18 dicembre 2012

SOLO PIETÀ RONDANINI. E IL CASTELL0?


Qualche parola sulla Pietà Rondanini, sollecitata dagli articoli di Antonio Piva e Vittorio Gregotti. Sono … cresciuto dentro il Castello Sforzesco, luogo delle meraviglie e dei miei giochi da bambino, e certamente ambito nel quale è fisiologicamente e serenamente nata la mia … futura vocazione di storico dell’arte. L’allestimento della scultura (che, come sappiamo tutti, venne modificato all’ultimo momento per inserire proprio la Pietà, acquistata dal Comune anche grazie a una memorabile sottoscrizione pubblica dei cittadini milanesi) è certamente uno dei capolavori assoluti della museologia internazionale, anche se è vero che proprio nelle immediate vicinanze della Pietà l’acquisizione di importanti frammenti della tomba di Gaston de Foix ha modificato l’allestimento originale, e che comunque la percezione visiva contemporanea rende inesorabilmente “bui” anche i più splendidi esempi di musei degli anni ’50.

Posso capire – ma non condividere – la preoccupazione del Comune di Milano, che vede, per così dire, sottovalutato un capolavoro come l’ultima scultura di Michelangelo, e nota che molti visitatori internazionali attraversano senza guardarsi nemmeno intorno le altre sale per arrivare il più in fretta possibile alla Pietà, scattare la foto di rito e andarsene alla svelta. Credo che il “problema” non sia la Pietà, ma proprio il Castello, che nonostante tutto resta un’entità lontana, isolata, poco connessa con la vita della città. E questo mi pare ancora più grave e urgente rispetto alle discussioni sulla necessità o sull’opportunità di spostare la Pietà; e, aggiungiamo, di dotarla di un apposito biglietto d’ingresso, per rendere più appetibile una visita mirata e scorporata, ahimè, dal “peso inutile” del resto dei musei…

Capisco che mettere mano alle collezioni museali sarebbe oggi un impegno troppo gravoso, sproporzionato alle energie del Settore Musei del Comune, ma forse non a quelle della cosiddetta “società civile”, da cui potrebbe almeno venire una proposta, un’idea. Tanto per cominciare, ci si può domandare la forma del “museo industriale”, modellato più di un secolo fa sull’esempio del Victoria & Albert, abbia ancora un senso oggi; o se non valga invece la pena di considerare l’entusiasmante opportunità offerta dalla varietà delle Civiche Raccolte nella possibilità di proporre oggetti diversissimi non organizzati per “categorie produttive”, quanto piuttosto per epoche e per stili, secondo un modello diffuso in ambito anglosassone e in Germania.

Personalmente mi metto da subito a disposizione per discutere, con chi lo vorrà, questa prospettiva. Ma senza andare troppo lontano con il pensiero o con i sogni, una riconsiderazione generale dell’intero percorso museale del Castello è ovviamente faticosa. Capisco che meglio pensare a un solo, prestigioso capolavoro, anche se questa logica mi pare riduttiva. Anche a me, come ad Antonio Piva, la collocazione attuale continua a risultare idonea, ma non so davvero quanto giochi, in questo caso, la dolcezza della nostalgia, l’affetto per un percorso che fin dall’infanzia è diventato parte della mia vita.

Il Castello dispone, già bell’e pronta, una soluzione alternativa: il torrione cilindrico di destra (guardando la facciata), che è uno spazio “metafisico” di straordinaria suggestione, attualmente del tutto vuoto, dotato di porte di entrata e di uscita … . Intanto, approvo la “tappa” a San Vittore. Non per ragioni demagogiche o buoniste. Ma perché, proprio conversando con alcuni detenuti di San Vittore nell’ambito del Gruppo della Trasgressione, ho potuto verificare di persona quanto l’arte possa riconquistare, nelle mura di un carcere, una meravigliosa “libertà”.

 

Stefano Zuffi

 



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