20 aprile 2009

LA MILANO VERDE DI ABBADO


Tutti proclamano la loro devozione ai centri storici, i cui confini tendono lentamente a dilatarsi dalla cerchie delle mura medievali e poi di quelle spagnole a molti di quei dignitosi quartieri costruiti fino al 1950, le case con le facciate vagamente ispirate agli stili architettonici classici, le case liberty di via Pisacane, le case déco del Novecento, e tutti protestano vigorosamente contro la loro manomissione, quand’anche si tratti di un modesto garage sullo scorcio di piazza san Babila.

Quasi nessuno sa riconoscere invece la rigorosa intenzione estetica che ha ispirato nei secoli la forma visibile delle strade tematizzate: siamo sempre pronti ad apprezzarla – chi non ammira il Ring di Vienna o i boulevard di Parigi? – ma non sempre a leggerne i significati originari, sicché spesso tolleriamo senza fiatare proposte e suggerimenti che non ne tengono il minimo conto, sicché rabbrividiamo e ci indigniamo a veder manomessa una cascina mentre lasciamo deturpare indifferenti quelle autentiche opere d’arte che sono nel loro insieme le nostre città.

Ora Claudio Abbado sostiene che Milano sarebbe più bella se avesse più alberi, e chiede dunque di piantumarli dovunque, come se gli alberi non abbiano avuto e abbiano un loro specifico ruolo nelle città europee di questo millennio, e come se non rispettare questo ruolo non sia proprio come deturpare la facciata della Scala piantando un filare di cipressi sopra il suo porticato, a far da contrappunto agli alberi misteriosamente comparsi sulla piazza lì davanti.

Nelle città europee le piazze principali (il Campo di Siena, il Campidoglio, la corte del broletto a Milano, da lasciare libere per le assemblee civiche), le piazze di mercato (la piazza dei frutti a Padova o quella delle erbe a Verona, da lasciar libere alle bancarelle), le piazze davanti ai conventi (da lasciar libere per le prediche dei frati, a Milano davanti a santa Maria delle Grazie o davanti a san Francesco), le piazze della chiesa da lasciar libere per le processioni (piazza san Marco a Venezia o ovviamente piazza san Pietro a Roma), le piazze monumentali per poterne ammirare l’architettura (piazza san Carlo a Torino o piazza del duomo a Milano): ecco, nessuno ha mai immaginato di piantarvi degli alberi.

Vero è che nella sterminata piazza maggiore dell’Aquila prosperava, ancora nel Quattrocento, un olmo secolare, ai cui rami impiccare i malfattori: l’olmo è scomparso da secoli e comunque oggi non servirebbe gran che.

Ma quest’olmo dell’Aquila era un caso singolare: nella piazza di santa Maria del Fiore a Firenze una colonna votiva in marmo ricorda il miracolo di san Zanobi, il cui feretro sfiorò sul sagrato un olmo disseccato e lo fece germogliare: ma, appunto, dell’olmo non rimase traccia e lo sostituirono con una colonna.

Gli alberi come elemento decorativo necessario compaiono a partire dalla seconda metà del Cinquecento nelle tre classiche strade alberate: la passeggiata, il boulevard, i viali alberati, la cui forma canonica è appunto contrassegnata dai loro doppi o quadrupli filari, in genere con un parterre centrale.

La scoperta degli alberi risale a quando Francesco I impone ai frontisti, pubblici e privati, di alberare con filari di olmi le strade di campagna che collegano le città, forse per rinforzare il precario sedime stradale ma esplicitamente motivandoli per la maggiore bellezza che ne conseguirebbe: dice Palladio che le rendono più belle proprio come le schiere delle case rendono più belle le strade delle città.

E’ una vera scoperta nella sfera estetica. Da questo modello nascono presto le passeggiate, strade molto larghe e appunto alberate, dove aristocratici e borghesi vengono ogni sera a pavoneggiarsi con le loro carrozze: prima a Siviglia verso il 1570, poi a Valencia, a Firenze, e agli inizi del Seicento a Parigi il cours de la Reine, voluto da Maria de’ Medici, largo 80 metri e lungo 800.

