28 novembre 2012

arte


 

GALLARD ARCHEOLOGO MODERNO

Archeologo delle rovine della modernità, ecco come è stato definito Cyprian Gallard, giovane artista, classe 1980, che ha da poco inaugurato la sua prima personale italiana curata dalla Fondazione Nicola Trussardi, in particolare da Massimiliano Gioni. Artista giovane ma già con una considerevole carriera alle spalle, e che ha fatto del suo continuo viaggiare per il mondo l’argomento centrale di questa mostra, intitolata Rubble and Revelation – rivelazioni e rovine. Gallard riflette su quelli che sono i monumenti della nostra epoca, non per forza intesi come opera d’arte, e ne studia la vita e il progressivo degrado, soffermandosi sui temi della distruzione e della decadenza. Protagonisti dei suoi lavori, affrontati con la tecnica del frottage, dei video, delle polaroid e dei documenti d’archivio, sono architetture e spazi aperti, edifici abbandonati, grattacieli, periferie degradate, aree militari e rovine antiche, di cui Gallard studia e analizza la storia.

Attento osservatore dei cambiamenti e delle rivoluzioni che sono avvenuti nei tempi recenti, Gallard ricostruisce con i suoi lavori una sorta di archivio di immagini, che testimoniano momenti e passaggi della storia dell’uomo a noi più vicina, segnata dalla globalizzazione, dall’industrializzazione pesante e dal consumismo più sconsiderato. Una ricerca improntata anche a mostrare il potere delle immagini, inteso nella loro veste positiva ma anche come iconoclastia, vandalismo e distruzione di simboli, realtà che oggi sono sempre più presenti nella nostra vita quotidiana. D’altra parte è egli stesso a dire che “bisogna essere irriverenti verso i monumenti”, motivo per cui non stupisce la provocazione dei suoi lavori.

All’interno del suggestivo spazio del panificio militare della Caserma XXIV Maggio, in via Monti, Gallard ci introduce alla sua indagine attraverso il tema della globalizzazione devastante grazie al frottage dei tombini di Los Angeles, rigorosamente made in India, così come nel ciclo New Picturesque, utilizza vecchie cartoline con immagini di antiche ville e castelli, che però copre parzialmente con dei fogli bianchi, impedendoci la vista e inducendo un senso di soffocamento. Un’operazione iconoclasta che fa riflettere su quanto “il monumento” sia sempre meno arte e sempre più luogo di ricreazione di massa. Il percorso continua poi con video di edifici distrutti, simbolo eloquente dell’usa e getta tipico della nostra epoca e di una umanità che non sa più “curarsi” dei propri monumenti.

Millions into darkness sono invece installazioni composte da foto d’archivio in bianco e nero, che ricostruiscono una mini storia dei conflitti politici e razziali dell’America di qualche decennio fa, mischiate a pezzi di meteoriti comprati su internet, facendo diventare l’insieme una sorta di metafora delle lotte e dei disastri naturali dei nostri tempi. Colpiscono più di tutti i Geographical Analogies, un atlante del mondo fatto di “analogie e contrasti di luoghi accomunati dal senso del sublime”: una serie infinita di polaroids che l’artista ha scattato nei suoi viaggi per il mondo e che, accostate per temi e “assonanze”, danno al lavoro un’aria poetica e lirica, accostando graffiti, alberi, le rovine di Petra, edifici modernissimi, sculture e palazzi di vetro.

Chiude la mostra un video altrettanto poetico, girato in 35 mm, che mostra un atto puramente vandalico: l’artista fa esplodere estintori industriali attorno a un albero secolare, mentre la telecamera riprende l’azione senza mai staccare. Un vandalismo reversibile che non modifica totalmente il paesaggio ma lo fa tornare, con una nuova luce, alla compostezza dell’inizio.

Cyprien Gaillard. Rubble and Revelation – Rivelazioni e Rovine Caserma XXIV Maggio, via Vincenzo Monti 59 Milano, 13 novembre – 16 dicembre 2012 h 10-20, Ingresso libero

 

 

CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

Questa settimana riportiamo una serie di iniziative promosse dal Sindaco di Milano e dalla delegata per le Pari Opportunità, Francesca Zajczyk. Dieci giorni di incontri, iniziative e spettacoli, dal 18 al 28 novembre, che si svolgeranno in varie parti della città, per sensibilizzare i cittadini in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che si celebra domenica 25 novembre. Il primo evento, “Con i tuoi occhi“, si è svolto domenica, alle Colonne di San Lorenzo, luogo amato e frequentato soprattutto dai giovani che, un po’ sorpresi, hanno trovato quel posto così familiare, trasformato in un sentiero lastricato da scarpe.

