12 dicembre 2012

musica


 

LA SCALA E BARENBOIM

Questa settimana non si può certo eludere il tema della doppia inaugurazione delle stagioni scaligere: dapprima il concerto della Filarmonica, lunedì 3, con la mezzosoprano Cecilia Bartoli che ha scatenato una contestazione e una riprovazione sicuramente motivate ma soprattutto volgari e riprovevoli, e pochi giorni dopo l’inaugurazione della nuova stagione dell’Opera, il giorno di sant’Ambrogio, con il successo strepitoso del Lohengrin. Tutte e due le serate sono state condotte da Barenboim, direttore onnipresente e ancor più attivo e presenzialista del suo predecessore: dirige l’opera, il balletto, l’orchestra Sinfonica e la Filarmonica, fa musica da camera, l’accompagnatore e il solista. E a proposito di direttori scaligeri non possiamo dimenticare le incredibili parole di Paolo Isotta sul Corriere di qualche settimana fa “… io penso che oggi Pappano veda superiori a lui solo i maestri Muti, Thielmann, Temirnakov e il sommo Bernard Haithink …” con le quali ha sistemato non solo Barenboim (di cui ora dice che non sa dirigere Verdi e che ha diretto Wagner … “benino”!) ma addirittura Claudio Abbado (di cui stroncò violentemente un meraviglioso e indimenticabile Tristano)!

A parte l’opinione di Isotta, che dire di questo maestro russo – argentino – israeliano – tedesco – italiano (anche sulle sue radici è di una poliedricità straordinaria!) che fra una prova e l’altra del Lohengrin riesce a dirigere un concerto di canto (con un programma bizzarro – arie di Händel e di Rossini, l’Exultate jubilate di Mozart e due Sinfonie mozartiane usate come preludio e conclusione del concerto – e risultati assai modesti, tanto da provocare quel po’ po’ di bagarre) che passa con stravagante leggerezza dal podio alla tastiera e viceversa, e che si adopra più che meritevolmente per la pace in Medio Oriente? Che sia un grande talento musicale non abbiamo dubbi, ma certamente è anche un grande genio della comunicazione.

Se abbiamo da recriminare sul concerto della Filarmonica, che ha visto la povera Bartoli diventare capro espiatorio di una serata nata male, dobbiamo invece riconoscere a Barenboim che il Lohengrin di questi giorni è uno spettacolo indimenticabile, tanto quanto lo fu quel Tristano con cui nel 2007 inaugurò la sua prima stagione alla Scala. Barenboim sta a Wagner come Abbado a Mahler ed entrambi accreditano l’idea, non del tutto ovvia, che direttori e interpreti si immedesimino in un particolare autore e ne interpretino l’opera con la stessa totale dedizione richiesta dalla sua composizione.

Dobbiamo anche rendere onore a tutti gli interpreti e in particolare allo strepitoso Jonas Kaufmann e alla “sostituta della sostituta” Annette Dasch che, invitata nella notte precedente alla prima, è riuscita in una mattinata a capire tutto della cervellotica e complicata messa in scena e, oltre a cantare in modo sublime, a recitare quella parte in modo ineccepibile. E auguriamoci che il bagno nel fiume imposto dal regista non abbia fatto ammalare anche lei e non si debbano cercare, per le prossime recite, quarte e quinte sostitute!

Come molti hanno già osservato, anche noi riteniamo che le scene e la regìa di questo Lohengrin – per quanto colte e fascinose possano essere apparse a molti – siano proprio fuori luogo. Come si può ambientare nell’ottocento borghese una donna imputata di fratricidio che invoca la comparsa di un “cavaliere” sconosciuto per difenderla nel “Giudizio di Dio” affidato a un duello? Cosa può capire della vicenda e del significato ultimo dell’opera chi vi assista per la prima volta, senza sapere che nel testo originale essa si svolge nel X secolo, se non si è letto il libretto con le ricche e circostanziate note di ambientazione e di regìa dell’autore, se non si è in grado di leggere la complessa sovrapposizione e l’intreccio creato dal regista fra il mito e la sua decrittazione in chiave psicanalitica?

Ci piacerebbe, infine, che alla dittatura mutiana non seguisse una dittatura barenboimiana, specialmente ora con un sovrintendente dimezzato di cui abbiamo sempre detto tutto il bene possibile per le novità e la qualità che ha riportato al nostro Teatro ma che oggi, avendo già deciso di andare all’Opéra di Parigi (e, detto fra noi, sarebbe bene lasciargli seguire il suo destino, sostituendolo immediatamente), ha perso molto della sua credibilità e autorevolezza e ci sembra lasci troppi spazi al dinamismo del suo direttore musicale.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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