20 aprile 2009

BIOTESTAMENTO, ACCANIMENTO TERAPEUTICO, CONSENSO INFORMATO


a cura di Piera Landoni – Chiara Porro de’ Somenzi _

In queste settimane, di accesa discussione sul disegno di legge licenziato dal Senato per passare all’esame della Camera, relativo al cosiddetto testamento biologico e alla fine della vita, il Forum Salute e Welfare PD Area Metropolitana Milanese
ha maturato la convinzione che il disegno di legge possa diventare, se approvato, una cattiva legge, peggiorativa rispetto alla situazione esistente.

Infatti il testo risulta molto al disotto delle attese e delle necessità di coloro che, medici, infermieri e volontari, si trovano ad affrontare tutti i giorni le questioni della cura e del passaggio dalla vita alla morte di pazienti incurabili, terminali e gravemente malati. Risulta inferiore anche rispetto alle modalità attraverso le quali in tutta Europa si è cercato di dare una risposta al problema.

Il Disegno di legge è del tutto sbilanciato sul problema dei casi in stato vegetativo, che sono eccezionali (se ne contano circa 6.000 nel Paese) e non si cura del problema delle centinaia di migliaia di malati (oncologici e non) avanzati e terminali (circa 250.000 l’anno).

Ma soprattutto la legge nega il diritto della persona ad essere soggetto e non oggetto delle cure e non si pone il problema del fatto se ci sia un limite all’accanimento terapeutico.

Il nostro giudizio sul provvedimento è stato espresso, sia in qualità di cittadini perchè riteniamo che la proposta di legge metta in discussione il diritto di potere liberamente decidere della propria vita, se non altro nei limiti che fino ad oggi sono stati garantiti dalle norme in vigore, sia in qualità di esperti in materia di sanità poichè crediamo che molti contenuti del provvedimento avranno difficilissima applicazione, con possibilità di determinare conflitti gravi tra cittadini e medici a fronte di un sicuro aggravio di compiti burocratico-formali.

A ciò si aggiunga che il ddl attua un utilizzo distorto delle norme in vigore che è rilevabile fin dal primo articolo, là dove la vita umana diventa non solo “inviolabile”, quale sempre è stata nel nostro ordinamento, ma anche “indisponibile”, concetto che, viceversa, non è fino ad oggi presente. L’indisponibilità riguarda in particolare l’individuo che tale vita possiede: la dichiarazione anticipata delle sue volontà su quella che potrà essere la fine della sua stessa vita, così come prevista nel ddl, può essere totalmente ignorata attraverso il meccanismo dei divieti e delle potenziali minacce che il provvedimento disegna nei confronti dei medici, ai quali vengono ricordati alcuni articoli del Codice Penale (tra i quali quello che tratta dell’omicidio).

Definire “non sanitario” il trattamento di nutrizione artificiale rispecchia una posizione palesemente ideologica, che ignora quelle che sono acquisizioni scientifiche ormai consolidate che collocano la nutrizione artificiale tra gli atti medici. Tale posizione, peraltro, è in contrasto con le decisioni prese in materia dal resto del mondo, ma in particolare non tiene in alcun conto una elementare norma di umanità, poiché impone di proseguire al di là di ogni ragionevolezza una pratica inutile e fors’anche dolorosa, come possono testimoniare tutti coloro che hanno vissuto l’esperienza di avere avuto collocato un sondino naso-gastrico, o hanno subito altre, ancor più invasive, pratiche di alimentazione parenterale.

Restano da capire il valore e i limiti della Dichiarazione Anticipata di Trattamento (DAT) in tutte le circostanze in cui si realizza la fine di un’esistenza. Quando un individuo entrerà in coma sarà possibile dare seguito alle volontà da lui espresse? In questo caso la DAT assumerà rilievo? I parenti, se non sarà stato nominato un fiduciario, avranno voce in capitolo? Nel nostro Paese le neoplasie sono la seconda causa di morte, la necessità di cure palliative nelle fasi terminali della malattia, disgiunte da ogni forma di accanimento, quale può essere la prosecuzione di una alimentazione forzata, è una fattispecie non considerata nel ddl (che pure tratta della fine della vita e non solo dello stato vegetativo).
Altre considerazioni finali riguardano le gravi difficoltà che questa norma può determinare nel rapporto tra il medico e il cittadino e altre perplessità nascono dalla previsione che la DAT possa essere redatta dopo “compiuta e formale informazione medico clinica” e raccolta dal medico di medicina generale che la sottoscrive.

Si tratta di un compito fino ad oggi non previsto nelle convenzioni che regolano i rapporti tra la categoria e il SSN. L’atto di decidere sulla propria esistenza e sulla fine della stessa dovrà essere retribuito al medico di medicina generale? E se sì, da parte di chi? Cosa comporta la raccolta delle DAT e in che maniera impegna il medico? E ancora il rapporto tra medico curante e familiari nel periodo terminale della vita, come si configura rispetto alla DAT con nomina o meno di un fiduciario? A queste domande il ddl non offre risposta oppure offre risposte confuse

Piera Landoni – Chiara Porro de’ Somenzi



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