Tre le artiste interpellate, molte le donne coinvolte, per dar vita ai tre interventi forti e significativi di Elina Chauvet, Marta Lodola e Chiara Mu. L’iniziativa, curata da Francesca Guerisoli con la collaborazione di un gruppo di giovani donne del mondo dell’arte, parte con il progetto “Zapatos Rojos” (2009-2012) di Elina Chauvet, artista messicana che, con centinaia di scarpe da donna rosse, ha voluto denunciare la violenza che troppo spesso viene perpetrata sulle donne. Realizzato nel 2009 a Ciudad Juarez, la città dello stato di Chihuahua conosciuta come uno dei luoghi più pericolosi al mondo per una donna, e in seguito realizzato anche in altri stati del Messico e degli Stati Uniti, l’installazione di scarpe raccolte tra amiche e conoscenti attraverso il passaparola rappresenta le donne vittime di violenza in tutto il mondo, e in particolare quelle che perdono la vita sul confine tra il Messico e gli USA. Un progetto interattivo, che ha permesso anche ai passanti domenicali di far parte di questo percorso simbolico verso un mondo più civile, andando ad aggiungere scarpe portate al momento e dipinte di rosso direttamente sul luogo.

La giornata è proseguita poi con le azioni performative di Marta Lodola a Chiara Mu. Nella performance ‘Senza Titolo’ di Marta Lodola l’artista ha indossato, una dopo l’altra, decine di collane ognuna delle quali rappresentava un simbolo delle costrizioni sociali di cui la donna è succube e dalle quali non riesce a liberarsi: condizionamenti che la portano non solo all’immobilità di azione ma anche di pensiero. Chiara Mu invece, attraverso una azione artistica intitolata ‘Stigma‘, ha coinvolto gli uomini che passavano per la via fermandoli e sussurrando loro storie di violenza realmente accadute nel mondo, rendendoli così partecipi e ascoltatori “attivi” dei racconti.

Azioni di arte che sono servite anche per parlare in modo discreto ma chiaro, di un tema troppe volte trattato con indifferenza. Sul sito del Comune di Milano il calendario con tutte le altre iniziative

 

 

CLAUDIA GIAN FERRARI E LE SUE PASSIONI

Collezionare il Novecento. Claudia Gian Ferrari, collezionista, gallerista e storica dell’arte è il primo appuntamento di un ciclo di mostre che il Museo del ‘900 dedica a collezionisti importanti che hanno messo al centro l’arte del XX secolo. Si inizia con Claudia Gian Ferrari, collezionista, studiosa, appassionata d’arte e figlia di Ettore, importante gallerista milanese, dal quale erediterà la gestione della galleria. Claudia si propone fin da subito come una importante figura di riferimento per il mondo artistico milanese, tramite un lungo percorso, che ha portato la Gian Ferrari a far scoprire e riscoprire importanti artisti del ‘900 attraverso mostre e accurate monografie, quali quelle su Giorgio de Chirico, Filippo De Pisis, Arturo Martini, Giorgio Morandi, Fausto Pirandello e Mario Sironi. Ma un artista fu forse più importante di altri, Arturo Martini. Sulla scia del padre, che aveva fondato l'”Associazione Amici di Arturo Martini” a sostegno delle opere del maestro, Claudia Gian Ferrari nel 1998 ne cura l’importante catalogo generale e ragionato delle sculture, che porta a scoprirne una serie di inedite e anche alcune ritenute disperse. Tra queste, l’Ofelia acquistata dalla Pinacoteca di Brera proprio quando Claudia fu presidente dell’Associazione (opera presente in mostra).

Quindici le opere che entrano da oggi a far parte delle collezioni del Museo, donate dalla famiglia e a cui Claudia fu sempre particolarmente legata, opere che occupavano un posto speciale all’interno della sua abitazione privata. Troveranno spazio un Achrome di Manzoni, destinato alla sala Azimuth del museo, una gouache di Lucio Fontana e un’esemplare delle “uova” in terracotta realizzate dall’artista all’inizio degli anni Sessanta, ci sarà Mario Merz, con la sua Proliferazione laterale del 1975, Apollo e Dafne di Giulio Paolini, una composizione di sale di Giuseppe Penone, una piccola installazione di Pier Paolo Calzolari, e una Stella del 1977 di Gilberto Zorio. La donazione include poi Prière de toucher realizzata da Marcel Duchamp per la copertina del catalogo pubblicato in occasione della mostra “Esposizione surrealista”, organizzata con André Breton alla Galerie Maeght di Parigi nel 1947, le fotografie di Dan Graham, Bruno Kirchgraber e Giorgio Colombo e uno schizzo di De Kooning. Per concludere, ci saranno anche una Macchina drogata di Vincenzo Agnetti del 1969 e un gesso di Fausto Melotti.

