28 novembre 2012

PGT, MERCATO E SVILUPPO IMMOBILIARE: UN NUOVO PARADIGMA?


Il secondo rapporto Cresme-Ance sul mercato immobiliare milanese e lombardo, recentemente presentato, ha il pregio di confermare con cruda evidenza quello che si sospettava già da tempo (eppure, fino a non molto fa c’era ancora chi invitava all’ottimismo…): vale a dire la drastica riduzione delle produzione edilizia (- 30/40%), e la stasi o meglio declino di valori e volumi.

Ancora più interessanti i dati di stima sulla futura domanda abitativa che consentono – anche se in modo tentativo – di fare qualche valutazione sulle prossime dinamiche: su base decennale, la domanda abitativa è stimata in circa 10-15.000 alloggi/anno per l’intero territorio provinciale, domanda in maggioranza però riconducibile a quella che verrà espressa da nuovi immigrati stranieri; del totale, la domanda solvibile (ovvero quella volta all’edilizia libera) non raggiungerebbe neanche il 30%, mentre circa il 50% è orientata all’affitto e all’edilizia agevolata e il 20% all’edilizia sociale sovvenzionata. È da notare che si tratta di valutazioni comunque abbastanza ottimistiche, perché presuppongono il mantenimento dei flussi migratori in entrata anche a fronte della crisi economica, e un ricorso delle famiglie al credito per l’80% degli importi, anche se la stessa ricerca mostra poi che le banche oramai concedono mutui solo sul 40/50% del valore dell’immobile (abbassando quindi ulteriormente la soglia della solvibilità).

Nell’ultima parte della ricerca si formulano poi valutazioni sulle trasformazioni future, sulla base dei titoli abilitativi rilasciati e degli strumenti urbanistici attuativi approvati o con iter in corso. Mancano però valutazioni sull’impatto che avrà lo strumento più recente e più rilevante, ovvero il PGT di recente efficacia. In modo molto approssimativo, si può tentare di colmare questa lacuna almeno su alcuni punti.

Il PGT approvato prevede come noto la possibilità di realizzare circa 12 mln mq di slp di nuova edificazione, a cui sembra si debba aggiungere quella derivante dalla possibilità di cambio d’uso della slp esistente nelle aree industriali e nei servizi dismessi, stimata in una precedente ricerca Assimpredil in circa 7-8 mln mq slp. Ipotizzando che questa edificabilità complessiva venga destinata a usi residenziali per circa il 75/80% (come nella media dell’edilizia esistente), questa offerta supera almeno del 25% la domanda abitativa decennale dell’intero territorio provinciale, e corrisponde a circa cinque volte la domanda del Comune capoluogo (Milano pesando fra un terzo e un quarto della provincia). Le quote destinate alla domanda abitativa non solvibile sono inoltre alquanto inferiori a quelle stimate come attendibili.

Come conseguenza di questa prima sommaria considerazione, si può ipotizzare che:

– il PGT di Milano avrà impatti sul mercato immobiliare non solo del territorio comunale, ma su quello dell’intera area metropolitana

– la maggior parte di questa potenzialità edificatoria è destinata a rimanere inattuata, verosimilmente quella di realizzazione più complessa (vaste aree dismesse soggette a procedure impegnative, ecc.)

– il valore del diritto edificatorio (il “metro cubo virtuale”) è probabilmente destinato a diminuire rispetto ai livelli attuali.

Quest’ultima considerazione può portare a ritenere possibili ulteriori conseguenze. Se, semplificando molto, individuiamo nei processi di trasformazione territoriale alcune categorie di soggetti privati principali, ovvero (in sequenza anche temporale) la proprietà fondiaria, gli sviluppatori, i costruttori, gli utenti dei beni prodotti e i cittadini, dove in particolare con “proprietà fondiaria” possiamo intendere genericamente i percettori della rendita generata mediante l’aumento dei diritti edificatori e la modifica delle destinazioni d’uso negli strumenti urbanistici e con “sviluppo” tutte le attività che consentono di passare da un’area edificabile a un prodotto immobiliare, il paradigma che si è imposto dagli anni ’80 in poi (ovvero dai PIR, ai PRU, ai PII, agli AdP e agli altri strumenti di urbanistica contrattata che da Milano e dalla Lombardia si sono diffusi in tutta Italia) è quello dell’integrazione fra le prime due categorie (rendita e sviluppo) ovvero la prassi di associare la generazione di diritti edificatori a specifici progetti di intervento, consentendo in particolare in questo modo alle amministrazioni pubbliche di estrarre da tale processo parte del valore generato per ridestinarlo a fini pubblici (servizi, alloggi sociali, ecc.). In altre parole, si tratta della famosa “zecca dei diritti edificatori” a cui più o meno tutte le amministrazioni locali hanno imparato ad attingere con fini nobili o meno.

Il PGT di Milano, attribuendo una tale capacità edificatoria alla proprietà fondiaria (se pur ridotta rispetto alla versione precedente adottata), spezza di fatto tale paradigma e sembra prospettarne un altro, dove in particolare nello sviluppo sarà più difficile compensare gli alea legati alle attività di trasformazione con la contemporanea creazione di valore mediante l’incremento delle capacità edificatorie; mentre d’altra parte sarà più difficile per le amministrazioni pubbliche ottenere risorse aggiuntive (in termini di extraoneri o funzioni particolari) a fronte dell’offerta di vantaggi edificatori di sempre minore appeal vista la grande offerta. In particolare, appare difficile che dalla contrattazione urbanistica come oggi la conosciamo possano provenire le risorse che consentano di superare il delta evidenziato dalla relazione economica del PGT fra il costo delle infrastrutture e dei servizi necessari e gli introiti derivanti dai relativi oneri, o che consentano di intervenire in modo fortemente incisivo – al di là delle lodevoli iniziative in tale senso – sul tema della domanda abitativa non solvibile, come visto probabilmente finora sottostimata. Il delta sembra pertanto destinato a permanere se non ad ampliarsi.

Si tratta di valutazioni inevitabilmente sommarie e approssimative. Se però colgono nel segno, si può ipotizzare nel prossimo futuro la necessità di:

– una più precisa attenzione alle caratteristiche del prodotto immobiliare in fase di sviluppo: non basterà più insomma il metro cubo indifferenziato per far tornare i conti

– una stima dei valori dei diritti edificatori più prudente di quella attuale, e compravendite maggiormente mirate a un’effettiva attuazione

– una fiscalità pubblica che ricerchi le proprie risorse economiche “a monte” e non nel corso del processo di trasformazione (IMU su aree fabbricabili, oneri predefiniti e non esito di contrattazione, ecc.) ovvero in prossimità dei processi di formazione della rendita e non appesantendo i programmi di sviluppo e riqualificazione della città.

Gregorio Praderio

 

 

 



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