5 dicembre 2012

libri – LA CANDIDE


 

LA CANDIDE

ovvero l’ingannevole ottimismo

Lucia Bisi

Canova Edizioni, 2012

pp.186, euro 14

 

Martedì 11 dicembre ore 17,30 il libro verrà presentato presso lo Studio Battisti, via della Braida 1. Saluto: Emilio Battisti, architetto, docente presso il Politecnico di Milano, pittore; Introduce: Marilena Poletti Pasero, presidente ULI; Interviene: Livia Pomodoro, presidente Tribunale di Milano

 

Una sfida vertiginosa, vinta, quella di Lucia Bisi, architetto, storica dell’architettura, che con la sua prima opera narrativa, La Candide, ha voluto cimentarsi con il Candide di Voltaire. Sorprendente, intrigante, ricco di invenzioni stilistiche e giochi di parole, La Candide è come il suo maggiore, un racconto filosofico denso di allusioni, che vuole confutare, con una sfolgorante ironia, l’ottimismo ingannevole, di cui Leibnitz fu grande alfiere, e stigmatizzare al contempo i vizi e i vezzi del suo tempo, per una migliore comprensione del mondo. Consapevole, al pari del grande filosofo, che l’uomo, come lo sparviero, non può cambiare la propria natura rapace.

L’autrice non esita a rivelare candidamente il suo plagio a piene mani da Voltaire e per supportare la sua scelta cita Montesquieu: “Un’opera originale ne fa sempre nascere cinque o seicento altre, queste servendosi della prima all’incirca come i geometri si servono delle formule.” La frase è a sua volta citata da Sciascia nel suo Candido del 1977 “Non so se Candide sia servito da formula a cinque o seicento libri. Credo di no, ché ci saremmo annoiati di meno su tanta letteratura. Comunque… di quella formula ho tentato di servirmi. Ma mi pare di non avercela fatta e che questo libro somigli ad altri miei. Quella velocità e leggerezza non è più possibile ritrovarle: neppure da me, che credo di non avere mai annoiato il lettore. Se non il risultato, valga l’intenzione: ho cercato di essere veloce, di essere leggero. Ma greve è il nostro tempo.”

Nel ‘700 gli strali di Voltaire si dirigevano contro l’intolleranza, le disuguaglianze tra gli uomini, il clero corrotto, il colonialismo.Egli osservava il mondo con disincanto, conscio dei mali morali prodotti dagli uomini, più gravi di quelli fisici inflitti dalla natura. In questo ambito, grande sensazione e orrore suscitò allora il terremoto di Lisbona del 1755, a riprova dei limiti insuperabili dell’uomo, che rimane però fiducioso nel possibile miglioramento della società. Non a caso Candide uscì nel 1759, per marcare un distacco dall’ottimismo a tutti i costi, incarnato dal suo personaggio Pangloss, tutto lingua, pedagogo di Cunegonda, docente di Cosmoscemologia, e dalla sua pretesa di vivere nel migliore dei mondi possibili.

Oggi la Bisi scaglia la sua ironia contro l’illusione del ’68, la volgarità dei media e dei loro reality, contro politici barzellettieri, le isole esotiche rifugi affollati di una illusoria vita primitiva, il cattivo gusto della moda finta povera, la vanità acritica degli uomini di successo. Menziona tra i mali morali che affliggono il mondo contemporaneo, la quotidiana vessazione delle donne, non solo in paesi del terzo mondo, il disinteresse per la tragedia dei cadaveri galleggianti di sventurati migranti naufragati nei nostri mari. Rimpiange la Milano dell’acqua con i suoi bei canali di un tempo, interrati, e la ridicola nostalgia dei milanesi per i loro ponti, dopo il misfatto urbano.

Il plot narrativo prende spunto, come il Candide, da una lezione di fisica sperimentale impartita dietro una siepe in un giardino-paradiso, alla fanciulla Candida, di nome e di fatto, da un indomito giovinetto, futuro suo marito, amato e perso, di nome Pfaff, con evidente allusione al nome volterriano, come tutti gli altri nomi del racconto inventati dall’autrice, ad eccezione di quello del filosofo pessimista Martin, che rimane uguale al testo originale.

L’allontanamento che ne consegue da quel paradiso, sarà foriero per la nostra eroina di alti guai, a cominciare dall’impatto, sola soletta, con una grande città, vissuta come ostile. Scoprirà la nostra protagonista (come la vecchia di Voltaire, che in realtà era la figlia di Urbano X, venduta e schiavizzata più volte), che le disgrazie di ciascuno si somigliano a quelle di tutti gli altri esseri mortali. I vari personaggi si narrano le loro disavventure, in un discorso a volte diretto e a volte indiretto libero, e l’autrice, come Voltaire, è uno spettatore esterno, il cronista dei fatti.

Ma mentre il Candide riuscirà a ritrovare la sua Cunegonda, dopo mille peripezie, che lo porteranno anche nel Nuovo mondo, via Parigi, Londra, Venezia, Bisanzio, in una visione cosmopolita cara all’illuminismo, la nostra Candida non riuscirà a riunirsi al suo amato-odiato sposo. Ma come l’eroina di Voltaire, alla fine raggiungerà la serenità, in qualità di giardiniera, in una sorta di comune agricola lungo un corso d’acqua, insieme ai suoi fidati amici, ormai tutti invecchiati, secondo il noto monito finale, antimetafisico, di Voltaire: “Bisogna coltivare il proprio giardino”. Perché l’uomo non è fatto per oziare e solo grazie al lavoro può dimenticare i mali propri e quelli del mondo.

Infine leggendo verremo a sapere che la scrittura stessa sarà per Candida un’efficace terapia contro il suo male del vivere, causato anche dalla solitudine nella quale ha dovuto allevare sua figlia Santina.

Una menzione particolare meritano gli ironici disegni di Alessandra Zorzi, a corredo del libro, che anche in questo dettaglio raffinato, mimano il testo originale.

Ricorderò, in chiusura, un’altra bella opera, scritta dall’autrice nel dicembre del 2011 per Expo, edita da Skirà, dal titolo “Nutrire Milano. Storia e paesaggio dell’alimentazione in città“, un inno ai corsi d’acqua che hanno fatto grande la città, descritta con la perizia e la finezza di un’esperta professionista. L’acqua dunque come destino, declinato nelle sue varie possibilità, di “reseau urbanistico” storico, di mare attorno a isole vagheggiate, di porto finale.

 

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org




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