12 dicembre 2012

CITTÀ METROPOLITANA E RIFORMA DELLE AUTONOMIE LOCALI


L’istituzione della Città Metropolitana è una questione centrale della democratizzazione delle autonomie locali nelle aree densamente urbanizzate. Se ne parla da oltre un quarantennio: una storia infinita, appesantita da una caterva di atti legislativi convegni studi e parole e parole… . Un’altra metafora dell’insipienza delle classi dirigenti del nostro paese e di lesioni micidiali al sistema costituzionale e democratico. Prevista dalla L. 142/1990 (artt.16 – 21), inserita nella Costituzione (art.118, c.1) e riproposta in altri atti legislativi (Testo Unico n. 267/2000), la Città Metropolitana è rimasta sulla carta.

Intanto si bruciano risorse e si privatizzano patrimoni pubblici e funzioni di governo territoriale. Si innesta un processo di proliferazione di enti e authority e di frantumazione dello Stato nelle Regioni che assumono carattere di staterelli assai dispendiosi: il cosiddetto federalismo che nulla ha a che fare col federalismo che consolida l’unità nazionale e democratizza le istituzioni. L’intervento chirurgico del governo tecnico Monti è d’altra parte espressione coerente del capitalismo finanziario che sta strozzando l’economia reale e i diritti e contribuendo a uccidere la democrazia

Con la Legge n. 35/7 agosto 2012 (conversione del Decreto legge n. 95 sulla spending rewiew) si procede al riordino delle Province (art.17), alla istituzione delle Città Metropolitane (art.18) e alla ridefinizione delle “Funzioni fondamentali dei Comuni e modalità di esercizio associato di funzioni e servizi” (art.19). Due i criteri fondamentali per la riduzione e il riordino delle province: popolazione (non inferiore a 350.000 ab.) e dimensione territoriale (non inferiore a 2.500 kmq). Il CAL (Coordinamento delle Autonomie Locali di livello regionale) è chiamato a approvare una proposta di riordino che viene inviata alla Regione e quindi al Governo.

È davvero avvilente e allarmante che una questione istituzionale così importante venga affrontata soltanto (o principalmente) dal punto di vista del risparmio della finanza pubblica, in modo strumentale e contingente e servile nei confronti dei poteri finanziari e tecnocratici (ce lo chiede l’Europa!?). Non un cenno a finalità qualitative di maggiore democrazia ed efficienza.

Vengono istituite dieci Città Metropolitane: Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. Contestualmente si sopprime la provincia del relativo territorio metropolitano. Alle Città Metropolitane. si assegnano le funzioni di: – pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali – gestione di sistemi coordinati e organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano – politiche della mobilità e della viabilità – promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale. Organi previsti: Sindaco e Consiglio metropolitano composto da “non più di dieci consigleri”, non eletti dai cittadini, ma tra e dai sindaci e i consiglieri comunali. Gravissimo vulnus al diritto di voto e messa in discussione alla radice dell’istituzione intermedia di valore costituzionale! Entro il 31 ottobre 2013 deve essere redatto, da una Conferenza di sindaci e presidente della provincia dell’area, lo statuto della Città Metropolitana che entrerà in funzione il 1° gennaio 2014.

Un altro punto cruciale riguarda la possibilità di scomporre il capoluogo in “più comuni”. Nel nostro caso Milano può (e, secondo noi, deve) articolarsi in una ventina di comuni (le vecchie 20 zone). (Cfr. l’appello in www.forumcivicometropolitano.it). È da evidenziare inoltre il tentativo di favorire le unioni/associazioni dei piccoli e piccolissimi comuni tramite il contributo straordinario del 20% dei trasferimenti erariali (art.20). Si tratta di un criterio premiale tutto dentro la logica economico-finanziaria che non intacca il livello di polverizzazione e di scarsa efficienza/efficacia dell’unità amministrativa di base. Milano e la sua attuale provincia (situazione analoga nelle altre nove aree metropolitane) sono l’esempio tra i più critici dello squilibrio tra il gigantismo urbanizzato concentrato nel capoluogo e il nanismo disperso dei piccoli e piccolissimi centri. A questa distribuzione demografica eccessivamente squilibrata corrisponde un’irrazionale organizzazione istituzionale, la quale aggrava i problemi anziché affrontarli adeguatamente per risolverli.

Il CAL (Coordinamento delle Autonomie Locali) della Lombardia chiede “in prima istanza” il mantenimento dello status quo. “In subordine”, propone il seguente piano di riordino: conservazione delle province di Sondrio, Mantova, Monza Brianza; l’accorpamento di Cremona e Lodi, e di Como, Lecco e Varese; l’istituzione della Città Metropolitana coincidente con il territorio dell’attuale provincia di Milano. È evidente che la proposta risulta inadeguata e irrazionale, in particolare per quanto riguarda la limitazione territoriale della Città metropolitana alla sola provincia di Milano. L’area metropolitana non può non comprendere il territorio di Monza/Brianza. E vi si può benissimo aggiungere Lodi nel solco delle caratteristiche geografiche (dal Ticino all’Adda) e della storia economica sociale e civile dell’intera area, tenendo in considerazione inoltre la valorizzazione dell’agricoltura in ambito urbano e metropolitano. Così era l’originaria provincia di Milano. Trasmessa in regione, la proposta del CAL non viene discussa in Consiglio bloccato dal sistema formigoniano in putrefazione. E proprio Formigoni e la sua giunta approvano il 22 ottobre scorso una delibera che chiede al governo di non modificare l’assetto attuale di 12 province!?! In altre faccende affaccendate, le forze politiche hanno taciuto. Comprese quelle di opposizione. Spettacolo avvilente e deplorevole!

Il governo, da parte sua, con il decreto attuativo, si orienta a non accogliere l’istanza formigoniana di lasciare le cose come stanno. Riduce il numero delle province lombarde da 12 a 7. Rimangono Bergamo, Brescia, Mantova, Pavia, Sondrio. Si accorpano le province di Lecco e Como con Varese; di Lodi con Cremona. Monza ritorna a Milano per formare la Città metropolitana: decisione razionale e positiva, che costituisce di fatto una critica pratica alle scelte fatte dalle forze politiche della destra leghista e berlusconian-formigoniana, con la corresponsabilità – occorre ricordarlo – dei partiti del centro-sinistra.

Si poteva certo procedere in modo lungimirante e soprattutto nel rispetto della Costituzione: – abolire le province istituite nell’ultimo trentennio e quella/quelle delle aree metropolitane; – ridisegnare l’ente sovra-comunale necessario nella geografia costituzionale delle autonomie locali e territoriali (art.5 Cost.), all’interno di un riassetto istituzionale e democratico in cui le regioni devono cedere funzioni e poteri alle province e città metropolitane e ai comuni, nella logica del decentramento reale e della partecipazione democratica alla ” organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art.3 Cost.).

La battaglia per una riforma delle autonomie locali è aperta. Decisiva quella nell’area metropolitana milanese. Per togliere la questione dell’istituzione della Città metropolitana e quella del superamento del comune unico di Milano dalle mani predatrici di gruppi di potere e di forze politiche grette chiuse e autoreferenziali, occorre creare un movimento di cittadinanza attiva di livello metropolitano che sappia rivendicare democrazia partecipata. E mettere al primo posto i diritti di cittadinanza metropolitana. Quelli civili (voto e strumenti di partecipazione proposta e controllo) e quelli sociali ed economici nel quadro costituzionale di etica pubblica trasparente e di salvaguardia dei beni comuni.

 

Giuseppe Natale

 

Forum Civico Metropolitano



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