18 dicembre 2012

“RACCOMANDATI” E CONCORSI DI ARCHITETTURA


A proposito dei concorsi di architettura credo che valga la pena spendere qualche parola a commento dell’articolo di Francesco Spadaro comparso qualche settimana fa in ArcipelagoMilano sul concorso per la ristrutturazione dell’ex Vigorelli. Premetto che condivido le sue perplessità e soprattutto quelle relative alla commissione e all’anonimato. Come può infatti la stessa commissione indicare i dieci concorrenti sulla base di curricula e idee espresse graficamente e poi presiedere il confronto anonimo dei dieci prescelti? O sono le idee o sono i curricula che determinano la prima cernita, non possono essere tutti e due insieme se no si finisce per generare un pasticcio immane, come dice Spadaro o si garantisce l’anonimato oppure si seleziona sui curricula e quindi sulla esperienza e la fama.

Personalmente ritengo che l’anonimato sia il più delle volte fittizio nella sostanza ma almeno nella forma lo si dovrebbe garantire se si vogliono istruire dei concorsi validi nei termini di legge. Tuttavia mi sono chiesto più volte se il sistema del concorso pubblico di idee sia il più adatto per risolvere i problemi dell’architettura e di conseguenza della professione di architetto nel mondo globalizzato. Qualche anno fa ho posto la questione anche agli amici dell’Ordine degli Architetti di Milano senza ottenere del resto alcuna presa di posizione. In sintesi ritengo che il concorso di idee sia umiliante e inefficace per dei professionisti, giovani o vecchi che siano.

Non voglio entrare qui nel merito del problema del fatturato perché si dovrebbe aprire un capitolo a parte sulla stupidità del legislatore ma si può dire che per avere delle idee di architettura non occorre essere architetti, con fatturato o senza, e che se vogliamo proprio usare il lavoro intellettuale degli iscritti all’Ordine degli Architetti questo esige un compenso a meno che non lo si consideri un esercizio dilettantistico. Non è corretto dire che si fanno i concorsi di idee per favorire i giovani e che se a un concorso, come quello del Vigorelli, si sono iscritti in 600 è un successo, ritengo invece che sia soltanto la misura della crisi in cui versa la professione.

Quale mai professionista infatti lavora senza un emolumento ma solo per la speranza di essere scelto? A parte lo sfruttamento dell’egolatria degli architetti sarebbe giusto osservare del resto che il prodotto d’architettura, soprattutto pubblica, è il risultato di diverse componenti di cui il progettista non è che una di queste e forse nemmeno la più importante. Il concorso dunque si riduce a un spreco di risorse intellettuali che affrontano il tema come un ex tempore, che poi significa fuori dal tempo, e quindi anche dal luogo che del tempo risulta essere la qualità.

La componente più importante rimane il committente insomma che mette il denaro per realizzare il progetto, nel nostro caso il Comune, e dà l’avvio al processo di morfogenesi con già delle sue aspettative, istruisce il concorso influenzando però la commissione giudicante in vari modi, a volte anche illeciti. Tant’è che risparmierebbero tempo e denaro affidando l’incarico a un professionista di fiducia. Mi si dice però che oggi è obbligatorio per certi progetti istituire il concorso, per favorire i giovani.

È vero, ma allora perché non pagare, anche poco, questi poveri giovani per dare il loro contributo di creatività. Sarebbe un modo per aiutare la crisi economica, sempre restando che il progetto comunque è un ex tempore e spesso rimane tale. Invece noi aspiriamo alla sostenibilità, al rispetto dei luoghi, all’ecologia e via dicendo ma continuiamo a far fare dei concorsi per aprire a partecipanti che nulla hanno a che fare con il luogo. Si dirà che in tempo di globalizzazione non si può impedire a chiunque di partecipare. È vero ma allora bisogna trovare un altro metodo di scelta del professionista.

Personalmente ritengo che a questo punto sia meglio un concorso a inviti, senza preselezione e presunto anonimato, almeno ci si assume la responsabilità di scegliere e questa scelta dichiarerà la cultura della committenza. Ovvero se un’amministrazione si dichiara per l’ecologia e il rispetto del contesto bisogna che lo dimostri. L’aspetto delle città viene deciso dalle giunte comunali e quella precedente a Milano ha lasciato il segno del globalismo più ingombrante, arrogante e provocatorio reclutando archistar di chiara fama mediatica ma di incerta sensibilità urbana. Ora sarebbe il momento di invertire la tendenza. Si potrebbe fare un discorso a parte sul prestigio e la fama in una società mediatica come la nostra, non possono che essere ancorati al marketing televisivo come la politica. Si potrebbe dire che abbiamo gli architetti e i politici che ci meritiamo, chiamare l’architetto di fama è pubblicità mediatica al servizio del potere e dell’esigenza di conservarlo.

Per concludere: si è straparlato di questi tempi della raccomandazione additandola come scandalosa abitudine italiana. Paradossalmente ritengo che, se fatta da persone competenti senza fini clientelari, ma per indicare professionisti validi che non hanno visibilità mediatica, sia una delle forme migliori di selezione delle competenze, in questo caso degli architetti. Chiamatela pure segnalazione, invece di raccomandazione che suona ambigua, ma la sostanza è che un personaggio competente indica un professionista serio di cui servirsi. Per una amministrazione potrebbero esserci più saggi con questo scopo. Del resto è sempre stato così quando l’architettura la si scriveva con l’A maiuscola: il maestro indicava l’allievo bravo e questo legame tra loro garantiva la qualità, è quando si è spezzato che son venuti i guai, ricordiamoci per inciso che la storia del movimento moderno è una storia di concorsi falliti.

 

Maurizio Spada

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti