9 gennaio 2013

DALLE PRIMARIE IL NUOVO RITRATTO DEL POPOLO DI CENTROSINISTRA


Curiosamente il commento alle primarie parlamentari del Pd ha partorito due opposte analisi: 1) ha vinto l’apparato, confermando vecchie cariatidi e promuovendo oscuri funzionari; 2) ha vinto il rinnovamento eliminando vecchie cariatidi e incoronando giovani donne. Penso che siano due analisi entrambe sbagliate. In realtà abbiamo assistito a un remake dei congressi di un tempo con i voti alle mozioni sostituiti dalle preferenze, dove non necessariamente le vecchie cariatidi rappresentavano la conservazione e i giovani o le donne rappresentavano il rinnovamento.

A Milano e provincia hanno votato in 32.000 cioè il 20% di quanti avevano partecipato alle primarie del centro sinistra nazionale, meno della metà di quanti avevano votato alle primarie regionali. Considerato che erano primarie interne al Pd, un partito accreditato del 30% che alle ultime politiche aveva preso 620.000 voti possiamo tranquillamente affermare che in quanto al numero dei partecipanti, 1 ogni 20 elettori, si è trattato di una sorta di congresso con votazione allargata ai simpatizzanti. I numeri corrispondono grosso modo a quelli che venivano dichiarati dai partiti della prima repubblica, al posto delle correnti abbiamo avuto le abbinate uomo/donna, un po’ come si votavano le preferenze quando erano multiple nelle elezioni vere.

Tecnicamente è stato un bel successo che evidenzia un brillante stato di salute del partito: in pochi avrebbero scommesso su questi numeri, stante data e modalità. Politicamente è stato il successo di chi scommette su un centro sinistra che è “rassemblement” di forze e organizzazioni diverse di cui il Pd è il nucleo centrale. Operazione in Lombardia praticamente già riuscita con Sel e i socialisti trasformati in componenti interne, l’IdV a rischio quorum, filomontiani e moderati estromessi o confinati nel tabaccismo. Gli unici teorici competitor restano i seguaci di Pisapia e Ambrosoli ma solo quelli che pensano in grande. L’unica cosa che manca al Pd milanese e lombardo, e queste primarie lo confermano, è un leader di spessore nazionale.

Le sorprese o presunte tali, così come nel caso dei risultati di Renzi alle altre primarie, nascono dal fatto che è la prima volta in cui ci si contava sul serio, vale a dire al netto di accordi tra cofondatori, past president, membri di diritto, riserve tutelate etc. La popolarità o il peso che precedentemente venivano attribuiti in funzione di presunte credenziali sono stati riclassificati in funzione delle capacità di essere in sintonia con la componente più militante degli elettori, di costruire alleanze interne, di organizzare una corrente, di rappresentare un territorio. L’anzianità di servizio non ha né favorito né danneggiato, quello che sembra aver danneggiato i candidati è stato l’eccesso di permanenza a Roma che però dovrebbe essere l’attività principale di un parlamentare. In sostanza sono state stabilite nuove gerarchie.

La brevità della campagna elettorale ha favorito chi era già pronto e quindi chi era più organizzato, come la riduzione della platea ha favorito chi aveva posizioni meno eterodosse. Ma è giusto così: le primarie si perdono o vincono nel quadro di un elettorato e di regole predefinite. Con altre regole, se ad esempio si fosse votato per i parlamentari insieme alle primarie per premier (in fondo avendo fatto anche Sel le primarie in contemporanea sarebbe stato possibile), il risultato sarebbe stato molto diverso. Così com’è ovvio che queste primarie hanno senso solo con questo sistema elettorale mentre non ne hanno affatto in un altro. Tant’è che a nessuno è venuto in mente di usarle per le candidature regionali: con il numero di preferenze che consentiranno a molti di entrare in Camera e Senato alle regionali non si sarebbe neanche tra i primi dei non eletti. É come nel calcio: il fuorigioco è una regola antipatica, ma fintanto che c’è è fondamentale, se no Inzaghi sarebbe stato quattro volte pallone d’oro, non Messi.