Inoltre in mostra anche opere di artisti molto amati dalla Gian Ferrari, e prestati appositamente per l’occasione, come Arturo Martini, Filippo De Pisis, Giorgio Morandi, Cagnaccio di San Pietro, Fausto Pirandello e Mario Sironi, a cui Claudia Gian Ferrari ha dedicato una vita di studi, pubblicazioni ed esposizioni. Infine, due degli artisti contemporanei più vicini alla gallerista, Luigi Ontani e Claudio Parmiggiani, hanno contribuito ad allestire due piccole sale monografiche di particolare intensità.

Interessante anche la selezione di materiali provenienti dai documenti dell’archivio storico della galleria Gian Ferrari, che Claudia ha destinato con un legato testamentario agli Archivi del Novecento, attraverso i quali si potrà capire e approfondire meglio i momenti più salienti e le scelte artistiche della Galleria. Documenti, fotografie, lettere e una biblioteca relativa a circa settant’anni di attività per far rivivere un’epoca intera.

Pitture e sculture ma non solo. Nel percorso espositivo sono inseriti anche mise e accessori amati e usati in vita dalla Gian Ferrari. Vengono proposti alcuni abiti del suo guardaroba, firmato quasi esclusivamente da Issey Miyake, e dei cappellini d’autore che Claudia ha sempre indossato, vera e propria passione trasformatasi nel tempo in collezionismo. Claudia ha lasciato a Palazzo Morando, sede delle collezioni di Costume, Moda e Immagine del Comune, oltre cento abiti di Miyake e altrettanti copricapo, tra cui quelli dello stilista Alan Journo e dell’artista, da lei promossa, Lucia Sammarco. Una vera amante dell’arte e della filantropia. Nel 2006, prima dell’apertura del Museo del ‘900, furono donati consistenti nuclei di opere a Villa Necchi Campiglio e al MART di Rovereto. Una parte di queste collezioni sono andate anche a far parte del MAXXI di Roma, altra città amata e frequentata dalla collezionista.

L’allestimento della mostra è altrettanto di eccezione, firmato Libeskind. In una sorta di labirinto dalle pareti disuguali il visitatore potrà ammirare da ogni angolo le singole opere, avviluppandosi man mano nel mondo tutto privato che fu un tempo della collezionista, e che da oggi diventa spazio pubblico. Molteplici punti di vista come molteplici e di diversi orientamenti furono le passioni di Claudia Gian Ferrari.

Collezionare il Novecento. Claudia Gian Ferrari gallerista, collezionista e storica dell’arte – Fino al 3 marzo 2013 Museo del 900 Orari lun 14.30 – 19.30 mar, merc, ven e dom 9.30 – 19.30 giov e sab 9.30 – 22.30 Ingresso intero 5 euro

 

COSTANTINO 313. IL SOGNO CHE CAMBIÒ L’EUROPA

Per celebrare la nascita del famoso Editto di tolleranza, datato 313 d.C., il Museo Diocesano e la casa editrice Electa, in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma e sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e della Segreteria di Stato del Vaticano, presentano la mostra Costantino 313 d.C.

Una grande esposizione celebrativa non solo di quell’editto che di fatto cambiò il corso della storia europea, ma anche del ruolo di Milano come città imperiale e punto di riferimento politico, religioso e culturale. L’Editto di Milano fu emanato nel 313 d. C. dall’imperatore romano d’Occidente Costantino e dal suo omologo d’Oriente, Licinio, che si incontrarono nel palazzo imperiale milanese e decisero che, da quel momento, il Cristianesimo, culto già affermato in larghi strati della popolazione dell’Impero, dopo secoli di persecuzioni veniva dichiarato lecito, inaugurando così un periodo di tolleranza religiosa e di grandi rinnovamenti politici e culturali.

