5 dicembre 2012

SPAZI COLLETTIVI, UN USO MUTANTE


C’è una corrente di pensiero cui la vita comunitaria sembra in declino e vorrebbe ricavare nei ritagli dei nuovi quartieri moderni, così desolati, qualche passeggiata e qualche piazza dove i loro abitanti possano ritrovarsi, magari con i loro bambini, in qualche momento libero, e due anni fa il comune di Roma ha persino organizzato un convegno dove abbiamo presentato molti suggerimenti su come riuscirci. E del resto nel largo giardino del quartiere degli Olmi, qui a Milano, con il bel tempo la sera e un mattino di festa i bambini dondolano sulle altalene, le signore chiacchierano sulle panchine e i signori passeggiano, e volendo fanno le compere lì al mercato o supermercato che sia, e persino sedersi per un caffè o uno spritz.

Ma poi i più avventurosi o i più giovani vogliono provare, scendendo talvolta da cittadine molto lontane – non siamo forse il centro di una città metropolitana? -, una socialità più avventurosa, nei locali della movida sparsi nei quartieri di Milano, dove sanno di incontrare altri giovani – milanesi, foresti, più ricchi meno ricchi, cinefili o sportivi, ragazzi e ragazze – che fanno uno strappo serale per un happy hour, prolungato talvolta nella tarda sera, alla loro vita di bamboccioni nella casa dei genitori, i quali a loro volta, magari rallegrati da un raggio di sole, prendono gusto per questi parterre affollati di tavolini, finalmente come quelli tanto amati davanti alle brasserie di Parigi.

Eccola, finalmente, la vita comunitaria! Ma – a parte le persone legittimamente infastidite dal chiasso notturno sotto le loro finestre – c’è un’altra corrente di pensiero che vorrebbe sì la vita comunitaria di un tempo ma detesta tutte le provvisorie manomissioni delle strade e delle piazze della città antica che il loro coinvolgimento nella nostra vita quotidiana spesso comporta, e che se ho capito bene un paio di ministri del governo tecnico, quelli fermi alla chiacchiera del bar, trovano detestabili.

Solo che le piazze della città antica erano fatte proprio per questo, per venire quotidianamente intrecciate alla vita ogni giorno, nessuno avrebbe trovato offensive – e tantomeno l’arcivescovo – le bancarelle del mercato di fronte alla cattedrale milanese di Santa Maria e il Campo di Siena era appunto la piazza del mercato, e tutta la vivacità della vita cittadina, i venditori ambulanti con le loro cianfrusaglie i cerretani con le loro pozioni i saltimbanchi con i loro trampoli affollavano le strade, sicché gli artigiani le donne i bambini erano sempre dietro al corteo di un sovrano di passaggio o a una compagnia di teatranti: nei giorni di lavoro, ché nei giorni di festa, quasi duecento in un anno, le botteghe artigiane erano chiuse, lavorare nei giorni del Signore era persino proibito, e le osterie mettevano fuori le loro tavolate come nei quadri di Breughel.

Tutto questo, sappiamo, verrà riordinato nel corso dell’Ottocento, quando l’organizzazione del mondo industriale chiederà tempi di lavoro rigorosamente prescritti, e i riformatori sottolineeranno la dissoluzione morale e materiale di questa socialità popolare, le strade verranno sgomberate dalla loro festosità e ora affollate dai carri operosi delle fabbriche, e le feste verranno circoscritte in luoghi determinati, i wauxhall i campi sportivi i teatri popolari, anche se talvolta le vediamo sopravvivere nel boulevard du crime a Parigi, quello de Les Enfants du Paradis.

Ora la morte della vitalità cittadina verrà sacralizzata, e le piazze verranno considerate monumenti intoccabili come nessuno di chi le aveva pensate e costruite le avrebbe mai immaginate, una giostra o una patinoire o un provvisorio tendone in piazza del Duomo, un tempo reso vivacissimo dalla festa di Carnevale, vengono guardati con il sospetto di lesa maestà e comportano il nulla osta dell’arcivescovo e del soprintendente, e tutto congiura per rendere quella Galleria così viva nel quadro di Boccioni una vetrina della moda.

È chiaro che questa rinnovata vivacità a me fa allegria, mi divincolo disinvolto in bicicletta tra i tavolini di piazza del Carmine e di via Brera e vorrei la città ancora più vivace di così: ma resto sorpreso e sconcertato che molto spesso quanti difendono la sacralità delle piazze, la loro museificazione, e mostrano fastidio per tutti questi provvisori ingombri, siano poi quelli stessi che con una evidente contraddizione vorrebbero la ricomparsa della vitalità sociale un tempo intrisa proprio nelle piazze e nelle strade della città.

 

Marco Romano

 



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