Il quadro milanese, altrove è molto diverso, mi sembra questo:

1) esiste un popolo del centro sinistra, la cosiddetta società civile, interessato alle cariche monocratiche che nutre disinteresse per le altre competizioni interne. Mentre il sindaco o il presidente vengono visti da questo popolo come protagonisti della realizzazione di un progetto, di una visione e i parlamentari sono ritenuti poco rilevanti, degli esecutori.

2) esiste un popolo Pd che non solo mantiene viva una struttura che consente di svolgere le primarie ma ne premia gli organizzatori. Un popolo che non è strutturato per sezioni e iscrizioni come un tempo ma che è organizzato professionalmente e che è determinante sui numeri piccoli delle parlamentarie. Uno zoccolo duro che privilegia l’appartenenza e quindi i dirigenti del partito e gli amministratori che ha conosciuto e sperimentato negli anni. Nessuna vittoria quindi dell’apparato che non esiste e che non ha indicato nomi ma semmai della nomenclatura, termine a cui non do valenza negativa, che è quella che tiene in piedi il partito stesso. Nomenclatura al fondo coesa tant’è che in Lombardia mancano le innumerevoli polemiche che allietano altre regioni.

3) esiste un popolo Pd che ha definitivamente archiviato la equiparazione tra cofondatori. La maggioranza è ormai nativa/Pd e all’interno di questi nativi Pd la componente lievemente più radicale è lievemente maggioritaria. Esce ridimensionato il peso dei cattolici di origine Popolare o Margherita ma viene anche ridimensionato il peso del pedigree Pci. Così come esce ridimensionato il mito della componente sindacale: l’iscritto CGIL (come quello delle cooperative) si comporta come qualsiasi altro iscritto. Esce penalizzato anche chi ha pensato di equiparare la preferenza nelle primarie con la preferenza nelle amministrative: una forte base nel popolo del centrosinistra che vota Pd non necessariamente corrisponde a una forte base nel popolo Pd che vota alle primarie.

4) esiste una forte connotazione territoriale degli eletti; evidenziata per esempio da candidati come Gasperini che prende il 44% dei suoi voti nel comune di cui è sindaco, Cimbro il 41% in tre comuni della sua zona, Quartiani il 60% in una zona, Malpezzi il 53%. Dopo anni di retorica sul recupero del rapporto con il territorio (manco fossimo in agricoltura) buona parte degli eletti saranno espressione del territorio e sarebbero molto di più se non fossero state limitate le possibilità di candidatura; si rischia di rivedere il partito degli assessori. Sono molti i comuni dove un candidato si aggiudica il 60% dei voti esprimibili e si arriva in alcuni seggi a superare l’80%, il record credo sia il comune dove su 87 votanti un candidato ha preso 82 voti. In termini di votanti il peso della città è sensibilmente inferiore alle primarie per il premier, come sono sensibili le differenze tra comuni con candidati e comuni senza.

5) esiste una nomenclatura o forse una elite Pd che ha una forte capacità di autoconservazione e autorigenerazione e quindi si rinnova cooptando giovani, forze nuove e anche esterni che ne garantiscono sopravvivenza e continuità. Quanto al successo dei “ggiovvani”, non parlerei di rivoluzione quanto piuttosto di “politica come professione” nel suo significato più nobile.

6) chi esce vincente dalle primarie avrà in futuro un’autorità maggiore di chi sarà “indicato”, checché se ne dica gli “indicati” verranno percepiti come i vincitori a tavolino, quindi di vittorie di serie b. Chi esce sconfitto difficilmente avrà una seconda chance in futuro. Molti cominceranno da domani a prepararsi per le primarie del futuro, in pratica il Pd sarà permanentemente “in congresso”.

 

Walter Marossi

 

 

 



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