Dal palazzo imperiale a Palazzo Reale, dunque. La mostra, divisa in sei sezioni, racconta la Milano dell’epoca, ricostruendone idealmente spazi e palazzi, luoghi, arte e suppellettili che circolavano non solo nella capitale ma anche in tutto il mondo romano. Con più di duecento preziosi oggetti d’archeologia e d’arte, vengono indagate tematiche storiche, artistiche, politiche e religiose: da Milano capitale imperiale, alla conversione di Costantino, con quell’aura di leggenda, fino ai simboli del suo trionfo.

Attraverso la ricostruzione di Milano, il visitatore potrà ritrovarsi nella capitale dell’epoca, con tutti gli edifici funzionali a una grande città: dal Palatium, edificio polifunzionale destinato ad accogliere non solo l’imperatore ma anche la complessa burocrazia dello Stato, alle grandiose terme erculee, identificabili tra gli odierni Corso Vittorio Emanuele e via Larga, fino alla necropoli dell’area di Sant’Eustorgio, senza tralasciare quartieri residenziali e nobiliari.

Ma siamo in un momento di transizione, in cui accanto all’affermarsi del Cristianesimo come culto sempre più importante, persistono ancora diverse religioni nell’impero costantiniano, che ci sono note mediante l’uso di iconografie pagane in oggetti d’arte di destinazione ufficiale o privata, e che spesso si mescolano ai simboli e alle immagini cristiane.

Oltre ad approfondire la figura di Costantino e della sua famiglia, ampio spazio è dato anche a tre istituzioni importanti per la vita pubblica romana: l’esercito, la chiesa e la corte imperiale. Così grandi ritratti ufficiali, monete, medaglie e oggetti quotidiani documentano il nuovo aspetto pubblico e sempre più presente dell’imperatore, della corte, dei grandi funzionari, dell’esercito, della Chiesa e dei suoi vescovi, fino ad Ambrogio.

Oggetti preziosi e di lusso che testimoniano, con le loro figurazioni, il passaggio graduale che il Cristianesimo compie all’interno della società, da devozione lecita ma privata a una dimensione pubblica e ufficiale, per arrivare infine a essere l’unica religione dell’Impero. Gemme e cammei, argenterie, gioielli in oro e fibule auree consentiranno di tracciare un quadro dello splendore che caratterizzava la vita della corte e la nuova devozione verso la Chiesa.

Chiude la mostra una grande sezione dedicata a Elena, madre di Costantino, santa e imperatrice. Fu proprio Elena che si recò in Terra Santa e trovò, secondo la tradizione, dopo averla riconosciuta, la Vera Croce di Cristo, riportandola in Europa e inserendo nella corona imperiale del figlio uno dei Sacri Chiodi, come protezione e dichiarazione ufficiale della nuova, vera Fede. Imperdibile la bellissima Sant’Elena di Cima da Conegliano, proveniente dalla National Gallery di Washington, 1495 c.

Sulla conversione di Costantino si è scritto molto: fu frutto di una decisione presa per convenienza o il suo spirito era sincero? Il battesimo in punto di morte, il celebre sogno, avvenuto la notte prima della Battaglia di Ponte Milvio, nel 312, in cui si preparava a combattere il suo nemico Massenzio, sono storie ben note. Quel che è certo è che, da quel momento, inizia a diffondersi l’iconografia del Krismon, le due iniziali greche di Cristo incrociate tra loro, dapprima sugli scudi dell’esercito di Costantino, poi su monili e gioielli, per approdare infine in tutto l’Impero. Si diffonde a simbolo di un’epoca intera il signum crucis di Costantino.

Costantino 313 d.C. Palazzo Reale, fino al 17 marzo 2013 orari: lun 14.30 – 19.30 mar, mer, ven, dom: 9.30 – 19.30 giov, sab: 9.30 – 22.30 ingresso: intero euro 9,00 ridotto euro 7,50

 

 

CADAVERI IN MOSTRA – BODY WORLDS

Body Worlds è il titolo della mostra che ha dato, e continuerà a dare scandalo e suscitare perplessità. In pratica, si tratta di un’esposizione di cadaveri, o di parti di essi, completamente ridotti nelle loro parti più essenziali: muscoli, ossa, vasi sanguigni ecc. Sembra la descrizione di un film dell’orrore, in realtà è una mostra che vuol essere scientifica e didattica. E perché no, anche un poco artistica.

