5 dicembre 2012

musica


 

IL NIPOTE DI PUTIN

Conservatorio, lunedì 26, concerto di cartellone per la stagione delle Serate Musicali con il recital pianistico di un giovanissimo russo, Danil Trifonov; in programma la Sonata-Fantasia opera 19 di Scriabin, la Sonata in si minore di Liszt e i 24 Preludi opera 28 di Chopin.

Prima sorpresa la coda alla biglietteria, lunga come per le grandi occasioni, neanche ci fosse Pollini o la Argerich; seconda sorpresa il curriculum vitae del pianista, nato nella grande pianura a Est di Mosca nel 1991 (fatevi un po’ di conti), premio Chopin 2010, premio Rubinstein 2011, premio Čaikowskij 2011, mezzo programma di sala dedicato all’elenco delle orchestre e dei direttori con cui ha già suonato e delle sale (in tutto i mondo) in cui si è esibito in recital. E per finire una nota che ricorda il suo debutto a Milano di due anni fa, sempre per le Serate Musicali nelle sale della Società del Giardino. Dunque anche collaudato. Insomma, che si vuole di più?

Con grande ottimismo e con l’acquolina in bocca, nell’attesa di poterci poi leccare i baffi, ci poniamo dunque in ascolto di questo genio arrivato dall’oriente insieme a quella pletora di giovani tecnicamente preparatissimi e intraprendenti – ma spesso musicalmente inconsistenti – che invadono le sale da concerto occidentali spinti dalla necessità di far girare il nome fuori dai propri confini e anche grazie alle contenute pretese economiche.

Fin dalle prime battute, dall’incipit della Sonata di Scriabin, si è capito di che pasta sia fatto quel bel ragazzo poco più che adolescente che, mentre controlla il ciuffo che gli cade sulla fronte, mima perfettamente la concentrazione e l’ispirazione del grande interprete: indubbia abilità e sicurezza tecnica, capacità di comunicare al pubblico esuberanza e forse anche passione, ma nessuna intelligenza interpretativa né conoscenza del pensiero musicale, né tantomeno capacità di indagine sotto la crosta di un superficiale “bel” fraseggio. La Sonata di Liszt è all’insegna dell’esagerazione e dell’eccesso, ma anche i ventiquattro Preludi – che pure ha eseguito con ragionevole decoro – sono stati funestati alternativamente da una smisurata e non controllata velocità e da una eccessiva lentezza, ma anche dalla ostentazione di “fortissimi” e di “pianissimi” distribuiti a piene mani come pura manifestazione di energia e di sentimentalismo, privando l’architettura complessiva dell’opera del suo mirabile equilibrio.

Se non fosse pluridecorato com’è credo che non dovremmo dedicare molto spazio a questo giovane pianista; ma il suo pedigree denota un fenomeno più complesso e delicato di quanto non appaia a prima vista, fenomeno che riteniamo possa essere spiegato nei seguenti termini. In questi ultimi anni, fatte salve alcune eccezioni, è venuta a mancare una intera generazione di grandi interpreti, soprattutto di pianisti e direttori (è andata molto meglio con gli strumenti ad arco e con i fiati), e siamo passati dalla generazione di chi oggi ha settanta-ottant’anni ai giovani esordienti o poco più. Ci riconosciamo fino in fondo solo nei vecchi musicisti che – grazie anche ai media – sono entrati nel mito e ci sono diventati familiari (e che spesso, detto fra noi, vivono di rendita dando molto poco oltre a una routine di buona qualità, lontana dalla eccellenza che viene loro accreditata). I giovanissimi di vent’anni fa, anche se nel frattempo hanno avuto successo e sono arrivati a una buona notorietà, raramente sono riusciti a mettersi sullo stesso piano dei grandi vecchi. Da qui la messianica attesa del genio.

Si dà poi il caso che i metodi di insegnamento e di apprendimento, aiutati anche dalla tecnologia, abbiano fatto in questi stessi anni passi da gigante, tanto che oggi consentono di sfornare – soprattutto nelle società emergenti, come quelle asiatiche o sudamericane – piccoli mostri dotati di capacità tecniche straordinarie. Ovviamente non vi è metodo che consenta di creare talento o di dotare i ragazzi della maturità necessaria ad affrontare i grandi capolavori che hanno già avuto tante eccezionali e progressive interpretazioni e che non possono subire l’affronto della superficialità. Così ci troviamo di fronte a giovani che spesso sembrano più scimmiette ammaestrate che “maestri” ancorché acerbi.

Danil Trifonov è sicuramente il prodotto di una ben riuscita operazione di marketing, a dispetto anche delle paludate giurie dei premi che ha vinto. A meno che – ovviamente – non sia un nipote di Putin.

 

Post scriptum

Quello che è successo lunedì sera alla Scala, durante il concerto della Filarmonica diretto da Barenboim con la partecipazione di Cecilia Bartoli, è inaudito e vergognoso.

Che il pubblico possa “buare” – e non solo applaudire – un artista, è non solo accettabile, per certi versi è perfino positivo; oltretutto si trattava di un concerto modesto da tutti i punti di vista – il programma, la direzione, la protagonista – e di ciò parleremo la settimana prossima. Ma che si arrivi agli insulti e allo scherno, come avviene nel più provinciale degli stadi, è assolutamente inaccettabile.

La Scalaè un luogo rispettabile e va rispettato; così come vanno rispettati gli artisti ospiti del Teatro, anche quando si intende esprimere dissenso sulle scelte interpretative e sui risultati del loro lavoro. E la direzione del Teatro farebbe bene a inventarsi qualche marchingegno per impedire questi eccessi e per mettere gli artisti al riparo da umilianti ludibri.

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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