21 aprile 2009

EXPO. LUCIO STANCA SIGNORE DEL DUCATO DI MILANO


Giovedì scorso il sindaco Letizia Moratti nel suo intervento in Consiglio comunale ha dedicato poche parole alla nomina di Lucio Stanca ad amministratore delegato di Soge, la società che gestirà tutte le attività legate all’Expo: poche parole pronunciate senza entusiasmo, un atto formale dovuto al vassallo di Berlusconi mandato a governare il ducato di Milano dopo le turbolenze della nobiltà locale incapace di trovare da sola un accordo. Arriva il nuovo padrone dei destini della città. Tutti vorremmo l’Expo come panacea dei mali di Milano, per far percorre anche a lei il cammino “virtuoso” di altre città toccate dalla bacchetta magica delle esposizioni universali: la soluzione straordinaria di problemi ordinari, senza crearne altri. Lucio Stanca in ogni caso non ne ha fatto mistero: lui del suo operato risponderà a Berlusconi, l’unto del signore in virtù dei sondaggi che gli garantiscono imperitura maggioranza. Non dunque un uomo sopra le parti ma un uomo invece delle parti. Ma è così sbagliata la scelta di Lucio Stanca? Abuserò anch’io della frase d’obbligo: luci e ombre. Cominciamo dalle luci per non immalinconirci subito. Se Stanca chiuderà la fase delle guerre intestine, e il suo potere pare sufficiente, forse il destino dell’Expo sarà meno precario ma temo che il fuoco continuerà a covare sotto la cenere. Il ridimensionamento della Moratti voluto sia dalla Lega sia da una parte di Forza Italia, solo un pezzo della finzione che si chiama Partito della libertà, non ha sopito certo le lotte tra Comunione e Liberazione – alias Compagnia delle Opere – e gli altri partners di governo: quando litigano sulle questioni di principio fanno forse sul serio ma quando si tratta di distribuire soldi – il potere reale – allora sì che non scherzano. Ancora una luce, forse. Stanca è un manager e, ammesso di essere d’accordo sul fatto che Expo sia un’operazione prevalentemente manageriale, il suo
background è di tutto rispetto: cresciuto alla scuola di Ennio Presutti, che l’ha preceduto alla presidenza di IBM Italia, è circondato da una solida reputazione internazionale e quindi da autorevolezza. Ma qui siamo nel pieno assurdo della politica italiana e anche mondiale: imprenditori e manager sono diventati la classe politica dominante; è la vittoria – definitiva? – del governo come comitato d’affari. Modello in crisi, come vediamo oggi soffrendo, ma con una capacità di autodifesa di casta garantita dalla potenza del denaro personale. C’è poco da stare allegri ma non gettiamo la spugna, perché dall’altra parte dell’oceano le cose sembra abbiano preso una direzione che ci piace di più e non è detto che, come sempre in ritardo, ci si arrivi anche noi. Non siamo sempre all’inseguimento del modello americano? Veniamo alle ombre: tutte quelle del berlusconismo, la voglia di potere per il potere, il disprezzo dell’opposizione e l’incomprensione per il suo ruolo. La cultura della democrazia come dialettica tra maggioranza e minoranza, tra governo e opposizione, è qualcosa di naturalmente estraneo alla cultura manageriale, anche quella più attenta al ruolo sociale d’impresa. Il manager quando parla di maggioranza pensa alle assemblee di azionisti dove si governa senza alcun bisogno di trovare accordi con la minoranza – alla quale non resta che la difesa del codice civile e qualche volta penale – e dove i tribunali dirimono i conflitti. Per l’Expo le cose non stanno così: piaccia o non piaccia esistono istituzioni della società civile e del Paese che, almeno per ora, non possono esser travolte. Esitono ancora leggi e regolamenti, esistono strumenti urbanistici che non possono essere cancellati, esistono – in particolare nell’ambito dei lavori pubblici e di spesa dello Stato – norme europee che hanno spesso salvato il nostro Paese dal peggio e dall’arroganza del potere economico. Questo è il terreno sul quale dovrà muoversi il consigliere delegato di Soge. L’ombra finale ma non l’ultima: le sue truppe. Il signore del Ducato scende in campo per vincere una guerra contro il tempo con al seguito un esercito di tartarughe: una burocrazia e un apparato tecnico pubblico imbolsito da anni di disaffezione e disattenzione nei suoi confronti e di strumentalizzazione da parte della classe politica. Al riguardo fa ridere la cura Brunetta, l’uomo politico che ha rubato il posto di ministro proprio a Lucio Stanca: comunque non basta far lavorare, bisogna saper lavorare e non lo s’impara dall’oggi al domani. L’esercito di tartarughe sembra essere il suo peggior nemico, non l’opposizione della società civile o il “comitatismo” che la Giunta milanese addita come ostacolo al progresso e dunque all’Expo; è proprio con questa parte della città che conviene invece aprire un dialogo e in ogni caso non cercare la scorciatoia della campagna acquisti: tanto non c’è trippa per tutti.
Luca Beltrami Gadola



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