Body Worlds – Il vero mondo del corpo umano, è già stata visitata da oltre trentaquattro milioni di persone nelle sessanta città del mondo in cui ha fatto tappa, di cui solo 200.000 a Roma e Napoli. La mostra celebra il corpo umano, facendo luce sui segreti della sua anatomia e del suo funzionamento, spiegando con parole semplici e comprensibili a tutti informazioni e questioni scientifiche sui temi della salute, delle malattie, del benessere e della vita in generale.

Come è possibile tutto questo? L’idea di questo circo dei morti è del Dr. Gunther von Hagens, che dal 1977 ha inventato e continuamente modernizzato la tecnica della plastinazione, attraverso la quale si sostituiscono ai liquidi corporei polimeri di silicone, rendendo perfettamente conservabili nel tempo tessuti e organi umani e animali.

Il fine della mostra è assolutamente medico, come precisano gli organizzatori, all’inizio questi esperimenti servivano soprattutto per gli studenti di medicina, ma col tempo si è estesa la possibilità di questa particolare materia anche al grande pubblico, per mostrare, in modo ravvicinato, come funziona davvero il corpo umano, con tutti i suoi segreti e le sue risorse, per permetterne davvero una piena comprensione.

La domanda sorge spontanea. Chi sono-erano queste persone che oggi, alla Fabbrica del Vapore, ritroviamo letteralmente a pezzi dentro delle vetrine o impiegate in strane pose plastiche? Le tante mostre che Body Worlds ha creato dagli anni ’80 a oggi sono state possibili grazie a specifici programmi di donazione del corpo, nel quale i donatori dispongono esplicitamente che i loro corpi possano essere esposti a Body Worlds dopo il decesso. A oggi i registri dell’istituzione contano più di 13.000 donatori registrati, tra viventi e deceduti.

Oltre a vedere nel dettaglio organi, in salute e affetti da patologie, ossa, sezioni di tessuto ecc, c’è anche spazio per l’estetica. In mostra infatti sono presenti corpi posizionati in atteggiamenti e pose varie, per mostrarne a pieno il funzionamento dei muscoli, dei nervi ecc. Tra gli altri ricordiamo una toccante coppia di ballerini, un giocatore di basket, uno sciatore, tre ironici giocatori di poker e addirittura un cavaliere su cavallo. Tutti, ovviamente, fatti di scheletro e tessuti muscolari ben in vista.

Ma non c’è niente di macabro o di cattivo gusto, come spiega l’ideatore, Gunther von Hagens: “L’esposizione Body Worlds è un luogo destinato alla divulgazione e alla riflessione intima, un luogo dedicato all’autoconsapevolezza filosofica e religiosa. Non è un cimitero illegale, né un salone di bellezza post-mortem. Mostra il corpo quale miglior rappresentante dell’anima, che si porge al visitatore di mentalità aperta“. Una mostra per stomaci forti.

Gunther von Hagens Body Worlds Milano, Fabbrica del Vapore via Procaccini 4 fino 17 febbraio 2013 biglietti: intero 15,00 euro, ridotto over 62, studenti, 14 euro La mostra è aperta tutti i giorni dalle ore 10.00 alle ore 20.00 con orario continuato. Il giovedì e il sabato l’orario è dalle 10.00 alle 23.00 con orario continuato.

 

DAL 1953 A OGGI: PICASSO A MILANO

Picasso torna a Milano. I capolavori del genio spagnolo arrivano in città con una grande ed emozionante retrospettiva. Le opere, più di 200, arrivano dal museo più completo e importante per quanto riguarda la produzione dell’artista: il Museè Picasso di Parigi che, chiuso per restauri fino al 2013, ha deciso di rendere itineranti le sue collezioni e di presentarle in tutto il mondo. Prima della tappa milanese infatti le opere sono state esposte in America, in Russia, Giappone, Australia e Cina.

Certo non è la prima volta che Picasso “arriva” a Milano. Oltre alla grande mostra del 2001, ci fu un’altra kermesse, che fece la storia delle esposizioni museali in Italia, la grande mostra del 1953. Una mostra dalla duplice tappa italiana, prima Roma e poi Milano, ma che ha avuto nei suoi sviluppi meneghini una risonanza e un’importanza non paragonabile a quella romana. Voluta fortemente dal senatore Eugenio Reale, la mostra romana si presentava ricca sì di opere, ma parzialmente oscurata per motivi politici. Ad esempio non compariva il Massacro in Corea (presente oggi in mostra).

