9 gennaio 2013

LA QUESTIONE DELLE LISTE CIVICHE


La questione delle “liste civiche” sta rischiando di passare rapidamente da elemento di novità a fattore di ambiguità. Senza avere avuto la possibilità di dispiegare nel nostro paese tutto il suo potenziale, ma subendo lo storpiamento e la manipolazione di un sistema politico che, vedendo la mala parata dei partiti in ordine alla loro reputazione oppure essendo parte di soggetti politici ridotti ormai ai margini di ogni considerazione elettorale, ha utilizzato l’espressione “lista civica” per nascondersi e camuffarsi.

Vi è chi dice che un po’ di esperienza politica – che non potrebbe essere accumulata se non nel quadro di qualche vicenda radicata nella politica – sia preziosa per lo sviluppo di queste liste civiche che faticherebbero a destreggiarsi in tanti elementi in cui il “professionismo” non è casuale. E vi è anche chi dice che bisogna rispettare coloro che – avendo avuto esperienze magari legate ai partiti – hanno poi messo in atto evoluzioni di un agire pubblico (in questo civico, perché “dal basso”) che fa più appello al “civismo” che alla tradizione della politica. Queste e altre argomentazioni hanno il loro senso.

Ma se si guarda alle proposte di liste civiche che si vanno costituendo (Albertini e Maroni hanno annunciato questo per ribattere alla proposta originale di Ambrosoli) per affiancare in modo strumentale schieramenti in cui quell’ambito consente di collocare candidature altrove non digeribili, si capisce che solo ergendo regole nette si può tornare a difendere lo strumento e la potenzialità innovativa di questa forma partecipativa.

La prima regola è far risalire l’esperienza raccolta da una lista in una esperienza radicata in forma organizzata nella società. Cioè con criteri di proposta che non sono sorti solo in occasione della formazione delle liste, quindi a scopi puramente elettorali. Ma che hanno percorsi in cui il radicamento, la vigilanza sociale, l’agire civile, la difesa di valori e diritti, costituiscono un tessuto di vicende e di relazioni che portano poi anche alla formazione di liste elettorali senza essere questo il momento saliente di quelle esperienze.

La seconda regola è di non considerare come inaccettabile l’avere aderito personalmente a questo o a quel partito politico. Essendo l’appartenenza individuale una testimonianza di interesse e di partecipazione e non di esercizio di un potere. Diverso è quando quella appartenenza ha prodotto incarichi elettivi e di rappresentanza nelle istituzioni, per più tempo, che è in un certo senso la formazione di percorsi di professionismo della politica. Anche qui la regola in senso stretto dovrebbe essere più delineata. Ma ci si comprende, per ora, sui profili generali. E sui confini tollerabili di esperienza.

In terzo luogo la reputazione di una persona, soprattutto in un territorio, è facilmente verificabile. Politici o civici, coloro che hanno svolto funzioni che i cittadini sentono come atti di dedizione a cause di pubblico interesse, diventano casi in cui la mistificazione non regge. Cioè far passare una persona di potere, galleggiante nel tempo a spese del contribuente, come un benefattore della società, mostra facilmente la corda. Mentre facendo verifiche di questo genere un altro ambito di normazione della materia, almeno sul piano di una prassi più condivisa, risulta possibile.

Le liste civiche della Lombardia che stanno agendo per la creazione della lista “con Ambrosoli Presidente” hanno preso la meritoria decisione di associarsi in forma cooperante in una associazione di secondo livello, utile strumento per radicare, promuovere e accompagnare. Soprattutto per andare al di là dei soli momenti elettorali. Dando qui già una risposta a uno dei temi sollevati.

È evidente che un’altra non rinviabile risposta deve avvenire proprio interno dei caratteri formali, organizzativi e distintivi che questo movimento vorrà proporre, nel quadro di una analisi sulla utilità della riqualificazione del “civismo” – che è materia storica delle scienze politiche in senso weberiano e dunque del rapporto di distinzione tra istituzioni, partiti e società – che da parte di questi soggetti dovrebbe essere oggetto di qualche apporto e di qualche contributo di analisi. Tra tante mail di segnalazione di candidature e tanti curricula vitae che ingombrano, a volte anche utilmente, pagine e pagine, qualche riflessione scritta sul senso di un impegno e sui profili di una connessione a forme di rappresentanza che fanno parte di un rinnovamento stesso della natura della democrazia, sarebbe una prosa assai bene accetta e utile ad autogenerare qualcosa che appare ancora un po’ fragile nel civismo: l’identità.

 

Stefano Rolando



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