A Milano nel Settecento era via Marina, e nell’Ottocento erano i bastioni tra porta Venezia e l’attuale piazza della Repubblica: è il motivo per il quale quel tratto di mura non è stato demolito ed è tuttora sopraelevato sul consueto piano stradale.

La passeggiata, oltre a essere molto larga, ha le sue regole formali, deve essere aperta e chiusa, se possibile da un tema collettivo o almeno da un significativo restringersi del suo calibro. A Milano viale Argonne, largo 90 metri come gli Champs Elysées a Parigi, è chiuso dalla nobile chiesa de santi Nereo e Achilleo, mentre corso Sempione – largo anch’esso 90 metri – è aperto e chiuso dalla riduzione del suo calibro a trenta metri nel suo tratto iniziale, verso l’arco della pace, e nel suo tratto finale verso piazza Firenze. Come del resto, nella loro dimensione più modesta, via Morgagni e via Marcello..

Alla fine del Seicento, quando cominciano a venire demolite, le mura cittadine saranno sostituite da boulevard, meno larghi delle passeggiate e comunque non chiusi ai due capi come le passeggiate ma disposti uno di seguito all’altro, incernierati da grandi rondò e a Parigi da qualche porta monumentale. I boulevard, larghi 30, 40 e 50 metri, corrono a Milano tutt’in torno alla città antica, ma a Barcellona Cerdà li ha tracciati diritti, la Gran via con le sue intersezioni a croce.

Anche i viali alberati, quelli nati dal programma cinquecentesco che uscivano nella campagna, vengono incorporati a fine Ottocento nel disegno cittadino e portati a 30 metri, come viale Monza e corso Lodi.

Queste sono le strade, con un loro nome e con una loro riconoscibilità, che sono per loro stessa natura alberate e che dovrebbero per questo venire accuratamente mantenute così, e i cui parterre dovrebbero tornare a essere liberi – come corso Lodi o viale Omero – e non ridotti a un informe parcheggio come viale Brianza, e chissà cosa ne penseranno i visitatori dell’Expo.

Le vie residenziali, se abbastanza larghe, possono anch’esse venire alberate, come molte a Milano, dove alla fine dell’Ottocento Beruto nel suo piano regolatore – imitando Parigi – previde sezioni sufficienti a piantare filari di alberi.

Piantare alberi nelle piazze tematizzate era, come abbiano visto, fuori discussione, ma nel corso dell’Ottocento prende piede l’idea esotica di imitare gli square di Londra con la loro sistemazione a giardino, che verrà adottata su larga scala quasi dovunque: forse la prima piazza indipendenza a Firenze – intorno al 1830 – ma di fatto che altro sono piazza Libia (con la sua croce di passeggiate) o pazza Martini e piazza Insubria con la passeggiata che le lega, o i parterre circolari che inanellano le cinte dei boulevard – come piazza Piola o piazza Frattini – se non dei veri e propri giardini pubblici di quartiere?

Ora, se si tratta di tutelare le strade tematizzate che sono state disegnate un secolo fa da Cesare Beruto per fare di Milano un’opera d’arte, non potremmo che essere più che d’accordo; se si tratta invece di disseminare alberi là dove l’intenzione originaria proprio non era quella, allora dovremo difenderci ancora una volta da queste pretese stravaganti di chi – pur con meriti indubbi nel suo proprio campo – ritiene di poter dire la sua in un campo che gli è invece ignoto.

E per fortuna che, a ripararci da queste stravaganze, speriamo regga i sovrintendente Alberto Artioli, al quale va fin da ora la nostra solidarietà.

Marco Romano


Con queste strade tematizzate, la cui morfologia era nota, Cesare Beruto ha disegnato alla fine dell’Ottocento un mirabile piano regolatore, che rendeva anche i quartieri nuovi e più lontani partecipi ella dignità cittadina: ma questa è un’altra storia



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