L’edizione milanese, organizzata dall’instancabile Fernanda Wittgens e dai suoi collaboratori, fu invece ancora più ricca di opere, scelte dallo stesso Picasso, con addirittura l’arrivo, a mostra già iniziata, di Guernica, celeberrimo dipinto del 1937, e manifesto contro la guerra franchista. Dipinto che per la sua importanza fu sistemato, su richiesta di Picasso, nella sala delle Cariatidi, che “per contratto” non doveva essere restaurata dopo le devastazioni della guerra, proprio per creare un connubio e un monito fortissimo a memoria degli orrori e delle devastazioni belliche.

Proprio da questa stessa sala prende avvio oggi la mostra “Picasso. Capolavori dal Museo nazionale di Parigi”, che racconta in un percorso cronologico e tematico la vita e le opere dell’artista. Insieme alle fotografie che ci mostrano attimi di vita, amori, amici e ateliers dell’artista spagnolo, in mostra dipinti, sculture e opere grafiche create durante la sua lunghissima vita. La mostra, curata da Anne Baldassari, presidente del museo parigino, illustra le varie fasi e gli stili che Picasso usò, spesso in contemporanea, durante la sua carriera.

Si inizia con l’apparente classicismo e malinconia dei periodi blu e rosa, di cui sono memorabili opere come La morte di Casagemas, dipinto dedicato all’amico morto suicida, la misteriosa Celestina e I due fratelli. Ma già dal 1906 si intuisce l’influenza che l’arte primitiva, africana e iberica, avranno su Picasso. Sono questi gli anni che vedono la nascita dei tanti disegni preparatori per il capolavoro assoluto, Les Demoiselles d’Avignon, 1907 (conservate al MoMA di New York). L’autoritratto nudo, gli studi di donna, sono tutti dipinti in cui il Cubismo inizia a prender forma, semplificando e rendendo impersonali volti e sessi.

Ma la rivoluzione vera arriva intorno al 1912, quando Braque e Picasso inventano i collage, e la forza dirompente delle loro sperimentazioni porta alla nascita del Cubismo, analitico e poi sintetico, in cui la figura viene prima scomposta, resa irriconoscibile, come nel Suonatore di chitarra e Il suonatore di mandolino, per poi tornare a inserire elementi di realtà, come lettere, numeri, scritte o veri e propri elementi oggettuali.

Ma Picasso non è solo Cubismo. Negli anni ’20 segue, a suo modo, il Ritorno all’ordine dell’arte, con le sue Bagnanti e le sue donne enormi, deformate, possenti e monumentali, omaggi agli amici impressionisti come Renoir. Sono gli anni in cui conosce anche Breton e i Surrealisti, e in cui crea figure “disumane” e contorte, mostri onirici che ci mostrano le pulsioni sessuali e le ossessioni del pittore.

La guerra però, sconvolge tutto. Oppositore della dittatura franchista, Picasso non può far altro che denunciare gli orrori e la violenza della guerra con sculture e dipinti dai toni lividi, come Guernica, o nature morte popolate di crani di tori, capre e candele dalla fiamma scura. Non mancano i ritratti dei figli e delle donne amate: Fernande, Dora Maar, Marie Therese, Francoise, Jacqueline e la bellissima Olga in poltrona, dipinto che Picasso conserverà fino alla propria morte, appeso sopra il letto. Ritratti ma anche autoritratti dell’artista, dipintosi davanti al cavalletto, o con una modella nello studio, tema prediletto per dipingere la Pittura, il vero amore della sua vita.

Picasso dipinse fino a poco prima di morire. Degli ultimi anni sono i dipinti che riprendono i maestri a lui più cari, Matisse, Velazquez, Delacroix, ma anche un lucido autoritratto in cui l’artista si rappresenta sempre pittore ma con un volto che sembra già un cranio dalle orbite vuote (Il giovane pittore, 1972). Morirà l’anno seguente.

Una mostra completa, che prende origine dall’incredibile collezione del Museo Picasso di Parigi, forte di più di 5.000 opere, donate in vari nuclei da Picasso stesso e in seguito, direttamente dagli eredi. Ieri come oggi le opere di Picasso potranno ancora insegnarci qualcosa, monito e delizia dei tempi moderni.

Picasso. capolavori dal Museo Picasso di Parigi Palazzo Reale, fino al 6 gennaio 2013, orari: lunedì, martedì e mercoledì: 8.30-19.30 giovedì, venerdì, sabato e domenica: 9.30-23.30; biglietti: € 9,00 intero, € 7,50 ridotto

 

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org


 



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