le prime cose che vengono in mente. Il sindaco Albertini è l’uomo che ha fortemente voluto CityLife, e il suo “Central Park”. Del (mini) Central Park si sono perse le tracce e i grattacieli stanno aspettando che il mercato si riprenda (forse) ma ch resterà uno scempio urbanistico. E lo vogliamo presidente della Regione? Ma ottimisticamente preferiamo essere machiavellici e augurarci una sola cosa e cioè che l’esorcista Mario Monti, con la sua “ascesa in politica”, esorcizzi il nostro demone: un uomo di centro destra alla guida della Regione. Forse sì, per questo lo ricorderemo.

Luca Beltrami Gadola



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