20 aprile 2009

I NUMERI DEGLI ALBERI MILANESI


Ogni tanto, a Milano, qualcuno se ne esce con una proposta che immediatamente rimbalza nei titoli dei giornali: raddoppiare, triplicare il numero degli alberi della città. Aveva cominciato, se non erro, un candidato sindaco, verso la metà degli anni novanta: “metterò a dimora 400.000 nuovi alberi “. Chissà dove pensa di metterli, mi ero chiesto, e se ha idea di cosa significhi mantenerli nel tempo. Nessun problema: diventato sindaco e per ben due tornate amministrative, ha lasciato alla città più o meno i 180.000 alberi che aveva prima, salvo gli incrementi e le sostituzioni, e quindi le variazioni percentuali fisiologiche.

Senonchè l’argomento non è stato lasciato cadere, anzi ha avuto un  rilancio; è presto comparso un  piano per 500.000 nuovi alberi per Milano; e qualcuno deve aver cominciato davvero a fare qualcosa, perché si è cominciato a veder sparire, nelle aree verdi cittadine, molte radure già intensamente usate per il gioco dei bambini, ora sacrificate al nuovo grande disegno e quindi trapuntate di giovani alberelli, messi a dimora di fresco.

Il problema dei “numeri del verde” non mi è nuovo ed anzi mi ricorda un preciso episodio di molti anni fa :  era l’83, avevo appena cominciato a occuparmi del Parco Nord; al quale la precedente amministrazione aveva lavorato per un decennio senza mettere a dimora un albero e senza por mano ad alcun intervento, ma lasciando in eredità un piano del Parco, approvato dalla Regione,  che prescriveva tassativamente che “non meno del 50% dell’intera superficie del territorio destinato alla formazione del parco dovrà comunque essere sistemata a bosco o piantumata con alberi d’alto fusto”.

Non il Parco Nord che oggi conosciamo, ma una porzione di foresta scandinava trapiantata alle nostre latitudini avremmo avuto, se non avessimo variato quella norma (oltre che l’intero piano, per altre e altrettanto serie ragioni).

Ma non è stato facile, in particolare, cambiare quella norma, convincere che quella percentuale di bosco non sarebbe stata compatibile con un Parco periurbano ad alta fruibilità di massa, quale tutti si sognava e si chiedeva; e che comunque la scelta del rapporto tra boschi, prati, aree attrezzate, acque, percorsi, del rapporto tra pieni e vuoti, tra sole ed ombra, tra i toni e colori del verde e delle diverse fioriture e del loro alternarsi nelle varie stagioni, che questo insieme di  scelte doveva essere appunto l’oggetto specifico del momento progettuale, del momento di invenzione del Parco, e che non poteva dunque essere la semplice trasposizione sulla carta di percentuali ragionieristicamente e astrattamente pre-confezionate.

Ricordo un’infuocata assemblea pubblica, nella quale dovetti a lungo battagliare, soprattutto (strano!) con i rappresentanti dei movimenti ambientalisti, schierati a difesa di quella percentuale obbligatoria di superficie a bosco; il che si spiega in parte richiamando il clima culturale di quegli anni: “quando si parlava di parco, qualcuno immediatamente pensava alla riserva integrale, qualcun altro al parco dei divertimenti”; ed è quindi comprensibile che gli ambientalisti temessero di veder nascere un Parco Nord come parco dei divertimenti, anche se ovviamente è almeno altrettanto comprensibile che io volessi affrontare la progettazione del parco  senza assurdi precondizionamenti (anche se sarebbe stato certamente più semplice, all’italiana, “dimenticarsi della norma” anziché pretendere di modificarla).

Il problema è che i numeri sono rassicuranti, soprattutto per chi non sa guardare e valutare un progetto; per chi non vuol far la fatica di capire la complessità.

Perché il problema non è se e quanti nuovi alberi per Milano. Il problema è quale politica del verde, quali progetti per il verde di Milano.

Si è tanto parlato dei “raggi verdi”, che disegnano in sostanza un primo schema di rete delle piste ciclabili urbane. Bene, facciamoli davvero e in fretta, dal momento che in materia abbiamo accumulato un ritardo abissale rispetto a qualunque città europea; e possibilmente facciamoli ‘verdi’ davvero,  ombreggiati e protetti dal verde ovunque possibile, inserendo alberi ma anche arbusti, tappezzanti, fiori e quant’altro la cultura del verde (e le esperienze delle città europee) ci possono suggerire e insegnare.

E poi ci sarebbe sempre il Parco Sud, nella sua estensione e articolazione, che per attuarsi di nuovi alberi e di nuovo verde ne richiederebbe davvero tanto.

Ne richiederebbe nelle “teste di ponte urbane”, le aree destinate a diventare l’interfaccia tra il Parco Sud e la città, ad essere i poli meridionali della cintura verde urbana, naturalmente integrati, per collocazione e per scelta progettuale, al sistema verde del parco agricolo; aree che necessariamente devono integrare all’agricoltura esistente nuovi piccoli parchi pubblici, tutti ancora da pensare, da piantumare e da  costruire; parchi che potrebbero innescare un processo di riqualificazione urbanistica e di miglioramento della qualità della vita vasto e rilevante per i settori meridionali della città (come è stato per l’area metropolitana settentrionale col Parco Nord e per i settori nord orientali con Boscoincittà – Parco delle Cave – Trenno).

Ed anche nella sua componente agricola il Parco Sud ha bisogno di nuovi alberi, come di siepi, di boschi e sottoboschi, di piantate di ripa e di campo, della ricostituzione e riqualificazione insomma di un equipaggiamento vegetale della nostra campagna che si è andato progressivamente depauperando negli ultimi decenni e che va reintegrato e reiventato, se vogliamo farlo davvero e in positivo, il Parco agricolo Sud Milano, e non solo di nome e sulla carta: discorso lungo e complesso, che non si esaurisce certo nella necessità di nuove alberature e che investe il problema della nuova agricoltura per la città, sul quale si potrà ritornare.

Invece di promesse mirabolanti su improbabili numeri di nuove piantagioni (che francamente, per chi si occupa davvero di questi problemi, hanno lo sgradevole sapore di cifre sparate a caso, segno quanto meno di un certo scoordinamento all’interno di una pubblica amministrazione) sarebbe preferibile avere progetti, concreti e verificabili, di cui sia possibilmente leggibile la coerenza con  una politica del verde e con una cultura del verde, per una certa idea di città.

Una politica e una cultura del verde che avevamo intravisto con vivo interesse, gli anni addietro, nell’esperienza di collaborazione avviata dall’amministrazione con Italia Nostra per il Parco delle Cave, recuperato in pochi anni al degrado, con messa a frutto della precedente esperienza del Boscoincittà (di un’esperienza quindi ormai più che trentennale). E ora che succede? Perché un’esperienza ricca e “colta” (nel senso del verde) si ferma e si sostituisce con la vuota promessa di grandi numeri? Se lo può permettere la Milano che si avvia verso l’Expo ?

Francesco Borella



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti