12 dicembre 2012

PER PIETÀ LASCIATE DOVE È LA PIETÀ RONDANINI


Sembra strano ma mezzo secolo di buona condotta, anzi ottima, non garantisce che le mani bramose di cambiamento spettacolare non cadano anche sulla Pietà Rondanini di Michelangelo. L’opera, a piano terra del Castello Sforzesco, conclude il percorso attraverso un museo prevalentemente lapideo nato per non essere modificato.

La notizia che riguarda lo spostamento della Pietà va ad aggiungersi ad altre del passato che, attraverso concorsi di edicole espositive del capolavoro, avrebbero dovuto esaltare le peculiarità artistiche di un’opera non sufficientemente ammirata da un pubblico troppo esiguo per gli standard che l’Amministrazione Milanese si è prefissata di raggiungere. Sarebbe da non credere se non fossero state riportate dalla stampa nazionale, tra virgolettati generici, affermazioni e motivazioni che vanno contro i concetti di conservazione dei beni culturali organizzati in spazi studiati appositamente con intelligenza e sensibilità.

Quando nel 1954 gli architetti BBPR conclusero il loro lavoro museografico interpretando il progetto museologico di Costantino Baroni, il Direttore di allora, la critica internazionale si espresse ammirata sulla collezione e sui rapporti interpretati con lo spazio del Castello rinato con un restauro conservativo e innovativo al contempo. Il risultato appariva una risposta alla complessità di una sfida che la cultura di allora scioglieva creando un unicum colto che vedeva impegnati a Milano gli architetti e il loro ambiente a esprimere le tensioni di una difficile rinascita.

Contemporaneamente Franco Albini a Genova e Carlo Scarpa a Verona avevano realizzato i presupposti di un rinnovamento totale della museografia italiana creando, con i BBPR, tre filoni di pensiero diversi tra loro ma, tutti insieme, basi indistruttibili della cultura museologica e museografica del novecento.

Che si potrebbe dire se a Verona, per dare visibilità a Cangrande della Scala si spostasse il monumento marmoreo dalla posizione ideata da Scarpa in una altra sede più grande e spettacolare? Lascio al mormorio dell’Adige i commenti. Il Naviglio, meno irruento, tace. Forse si vuole ignorare che a distruggere è molto facile mentre a creare soluzioni intelligenti difficilissimo. Forse si vuole ignorare che il percorso del museo lapideo, che nella prima sala espone il monumento equestre di Barnabò Visconti, racconta una storia del tempo che si conclude nella sala degli Scarlioni dove è esposto Gaston di Foix del Bambaia e a un livello inferiore l’ultima opera incompiuta di Michelengelo.

Mirabili soluzioni di uno spazio organico, conseguente, illuminato dalla luce delle finestre che non colpisce a caso ma crea le ombre che modellano la pietra, il sonno eterno di Gaston, il peso del Cristo che scivola lungo il corpo del dolore della madre L’esecuzione è perfetta, i materiali ben lavorati e ben posati parlano di artigiani e manodopera post bellica che si è impegnata a dare il meglio di sé nonostante le ristrettezze economiche.

Non parlatemi dei portatori di handicap che rispetto ma nemmeno delle folle oceaniche che devono vedere e non possono perché lo spazio antistante la Pietà è troppo esiguo. L’Ultima Cena di Leonardo è visibile da trenta persone per volta e le folle oceaniche la visitano. La Cappella degli Scrovegni a Padova con gli affreschi di Giotto richiede nello stesso modo di contingentare l’accesso del pubblico. Modificare la sala dove sono esposte le opere citate sembra quasi impossibile e se ciò fosse fatto scardinerebbe il senso di quello che rimarrebbe.

Chi mai oserebbe modificare con una sostituzione una sola parola dell’Infinito? Quale principio da il diritto di mettere mano a un’opera compiuta universalmente apprezzata. Quale principio da diritto di manomettere le eccellenze di Milano cancellando i segni intelligenti delle persone che non ci sono più? Se il mondo politico scompare spesso con le sue responsabilità, gli organi istituzionali preposti alla salvaguardia delle opere invece rimangono e questa, di cui parlo, fa parte del meglio della nostra cultura del ‘900: fate un passo indietro voi che avete l’occasione e la possibilità ancora di non commettere un errore imperdonabile.

 

Antonio Piva



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